The Shannara Chronicles è il fantasy che non ci mancava

Pietro Ranieri
Ready Player One
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9 min readMar 14, 2016

Nel tranello di The Shannara Chronicles ci sono caduto anch’io.

Ma devo partire da un po’ prima. C’era una volta il Fantasy. Quel meraviglioso genere letterario (ma non solo) di cui noi tutti (ma non solo) siamo innamorati follemente. Il recupero dell’epica antica, dell’ Edda, del Beowulf, rinarrata e riscritta con nuovi stili e sensibilità moderne. Da Tolkien a Lewis passando per Martin, Stroud, Sapkowski, Paolini, Rowling ma volendo anche Lovecraft e che ci crediate o no anche per i nostri Calvino ed Eco. E molti, moltissimi altri, nati e cresciuti più o meno genuinamente nella scia del ritorno d’interesse per il genere scatenato dalla trilogia filmica de Il Signore degli Anelli di Peter Jackson e dall’incredibile dilagare di Harry Potter nelle generazioni giovani e meno giovani. Quei meravigliosi mondi fatti della stessa sostanza di sogni e incubi, che ci hanno regalato tantissime avventure e che per alcuni sono stati rifugio dal grigiore dell’adolescenza, fino a diventare una seconda casa di carta e inchiostro.

Ora: parlavo poc’anzi del ritorno d’interesse. Improvvisamente i grandi mass media — cinema e televisione — hanno scoperto, nella loro continua e assoluta fama di storie da cannibalizzare in una macchina rotta che riesce poche volte a creare davvero, che quelle storie lì si potevano utilizzare. Brandizzare. Trasformare in fenomeni di culto. Ché c’era roba davvero buona da poter dare in pasto al moderno zombie mediatico. Insomma, hanno capito che ci si poteva far soldi. Un pacco di soldi. Ecco allora che la grande scommessa di Jackson diventa la trilogia de Lo Hobbit. Ecco che George Martin preferisce allentare la presa su The Winds of Winter e dedicarsi a scrivere le sceneggiature per la prossima attesissima stagione di Game of Thrones — che si appresta a superare narrativamente i romanzi e a prendere la sua propria strada, fieramente, orgogliosamente televisiva. Immagino sia per lo stesso motivo di fondo se oggi abbiamo roba come Shadowhunters.

MTV sente di essere un po’ indietro: da grande rete generalista per adolescenti qual è diventata, ha bisogno di un suo prodotto per stare al passo. Il suo pubblico ormai è assuefatto a format stile Sedici Anni e Incinta. Ci vuole qualcosa che abbia il sapore di una grande storia, per attirare quei nerd che non guarderebbero mai la rete. Qualcosa che sia una versione edulcorata delle serie HBO, altrimenti si perde il rating giusto. E dopo quelle che possiamo immaginare come lunghe ricerche di mercato, la rete decide di guardare al lavoro di Terry Brooks, discreto autore fantasy contemporaneo di indubbia importanza. Famoso, conosciuto, con un fanbase molto forte. La sua saga di Shannara, per quanto per certi versi sia un po’ semplicistica e a tratti ingenua, di base ha delle idee davvero solide e innovative. E i protagonisti sono perlopiù giovani, adolescenti, facilmente commercializzabili. Così salta fuori l’idea di adattare Le Pietre Magiche di Shannara, secondo libro della saga, datato 1984 — uno dei pochi che presenta personaggi femminili nel cast principale. L’ideale per creare le tensioni necessarie al pubblico. In più, non c’è nessun mondo inventato, nessuna epoca strana, niente galassie lontane lontane né terre di mezzo. Il mondo di Brooks è la nostra Terra, centinaia di anni se non migliaia di anni nel futuro, dopo la distruzione della nostra civiltà. La storia ruota attorno alla famiglia Shannara, ai cui discendenti sono conferiti poteri tramite un’antica magia e le cui avventure rimodellano in continuazione il futuro del mondo. Sono componenti che piacciono perfino a me, dette così: Troll, Gnomi, Nani, le razze cui siamo abituati dalla cultura fantasy che hanno qui una origine comune — sono tutte derivazioni degli umani devastati dalle radiazioni. Gli Elfi sono una razza antichissima, andata in esilio volontario durante l’Era dell’Uomo, e ora tornata al suo ruolo di leadership. L’aria post-apocalittica che segna il ritorno ad una civiltà più semplice, ma al tempo stesso più complessa. E il fatto che nel nostro mondo la Magia esiste: l’abbiamo solo dimenticata.

CONTAMINAZIONI E CORRUZIONI DI UN GENERE

MTV prende questi elementi e li ricombina in una storia altamente commercializzabile. The Shannara Chronicles nelle prime due ore del lungo pilot presenta personaggi si semplici, ma piacevoli e apparentemente funzionali: dal giovane e idealista Wil alla spaurita ma decisa Amberle, passando per un imponente quanto disilluso Allanon e un terribile, inquietante Dagda Mor, fino ad arrivare all’ottimo Re Eventine di John Rhys-Davies — il Gimli de Il Signore degli Anelli, vero pezzo da novanta del cast dei ricorrenti. Abbiamo poi ambientazioni fantastiche con una fotografia eccellente (la serie è stata girata in Nuova Zelanda), unita a una scrittura che incalza il giusto senza pesare troppo — specie per chi è abituato al fantasy ben più complesso di Tolkien o Sapkowski. La formula dell’episodio doppio forse poteva pesare, perché ottanta minuti sono decisamente tanti: ma nella serata d’apertura era necessario per introdurre il mondo, i personaggi e la storia al pubblico che non li conosceva ancora. Inoltre c’è da dire che il ritmo viene sempre tenuto alto, i dialoghi sono brillanti seppur quasi al limite del frettoloso — comprensibile, considerando la quantità di cose da narrare — ma non si sfocia nel pesante pur restando in un’atmosfera tutto sommato molto teen.

Ora, questo di per sé non è necessariamente un male. Era un buon compromesso, accettabile dopotutto per la qualità che la serie sembrava proporre. Ma si scorgeva già, terribile, il germe della sconfitta. Dieci puntate dopo, la sensazione che un brutto incubo si sia realizzato è quanto mai palpabile.

Dopo una cavalcata quantomeno altalenante, The Shannara Chronicles nel finale aveva ancora tutto da dimostrare. E si può affermare senza timore di smentita che no, non è riuscita a dimostrare un bel niente. E la colpa è principalmente delle scelte fatte dalla rete.

Non intendo affatto giustificare, infatti, le evidenti carenze di questo prodotto solo perché “da MTV non ci si può aspettare altro”. Non c’è proprio nulla di valido in questa risposta; in quanto telespettatore ho tutto il diritto di desiderare il miglior prodotto possibile e, al di là della propria linea editoriale, nel proprio menu bisogna anche saper fornire delle portate che soddisfino un pubblico solitamente non avvezzo al canale. The Shannara Chronicles sul piano commerciale aveva proprio questo compito: portare nuovi spettatori e fidelizzarli ad un prodotto atipico per il classico pubblico della rete nella speranza di convincerli a restare anche per altre cose. Si sarebbero persi spettatori già affamiliati? Forse. Ma la cosa avrebbe dimostrato un coraggio imprenditoriale non indifferente. Invece si è preferito rimanere nel solito trito e ritrito prodotto per adolescenti in crisi ormonale, fornendo siparietti teen oscillanti tra il ridicolo e l’inguardabile con punte di inascoltabile e (ad esser gentili) banale; scelta che si può ritenere quasi offensiva, se è questo che MTV pensa il suo pubblico voglia.

La scena in cui Wil e Amberle nella grotta si concedono l’un l’altra dopo essersi dichiarati amore è emblematica: fuori il mondo sta letteralmente andando all’inferno, però qui tra le reciproche braccia si sta coooosì bene. Dopotutto la salvezza di tutto e tutti non dipende affatto da loro: non si può certo rinunciare a queste ore di benessere personale ed egoistico — ore che, volendo proprio farlo notare, sarebbero state determinanti per salvare le vite di almeno tre o quattro personaggi principali. Che sia un espediente narrativo il cui scopo era solo ed esclusivamente quello di dare in pasto agli ormoni di cui sopra la tanto desiderata “scena di sesso” tra i protagonisti è confermato da un semplice quanto enorme dettaglio: come diamine faceva Amberle a sapere che proprio lì c’era una grotta, se fino a tre puntate prima aveva bisogno di una guida anche per andare in bagno e fino a sei non era mai uscita da Arborlon? Mi si dica ciò che volete, ma non esiste che un eroe fantasy degno di questo nome si comporti così, da adolescente irresponsabile, ad un passo dal compimento della missione da cui dipendono le sorti di un mondo intero.

Ma possiamo andare avanti con altre questioni: da dove saltano fuori i cavalli che Wil e Amberle usano per tornare al Santuario — magicamente scomparsi dopo la faccenda della grotta? Perché ci sono volute sei puntate per arrivare alla Cripta, compreso un particolarmente difficoltoso passaggio tra catene montuose e valici impenetrabili, e ora bastano un giorno e mezzo di cavalcata nella prateria per tornare a casa? Come ha fatto Bandon, il giovane Veggente apprendista di Allanon passato al Lato Oscuro della Magia, a fuggire da un’impenetrabile prigione elfica, in pieno stato d’assedio, pullulante di guardie e soldati, e a impadronirsi di uno dei più letali artefatti magici delle Quattro Terre senza essere visto né fermato? Sto solo parlando dell’episodio finale e potrei andare avanti per righe e righe elencando buchi di trama più o meno grossi.

E la fotografia così bella? A parte rari casi, va progressivamente a farsi benedire, probabilmente per ragioni di budget. Non vi parlo delle musiche perché mi rifiuto di credere in un futuro in cui i dischi dei Led Zeppelin sono andati perduti ma la trip-pop-disco-techno invece no ( Utopia, un’intera puntata costruita sulla scena della festa in discoteca, scende a livelli così bassi che a distanza di settimane è ancora difficile riprendersi…). Dai, almeno i comprimari… Escludendo il pochissimo sfruttato Allanon di Bennet e il già citato Eventine di Rhys-Evans, convenientemente tolto di mezzo dopo cinque puntate, se i protagonisti non sono dei pesi massimi — le faccette da Barbara D’Urso di Poppy Drayton, mioddio… — neanche il resto del cast brilla per talento o sceneggiatura, ed è un peccato, perché alcuni dei momenti migliori vengono proprio da Bandon e dal rapporto tra i due principi Ander e Arion, che hanno il merito di riportare l’atmosfera sul fantasy più classico con le loro side quest.

L’ALUNNO INTELLIGENTE CHE NON SI APPLICA

Ma non voglio passare per hater a tutto tondo e dire che fa tutto schifo, punto. Qualcosa di accettabile resta: quando si prova davvero a fare del fantasy, sorretti dalla mitologia di Brooks, ci si riesce pure — e questo mi fa particolarmente rabbia, perché vuol dire che la sostanza di fondo c’è ma non la si sta sfruttando; quando non ci si perde nei vuoti drammi da adolescenti dei personaggi si ha il tempo di notare, ogni tanto, quella buona fotografia di cui sopra, dei costumi interessanti, e anche delle scene d’azione non male (se sorvoliamo, certo, sulla vera entità degli eserciti, che da migliaia di unità passano ad essere poche decine in campo, ma voglio farmi ingannare e crederci) specie se sorrette da una CGI piuttosto buona come nel duello finale tra Allanon e il Dagda Mor.

Ma la verità è che tutto questo è solo contorno, che avrebbe dovuto sorreggere una struttura ben più solida di così. Occasione perduta: e nonostante quel “to be continued” credo che la scarsità degli ascolti e la pioggia di critiche giunta da più parti farà ben riconsiderare alla rete un’eventuale seconda stagione, di cui comunque non sentirò la mancanza.

The Shannara Chronicles “è intelligente ma non si applica” e per questo non ha funzionato come sperato. Avrebbe dovuto dare ed essere molto più di un semplice show per adolescenti. E dietro i vuoti drammi e le cascate di ormoni, la trama di un tessuto ben ordito si scorge tutta: ma non si riesce a farla emergere e questo rimane il problema principale e più grande del prodotto che risulta come un’immensa occasione sprecata non definibile oltre il “mediocre”; altro che l’alternativa gggiovane a Il Trono di Spade. Si può solo sperare, per un eventuale ma assolutamente non desiderabile secondo tentativo, qualcosa di migliore e più coraggioso, scelte impopolari per il proprio pubblico standard, ma sicuramente più apprezzate in altri lidi.

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Originally published at https://theshelter.online on March 14, 2016.

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Pietro Ranieri
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