Maturità

nicola castello
Riflessioni in bianco e nero
3 min readJun 18, 2015

… perchè a volte si può credere nei miracoli …

... che poi io non ho mai creduto nei miracoli…
Ho sempre pensato che siano solo il rifugio di chi vuole illudersi, sperare che qualcosa di divino, di soprannaturale, venga a risolvere problemi che da soli non siamo in grado di superare. Ho sempre guardato con tenerezza, a volte con sufficienza, i bus di pellegrini in partenza per i viaggi organizzati “cinquegiornituttocompreso” (inclusa tazza da the, calamita da frigorifero, rosario benedetto e vendita di pentole e materassi), direzione Lourdes — Fatima —Medjugorje. Sono sempre andato orgoglioso della mia laicità e non mi vergogno si sventolarla ai quattro venti. Questo avviene per 364 giorni l’anno.

Ma (c’è sempre un ‘ma’ nella vita di ognnuno di noi) c’è un giorno, un solo giorno, un giorno ben preciso, nel corso dell’anno, quel trecentosessantacinquesimo giorno, nel quale questa mia certezza vacilla. Il giorno in questione è quello della seconda prova scritta della maturità.

Era l’anno dei mondiali….. no, non quelli del ‘66, correva l’anno 1990; per molti è l’anno dei mondiali di calcio in Italia, e di Gianna Nannini, degli occhi spiritati di Totò Schillaci e delle notti magiche, ma per me è anche l’anno della maturità scientifica.

Non ricordo molto di quei giorni: mi sono rimaste impresse la tensione, le notti in bianco sui libri, Venditti (ebbene si, lo confesso, anche io ho ascoltato e riascoltato QUELLA canzone), il dizionario dei sinonimi e dei contrari in luogo del dizionario classico. Insomma i soliti ricordi condivisi con mezzo milione di ragazzotti poco più che diciottenni ogni anno.

Ed oggi, un quarto di secolo dopo, come ogni anno da quel lontano 1990, giorno della seconda prova scritta, (matematica ovviamente) mi ritrovo a dare un’occhiata ai problemi con i quali dovranno confrontarsi i maturandi.

Ed oggi, un quarto di secolo dopo, come ogni anno da quel lontano 1990, guardando i problemi, mi ritrovo a non capirci un cazzo; a non saperci quasi nemmeno leggere tra quella sfilza di segni strani, a quella elencazione di alfa, gamma e iota, che fanno somigliare i problemi ad una traduzione dal greco.

Ed oggi, un quarto di secolo dopo, come ogni anno da quel lontano 1990, riguardando il mio diploma di maturità scientifica incorniciato ed appeso al muro nella sua bella cornice di legno scuro, mi ritrovo a pensare che, forse, superare quell’esame, è stato un miracolo; magari piccolino, infinitesimale, ma pur sempre un miracolo…

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