Il Nuovo Mondo Digitale: come ci siamo arrivati?

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In questa puntata vedremo come l’Internet of Things e i Big Data stanno modificando il modo con il quale noi percepiamo noi stessi e il Mondo che ci circonda.

Fino a pochi anni fa’ andavo a dormire quando mi sentivo stanco, andavo a correre quando sentivo di volermi svagare un po’, mangiavo quando sentivo fame e in quantità sufficienti, praticavo esercizio fisico quando sentivo che il mio Corpo aveva bisogno di riprendersi o quando sentivo che si stava arrugginendo.

Da qualche anno le cose sono cambiate.

Vado a dormire quando leggo l’ora ed ho calcolato, in base alla qualità del mio sonno misurata nelle notte precedenti, dopo quante ore conviene che mi svegli per sentirmi più riposato.

Vado a correre sino a quando non ho totalizzato il numero di chilometri che ho calcolato garantirmi il migliore riposo nella notte.

Mangio in tre fasce orarie calcolate misurando il mio metabolismo e la mia attività fisica e mentale quotidiana, ed introduco i cibi che sono in grado di fornirmi gli elementi nutritivi secondo il mio fabbisogno calcolato in real time.

Pratico esercizio fisico fino a quando non leggo che ho bruciato le calorie giornaliere che ho calcolato mi servono per raggiungere il mio peso forma, ovviamente misurato incrociando alcuni parametri, nel tempo che mi sono stabilito.

Che cosa è cambiato?

Prima conoscevo bene me stesso, essendo sempre stato abituato ad ascoltarmi.

Tuttavia non conoscevo la mia pressione sanguigna nè a quanti battiti al minuto il mio cuore stava lavorando.

Mi pesavo appena due volte all’anno, prima e dopo Natale per ironizzare su quanto fosse distruttivo trascorrere le Feste Natalizie presso i parenti del sud Italia, e non avevo la minima di quante calorie stessi immagazzinando e bruciando quotidianamente.

Riguardo alle ore di sonno necessarie, qualche sbadiglio di troppo e la palpebra calante erano ottimi segnali di allarme, che diventavano emergenza riposo quando iniziavo a fare fatica a mantenere la testa alzata.

In ogni caso la sveglia era sempre puntata alle 6.30, orario affinato dopo un po’ di sperimentazioni.

Per l’esercizio fisico mi ponevo degli obiettivi grossolani, come quanti giri dell’isolato percorrere oppure quante addominali fare, e il respiro affannoso e la pesantezza delle gambe erano il segnale che mi indicavano che stavo raggiungendo il limite.

Adesso porto un braccialetto o un orologio al polso che mi indicano costantemente quanti metri mancano al mio obiettivo, quante calorie ho bruciato e quante ne devo ancora bruciare per rimanere in linea con il mio percorso di benessere.

Ho un’App che misura in tempo reale il mio ciclo del sonno e che sulla base di questo, incrociando altri parametri rilevati in precedenza, decide sul momento se è meglio farmi alzare alle 6.13 oppure alle 6.29.

Adesso so tutto del mio fisico e della mia attività giornaliera, anche quanti gradini ho salito e sceso durante la giornata.

L’Internet of Things, l’Internet delle Cose composto da tanti dispositivi in costante attività di misurazione, mi fornisce quotidianamente un punto di vista alternativo della mia persona, misurato e calcolato.

Mi offre la visione di un Me Stesso fatto di cifre, parametri, statistiche.

Mi offre la visione di un Me Stesso oggettivo, quantificato, digitale, per il quale le sfumature dell’Esistenza Umana sono costituite da decimali dopo la virgola.

O meglio: mi offre la visione di tante parti di un Me Stesso quantificato.

Il fenomeno si estende all’esterno verso le persone con le quali entriamo in contatto,, per cui noi tendiamo a mostrare agli altri solamente delle parti di noi stessi.

Questo è sempre accaduto: quando ci rapportiamo con un Collaboratore e non riveliamo aspetti della nostra privata, oppure quando parliamo con un nostro conoscente e non scendiamo nei dettagli della nostra settimana lavorativa.

Se abbiamo un colloquio di lavoro molto importante ci vestiamo in modo differente da quando andiamo in vacanza con i nostri cari, proprio per proiettare verso le altre persone la parte di noi che più maggiormente adatta alla situazione.

Tuttavia esistono delle differenze tra come ci mostriamo nel mondo analogico e come ci mostriamo nel mondo digitale.

Nel mondo analogico ogni situazione riceve le influenze di altre situazioni.

Se noi riceviamo una brutta notizia nella sfera privata, possiamo anche recarci al lavoro in giacca e cravatta e mostrarci brillanti, ma molto probabilmente qualcosa di noi tradirà questa maschera, forse i nostri gesti sono più rallentati e impacciati del solito, oppure il nostro sorriso in realtà appare come un ghigno forzato, e così via.

Nel mondo analogico noi ci mostriamo prima di tutto con la nostra Persona, e solo in un secondo passaggio mascheriamo ciò che riteniamo non essere adeguato alla situazione specifica.

Per questa ragione rimarranno sempre delle sovrapposizioni.

Il mondo digitale o, meglio, virtuale, ci permette di mostrare solamente delle particelle di noi stessi, senza necessariamente obbligarci a mettere in gioco l’intera nostra Persona.

Se io ho corso per 20 chilometri e lo condivido attraverso un’apposita applicazione, il mio pubblico vedrà solo ed esclusivamente quel dato, a meno che io non decida di condividere altri dettagli, ad esempio una mia foto che potrebbe rivelare un sorriso poco convinto.

La stessa cosa vale se condivido i dati delle calorie ingerite, oppure le ore di sonno dormite nella notte.

Ogni singola applicazione ha il compito di misurare e rilevare il dato oggettivo di una particella del mio Essere, quindi le relative condivisioni dei dati saranno particellate di conseguenza, e così anche la Persona che io mostrerò nei vari canali sociali.

Posso effettuare questa operazione anche di proposito, scegliendo cosa mostrare e quindi costruendo letteralmente l’immagine che gli altri vedranno e percepiranno di me.

Posso mostrarmi con un avatar recante una mia foto di 20 anni prima, oppure recante un’inquadratura tale da nascondere i miei difetti.

Ripeto: questo accadeva anche prima di Internet, ma i nuovi mezzi di comunicazione mi offrono la possibilità di estremizzare il modo con il quale gli altri mi percepiranno.

E la cosa interessante è che agli altri questo non importa!

Gli altri sembrano accontentarsi della percezione parziale di me, e sulla base di questa percezione dichiaratamente e spudoratamente incompleta costuiscono una connessione, un rapporto, forse anche un amore.

Questo è dovuto alla nostra Mente che si è sviluppata nel corso della nostra Evoluzione per trarre inferenze induttive e a trarre conclusioni non quando ha tutti gli elementi necessari, ma quando ne ha in numero sufficiente, laddove il “sufficiente” è puramente soggettivo.

Inferire un significato utilizzando solamente alcuni dettagli è uno stratagemma che aiuta la nostra Mente a gestire la praticità della quotidianità, ma che prima di tutto ci ha aiutati a sopravvivere nei tempi in cui eravamo ancora l’ultimo anello della catena alimentare.

Quando noi vivevamo ancora in territori selvaggi ed eravamo assediati dalle belve feroci, ci faceva comodo immaginare di vedere una tigre appena sentivamo un ruggito distante (e quindi allontanarci in sicurezza) che non dovere avvicinarci per esaminare meglio la forma dell’animale prima di capire che forse era meglio scappare.

La nostra Mente è limitata, e per quanto il nostro cervello riesca a raccogliere un enorme numero di informazioni dall’ambiente che ci circonda, utilizza questa strategia per rispondere più velocemente agli stimoli esterni e per evitare il sovraccarico di informazioni, accettando anche una piccola percentuale di fallimento (forse quel ruggito lontano era in realtà il fragore di un torrente?).

Quindi nel Web accettiamo di rapportarci solamente con un’immagine riduttiva dell’altra persona, anche quando ne siamo consapevoli, in una misura decisamente più estremizzata rispetto al mondo analogico.

La particellazione dei nostri rapporti comporta anche che noi investiamo emotivamente ed affettivamente sulla parziale rappresentazione dell’altra persona, e solo in un passaggio successivo completiamo il quadro, quando ormai la nostra Mente e la nostra Anima hanno investito così tante energie che non possiamo fare altro che proseguire lungo la strada già intrapresa.

Ritornare indietro e rimettere in discussione l’intero rapporto comporterebbe un dispendio di energia ben più grande.

Che cosa succederebbe se io mi innamorassi di una persona sulla base di ciò che esprime su un social network, e poi dovessi scoprire solo in seguito un aspetto della sua vita che è decisamente contrario a miei valori?

Siamo davvero sicuri che sarebbe così facile disinnamorarmene?

Ho conosciuto personalmente persone eterosessuali innamorarsi di una persona incontrata in chat (ai tempi in cui le chat erano puramente testuali) e poi scoprire che si trattava di persone dello stesso sesso.

In alcuni casi questo ha dato origine a relazioni sentimentali stabili e durature.

Forse il Web ci sta aiutando a relativizzare le nostre categorie ed i parametri che ci hanno guidato nel corso dei millenni?

Tu che cosa ne pensi?

Stiamo veramente assistendo ad una spersonalizzazione dell’Essere Umano dietro i dati, oppure si tratta di un completamento?

La rivoluzione dei nostri vecchi concetti è davvero così negativa, oppure sta portando a qualcosa di positivo? Che cosa?

Scrivimi la tua opinione nei commenti e parliamone insieme.

Noi ci rivediamo alla prossima.

Un saluto da Ivan Ferrero.

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