I salvataggi in mare e la Costituzione

Rights and Stones
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5 min readSep 30, 2020

di Arturo Salerni

Open Arms sequestrata a Pozzallo — Foto di Gregor Rom

1. In caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Alta Parte Contraente può prendere delle misure in deroga alle obbligazioni previste nella presente Convenzione nella stretta misura in cui la situazione lo esiga e a condizione che tali misure non siano in contraddizione con le altre obbligazioni derivanti dal diritto internazionale. 2. La disposizione precedente non autorizza alcuna deroga all’articolo 2 salvo che per il caso di decesso risultante da legittimi atti di guerra, e agli articoli 3, 4 (paragrafo 1) e 7.

Così recita l’articolo 15 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, una norma che, nel prevedere la possibilità di deroga ad alcuni obblighi convenzionali in situazioni eccezionali (comunque proporzionate e strettamente necessarie rispetto alla situazione che lo esiga), sancisce espressamente la prevalenza e in ogni caso della tutela del diritto alla vita e della protezione dalla tortura e dai trattamenti inumani e degradanti. La norma convenzionale in Italia acquista un valore costituzionale per effetto del richiamo contenuto all’art.117 Cost.

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Il Senato ha recentemente autorizzato il procedimento penale nei confronti di Matteo Salvini, Ministro dell’Interno in carica nell’agosto 2019, con riferimento al comportamento consistito negli impedimenti frapposti allo sbarco di naufraghi soccorsi nel Mar Mediterraneo dalla ONG spagnola Open Arms. Davanti all’isola di Lampedusa per diversi giorni all’equipaggio della ONG fu impedito di far sbarcare le persone (e tra esse diversi minorenni) che si trovavano a bordo della nave in condizioni disperate e progressivamente più difficili, persone che peraltro avevano manifestato la volontà di richiedere protezione internazionale al nostro paese.

Tale situazione si venne a creare a seguito del provvedimento con cui il TAR del Lazio sospese l’efficacia del decreto interministeriale che vietava alla nave Open Arms, con il suo carico di persone, l’ingresso nelle acque territoriali italiane. Il provvedimento era stato adottato in forza di un decreto-legge approvato nel giugno di quell’anno, e poi convertito all’inizio di agosto in una legge tuttora in vigore che prevede sanzioni pesantissime nei confronti dei trasgressori dei divieti di ingresso nelle acque italiane e di sbarco delle persone sottratte al naufragio.

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La normativa italiana ed internazionale accorda una particolare tutela ai richiedenti asilo, che ai sensi dell’art. 10 della Costituzione va riconosciuto a colui al quale “sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”. L’ONG evidenziò nel ricorso al TAR il fatto che, secondo l’art. 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani, tutti hanno il diritto di chiedere asilo e di usufruire di tale diritto, e che — come sottolineato dalla Comunicazione ONU del 15 maggio 2019 — “la valutazione della domanda di asilo non può essere effettuata in mare.

L’obbligo di soccorso in mare discende da una norma consuetudinaria progressivamente codificata da convenzioni e trattati che costituiscono, nel loro insieme, il diritto internazionale del mare; si tratta di un obbligo così fondamentale che viene garantito dal diritto internazionale anche in tempo di guerra, con riferimento all’obbligo di prestare soccorso persino a navi militari nemiche. In capo ai quali vi è il dovere di predisporre sistemi per il coordinamento e l’intervento in mare a tutela del diritto alla vita di chi si trova in pericolo, con l’onere per gli Stati di permettere lo sbarco dei naufraghi nel più breve tempo possibile, in un luogo in cui la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non sia più minacciata.

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Il decreto-legge 53 del 2019, convertito in legge, prevede che il divieto di ingresso possa essere imposto soltanto in caso di violazioni della Convenzione di Montego Bay e nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia. Lamentava Open Arms (ed il TAR ha accolto le sue censure) che il provvedimento interministeriale era stato emesso in difetto delle condizioni per disporre la limitazione o il divieto indicate nella norma ed in contrasto con le convenzioni e normative internazionali.

In ogni caso Open Arms sollevava la questione di legittimità costituzionale del decreto legge del 14.6.2019 innanzitutto con riguardo alla violazione dell’art. 77 della Costituzione, in assenza di quei “casi straordinari di necessità ed urgenza”, che sono costituzionalmente previsti per l’emanazione di decreti aventi valore di legge. Il decreto contiene al suo interno norme del tutto disomogenee; per la Corte Costituzionale l’inserimento di norme con finalità eterogenee è sintomatico della mancanza dei requisiti di necessità e urgenza e l’assenza di tali requisiti inficia la stessa legge di conversione, che non può sanare ogni vizio dell’originario provvedimento provvisorio del governo.

Per quanto riguarda la formulazione dell’articolo sui salvataggi in mare, la norma sembrerebbe fare salvi gli obblighi internazionali, derivanti dalle Convenzioni ONU, e quindi o tale norma è inutile perché costituisce espressione di una facoltà già esistente in presenza di un vero e proprio pericolo per la sicurezza e delle condizioni per il c.d. passaggio pregiudizievole oppure essa costituisce una palese violazione degli obblighi di carattere costituzionale ed internazionale che regolano i salvataggi in mare ed impongono che la tutela della vita umana dei naufraghi prevalga su una non meglio precisata esigenza di sicurezza, poiché tale esigenza viene in realtà finalizzata ad impedire o comunque ostacolare l’operato di chi salva vite umane, e quindi si pone in palese violazione degli articoli 2, 10 e 117 della Costituzione.

Nel caso dell’agosto dello scorso anno il giudice amministrativo ha ritenuto la applicazione del decreto in contrasto non solo con le convenzioni sul soccorso in mare, che impongono il salvataggio ed il trasferimento dei soccorsi in un place of safety –convenzione S.A.R. del 1979 -, ma anche con la tutela dei più basilari diritti umani garantiti dalle carte internazionali e dalla Costituzione italiana (diritto alla vita, tutela della salute, diritto a non subire tortura, diritto all’asilo politico).

La permanenza ancora oggi della disposizione legislativa che apre il secondo Decreto Salvini lascia intatti quindi i rilievi che già a suo tempo vennero formulati (insieme a quelli provenienti dal Quirinale in ordine alla manifesta sproporzione delle sanzioni previste) ed è quindi necessario un ripensamento della materia da parte del nostro Parlamento che metta in primo luogo la tutela della vita e dell’incolumità delle persone ed il rispetto del diritto di asilo.

Questa riflessione deve essere compiuta nell’ambito di una valutazione complessiva sulle conseguenze che le scelte politiche comportano in termini di aumento delle morti nei percorsi migratori e di violazione dei più basilari diritti attraverso accordi con governi che sistematicamente violano i diritti umani.

Arturo Salerni è presidente di CILD. Avvocato che opera nel campo del diritto penale, amministrativo e internazionale, occupandosi della tutela dei diritti umani è stato presidente dell’associazione Progetto Diritti, dove ha lavorato per la tutela legale delle fasce più svantaggiate della società. È stato inoltre presidente di Europa Levante per i diritti del popolo curdo, e dell’Azienda Farmasociosanitaria di Roma Capitale-Farmacap. Attualmente è presidente del Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos, ed è stato uno dei fondatori di Antigone, associazione che si occupa di diritto penale e penitenziario.

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