Appunti del 2° tavolo di lavoro su welfare, casa e accoglienza

Genova che osa
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4 min readOct 6, 2016

Il tavolo è ripartito dai punti fissati nella riunione precedente. Trattandosi di una lista articolata, ciascuno dei partecipanti si è concentrato su alcuni aspetti in particolare.

Il 3° incontro del tavolo si svolgerà il 13 ottobre.

Circa lo spunto di costituire una agenzia delle politiche sociali per mettere in rete tutti i servizi e rafforzare la regia pubblica del Comune, si è ricordato come in passato esperimenti per certi versi analoghi, come l’agenzia per la domiciliarità, siano falliti: perciò è necessario studiare gli errori per non ripeterli. Le politiche comunali sono ridotte all’osso e le risorse limitate (solo le politiche sanitarie dispongono di finanziamenti rilevanti), anche se invariate nell’ultimo quinquennio, non consentono di rispondere a tutti i bisogni essenziali dei cittadini. È vero anche che l’organizzazione attuale dell’erogazione dei servizi impedisce di andare ad aiutare con priorità chi ha più necessità.

Durante la discussione si è osservato che l’obiettivo delle politiche di welfare va a spostarsi dall’assistenza alla prevenzione anche perché le condizioni di difficoltà si stanno allargando, richiedendo interventi di carattere generale. Tuttavia i servizi devono restare in grado di effettuare interventi di assistenza laddove la prevenzione non riesca. Non va sottovalutato il tema delle tariffe vero le famiglie nella fascia media di reddito, che si trovano in situazioni molto volatili e senza adeguate calibrazioni rischiano di patire discriminazioni e costi insopportabili. Si è ricordato infine come molte delle politiche di welfare oggi non siano pensate per gestire le situazioni in modo duraturo, abbandonando le persone a loro stesse dopo un certo tempo senza averle davvero aiutato a risollevarsi dalle condizioni di difficoltà (come nel caso del fondo per la morosità).

In materia di alloggi, il tavolo ha esaminato alcuni dati molto gravi riguardanti la città: Genova ha una delle più alte percentuali di famiglie sfrattate tra i Comuni metropolitani e delle più basse di edilizia popolare (circa 9.900 alloggi su oltre 300.000 abitazioni complessive). Le graduatorie delle case popolari possono prevedere attese anche di dieci anni; questi tempi ovviamente rendono l’idea di un servizio inadeguato e scoraggiano le persone a iscriversi, quindi privando le graduatorie anche di una funzione di misura delle condizioni di disagio. Senza finanziamenti e una normativa regionale adeguata per il Comune è molto difficile accedere agli alloggi sfitti, la cui stima del 10% secondo l’ISTAT potrebbe essere inferiore al dato reale e senz’altro nei quartieri s’incrocia col dato sul degrado degli immobili. Dal punto di vista della gestione, l’edilizia pubblica è tutta amministrata da ARTE, incluse le 4.300 case di proprietà comunale, che è una di quattro agenzie regionali il cui unico legame coll’amministrazione comunale è la convenzione di servizio, non potendo esprimere il Comune dei rappresentanti nel consiglio d’amministrazione. Il quadro è quindi di frammentazione regionale e di scarso impatto dei Comuni nelle decisioni. Circa 1.100 alloggi popolari sono in qualche modo bloccati, in attesa di ristrutturazioni o di vendite. Il fondo introdotto dalla Regione per l’edilizia popolare, a valere sul 50% degli oneri di urbanizzazione, renderà al massimo 200.000 euro per Genova, una cifra inadeguata e pure inferiore al solo costo di mantenere quattro distinte agenzie regionali. Infine, si è ricordato che ARTE si porta dietro una situazione patrimoniale ed economica non sostenibile a seguito delle operazioni compiute durante la Giunta Burlando. La crisi economica che porta ad accedere all’edilizia popolare categorie una volta benestanti alimenta i conflitti nei quartieri e rivela l’inadeguatezza del sistema di fronte al crescere dei bisogni.

Rispetto al punto dell’accoglienza, il Ministero dell’Interno ha interrotto i pagamenti verso le associazioni, costringendole così a cercare mutui presso le banche e, qualora non riuscissero, a lasciare i migranti per strada. La creazione di una rete di accoglienza diffusa può funzionare, ma alle famiglie che la praticano va assicurata una rete di servizi di supporto che funzioni.

In conclusione, numerosi partecipanti hanno concordato sul fatto che il Comune abbia bisogno di una rigenerata visione delle politiche di welfare, di una visione e una chiara prospettiva per il futuro, che permetta di porre in essere azioni precise e anche di dare rinnovato impulso ai dipendenti e a tutta la macchina comunale. Il che significa anche compiere delle scelte nel destinare energie e risorse per aiutare in modo mirato chi ha davvero bisogno, invece di spalmare pochi e inefficaci verso le più disparate e scollegate iniziative. Con un chiaro modello di welfare in testa, il Comune di Genova può sia definire le risorse disponibili, anche andando a recuperare altre fonti di finanziamento in particolare dall’Europa, sia interloquire in maniera efficace con gli altri soggetti Istituzionali, come la Regione, sapendo chiedere a ciascuno di svolgere la propria parte in un contesto organico.

Il tavolo di lavoro si è dato chiuso fissando un nuovo incontro per mercoledì 12 alle ore 18 (causa altri appuntamenti la convocazione è aggiornata a giovedì 13 alle ore 18), con lo scopo di studiare nel dettaglio i dati relativi ai bisogni e alle politiche di welfare in città. Successive riunioni, anche tramite la suddivisione in appositi gruppi di lavoro, approfondiranno i temi dei servizi essenziali, della casa e dell’accoglienza.

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