Appunti del 3° tavolo di lavoro su welfare, casa e accoglienza

Genova che osa
genovacheosa
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5 min readNov 10, 2016

Nel corso dell’ultima riunione del tavolo di lavoro ci si è concentrati sul tema della casa, ascoltando, in particolare, le opinioni di Bruno Pastorino che abbiamo invitato appositamente.

I resoconti degli precedenti li trovate di seguito.

(PASTORINO) come prima premessa di metodo, partiamo dall’affrontare gli aspetti problematici. come seconda premessa di metodo, è problematico inserire l’edilizia popolare nel capitolo welfare perché rischia di dare l’idea che le case popolari siano solo destinate a frange di difficoltà estrema e perché tende a separare il tema dell’edilizia popolare dal capitolo urbanistica, dove invece le due cose si devono integrare in un ragionamento di diffusione di un servizio e potenzialità economica per i territori. i comuni sulle politiche abitative hanno competenze limitate e solo formalmente chiamati solo a una gestione amministrativa: le competenze sono variamente del Ministero delle Infrastrutture e delegate alle regioni. in questo senso la frammentazione delle competenze regionali non ha reso più fluida la gestione, ma disegnato un arlecchino pasticciato. precisiamo anche che edilizia residenziale pubblica (ero) è edilizia di dimensione puramente pubblica e gestita e assegnata con criteri prestabiliti dove la situazione reddituale dei nuclei familiari richiedenti ha preminenza e i canoni sono definiti in funzione delle dimensioni dell’alloggio e della capacità economica familiare; l’edilizia sociale invece è diversa, è pure normata a livello regionale ma ha l’edilizia residenziale pubblica solo come una delle componenti, perché la proprietà può anche fare capo a soggetti privati e il pubblico interviene solo in quota parte affinché i privati possano concorrere alla funzione sociale (tramite convenzioni che vincolano a locazioni concordate con canoni moderati per determinati anni, di solito 15, certi alloggi… a fronte il pubblico concorre con un 45% della realizzazione degli edifici). di conseguenza, mentre l’erp si confronta solo col tema della sostenibilità dei canoni, l’edilizia sociale non prescinde dal tema della sostenibilità economica sicché offre canoni del tutto differenti. gli enti gestori (arte) oggi sono delle s.p.a. obbligate a criteri di economicità ed equilibrio finanziario: non possono lavorare per rifinanziamenti; questo è un problema nella misura in cui l’erp è per definizione un’attività antieconomica. in conseguenza gli enti gestori hanno iniziato a operare sul versante dell’edilizia sociale, segnando un passaggio verso i canoni moderati e un cambio parziale di paradigma degli enti gestori. questi in aggiunta sono stati gravati di mansioni che non gli dovevano competere storicamente, come per l’arte genovese l’acquisto dell’ex ospedale psichiatrico di quarto, che importa una perdita annua di 100 milioni di euro distraendo risorse alla missione principale. l’erp si è retta fintantoché è stata supportata dalla fiscalità generale tramite la vecchia imposta Gescal (acronimo di GEStione CAse per i Lavoratori); il sostegno pubblico è venuto sempre meno col diffondersi dell’idea che non esistesse un problema abitativo nel paese perché gli italiani sarebbero per cultura proprietari di casa, che peraltro si realizza con l’indebitamento dei privati che contraggono mutui. si è realizzato un tentativo di spostare le famiglie dall’affitto all’acquisto di case con mutui. in questo contesto con i governi d’alema si è anche aggiunto il superamento dell’equo canone in favore di principi di libero mercato e una riduzione d’imposte che non è andato a favore delle famiglie proprietarie d’immobili ma della grande proprietà fondiaria, a scapito delle entrate nel bilancio statale. il proliferare di mutui ha reso un gran numero di famiglie sensibili alla crisi del 2007. altre risorse utili a ridurre il fabbisogno abitativo sono state trasformate in incentivi alle giovani coppie che andavano a comprare casa, affinché le impiegassero per pagare i privati che vendono gli alloggi. il fabbisogno abitativo è paradossale rispetto al numero di alloggi vuoti che solo a genova si calcolano siano 25/30 mila, a riprova di una politica tutta sballata andata anche a discapito della salute del territorio. tipico dell’Italia è la residualità dell’edilizia di proprietà pubblica che è tra il 3/4%, in fondo alle classifiche europee. questo significa che non esistono alambicchi di natura amministrativa per risolvere il fabbisogno abitativo, non è possibile intervenire sulle liste d’attesa perché gli alloggi disponibili non corrispondono alla domanda potenziale. sui 10.000 alloggi erp in città metropolitana di genova circa 600 restano vuoti per esigenze di ristrutturazione a fronte di una domanda stimabile in 4.000 alloggi necessari, anche si potessero rendere contemporaneamente disponibili tutti gli alloggi la domanda potenziale resterebbe insoddisfatta per l’85%. rispetto agli alloggi privati vuoti, il problema è la presenza comparativamente più grande rispetto all’europa di proprietà frammentata in mano a tanti piccoli e piccolissimi proprietari.

proposta 1: azione sull’edilizia privata

a livello normativo servirebbe ristabilire fondi pubblici e disciplina pubblica delle locazioni. i comuni potrebbero provare ad avocare a loro il regime fiscale, applicando tariffe fortemente differenziate per quegli alloggi che restino vuoti per più di un tot di anni, a esempio tre. specularmente si possono immaginare politiche fiscali per incentivare chi affitta i suoi alloggi. ma in questo campo nel campo dei disincentivi l’autonomia comunale è limitata al rialzo delle imposte, può essere significativa per creare un sistema d’incentivi.

proposta 2: efficientemente energetico

un tema che emerge spesso è quello dell’elevato tasso di morosità nell’erp, che non nasce tanto dai livelli dei costi di locazione ma di gestione: verso questo problema può a esempio aiutare l’efficentamento energetico degli edifici per sgravare i costi della bolletta sulle famiglie.

proposta 3: regia sul patrimonio immobiliare pubblico complessivo

il sistema pubblico nel complesso ha un patrimonio immobiliare disponibile: i comuni possono ritagliarsi una regia, come azionisti della società partecipare, per gestire gli immobili. su genova parliamo di spin, che nel passato ha venduto 6.000 alloggi pubblici ma dovrebbe averne conservati circa 1.500, iren che ha assunto volumi da sportingenova per il valore di 10 milioni di euro (tra cui il palzzo delle poste a brignole) e oggi restano vuoti e senza prospettive d’investimenti. anche altri enti pubblici hanno consistenti immobili a genova che restano vuoti come a esempio le poste con gli ex alloggi della scuola postale. ci vuole maggiore prudenza verso gli organismi di autorappresentanza nati nei centri di edilizia popolare che hanno scarsissima forza di rappresentanza e sono per lo più comitati che raggruppano i residenti storici talvolta anche in difficoltà di relazione coi nuovi nuclei di assegnatari: il problema di rappresentanza in quei territori può essere mitigato con simili esperienze ma non risolto se non con interventi più articolati di natura sociale.

(RODI) il canone moderato nel tempo è divento troppo alto per le famiglie in difficoltà. solo il comune può ormai realizzare forme di canone moderato comunale (200/250 euro) accessibile alle famiglie. fondamentale che l’edilizia popolare abbia un assessore dedicato. i comitati nella misura in cui sono irrapresentativi non fanno rinnovamento al loro interno (e sono tutti scaduti) e mantengono anche tramite i patronati una sorta di controllo sui quartieri. grazie al fondo per la morosità incolpevole nel 2016 il comune ha bloccato circa 200 sfratti.

(PASTORINO) nell’ottica d’integrare edilizia popolare e urbanistica, rileva uno studio di nomisma applicato a bologna dove è molto alto il disagio abitativo anche per incidenza della popolazione studentesca e hanno calcolato come ridurre gli affitti riducendo il costo di realizzazione delle case. enti gestori di altre regioni hanno realizzato edilizia popolare a basso costo come a motta di livenza (treviso) demolendo precedenti edifici, cercando standard di classe a e bioedilizia (qui in liguria si potrebbe riconvertire anche parte dell’industria cantieristica e rigenerare il settore edilizio in crisi). edifici classe a hanno costi di gestione che tendono a zero.

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