Immigrazione e sicurezza. Un’analisi del decreto governativo

Rights and Stones
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7 min readOct 14, 2020

di Gennaro Santoro*

Il Consiglio dei Ministri del 5 ottobre scorso ha licenziato un decreto che modifica i precedenti decreti 113 del 2018 e 53 del 2019, i cosiddetti “Decreti Sicurezza” voluti dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini.

Il decreto interviene non solo in tema di immigrazione e protezione internazionale ma anche su daspo urbano e in materia penale, con l’aggravamento della pena per il reato di rissa e l’ampliamento delle ipotesi dell’arresto in flagranza differita per reati commessi nei CPR (Centri Permanenti per i Rimpatri) .

Il provvedimento ci offre l’immagine di un legislatore che continua ad apparire come un Visconte dimezzato, fornendoci un testo disomogeneo e complesso con norme fortemente innovative e di rottura con il passato ed altre che perseverano ad alimentare l’ipertrofia e il populismo penale.

Prima di entrare nella descrizione del provvedimento del governo, tuttavia, vale la pena ricordare che i precedenti decreti “Salvini” avevano subito già diversi interventi della Corte Costituzionale che ne aveva dichiarate incostituzionali alcune parti, in particolare sul divieto di iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo, ed erano state oggetto di rilievi critici da parte di numerosi giuristi per i diversi profili di possibile illegittimità costituzionale, a partire dall’abolizione della protezione umanitaria, dallo svuotamento del diritto di asilo e dallo smantellamento di sistema di accoglienza. Tematiche, queste ultime, oggetto di uno specifico ricorso da parte di numerose regioni dichiarato inammissibile in quanto la Corte Costituzionale ha ritenuto insussistente un interesse diretto delle regioni all’impugnazione.

CPR — Ponte Galeria a Roma, Twitter

Venendo al nuovo decreto partiamo approfondendo gli aspetti positivi introdotti in tema di habeas corpus e diritti fondamentali degli stranieri, per poi volgere uno sguardo alle novità relative al sistema sanzionatorio che continua ad interessare chi opera salvataggi in mare e, infine, ai profili repressivi contenuti nel decreto.

Si torna alla detenzione fino ad un massimo di 90 giorni nei CPR, contro i 180 giorni del decreto Salvini, salvo l’ipotesi di trattenuti provenienti da paesi che hanno sottoscritto accordi di riammissione con l’Italia per i quali può essere prevista un’ulteriore proroga di 30 giorni, per complessivi 120. Tale ultimo aspetto è peggiorativo rispetto al quadro normativo precedente al decreto Salvini e andrebbe abrogato in sede di conversione in legge. La detenzione in CPR, anche secondo la normativa europea, deve rappresentare una extrema ratio favorendo le misure alternative. In ogni caso, la detenzione non dovrebbe superare i 60 giorni, lasso di tempo più che sufficiente per verificare se vi è o meno la possibilità concreta di eseguire materialmente l’espulsione dal territorio nazionale. D’altronde, come evidenziato nell’e-book I profili di illegittimità costituzionale del Decreto Salvini e, in più occasioni, dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, la media dei rimpatri effettuati rispetto alle persone trattenute si è sempre attestata attorno al 50%, indipendente dai termini di trattenimento vigenti. I dati indicano quindi come l’efficacia del sistema delle misure di trattenimento, negli ultimi 20 anni, non sia direttamente correlata all’estensione dei termini massimi di permanenza nei centri, ma sia piuttosto dovuta ad altri fattori, primo fra tutti il livello di cooperazione offerto da ciascun paese di provenienza dei cittadini stranieri.

Viene finalmente previsto con legge ordinaria l’obbligo di garantire adeguati standard e il rispetto dei diritti fondamentali all’interno dei CPR e viene introdotto il diritto al reclamo dei trattenuti al Garante nazionale e ai Garanti regionali o locali e il (solo) Garante nazionale può inviare “specifiche raccomandazioni all’amministrazione interessata, se accerta la fondatezza delle istanze e dei reclami proposti dai soggetti trattenuti”, con l’obbligo dell’Amministrazione di adempiere ovvero comunicare “il dissenso motivato nel termine di trenta giorni”. Disposizione da salutare con favore e alla quale andrebbe aggiunto, in sede di conversione in legge, la possibilità per i trattenuti di poter proporre reclami avanti ad un’Autorità giudiziaria che possa, in caso di ulteriore inerzia dell’Amministrazione, anche essere invocata per rimuovere in concreto la violazione accertata in sede di reclamo. Altrimenti, in caso di inerzia dell’Amministrazione o rifiuto immotivato, il trattenuto non ha rimedi effettivi per tutelare i propri diritti oggetto del reclamo.

In tema di permessi di soggiorno viene ampliata la platea per il permesso per protezione speciale che può essere rilasciato anche a chi può dimostrare un alto livello di integrazione sul territorio italiano (a partire dai legami familiari) e, di contro, in caso di espulsione nel paese di destinazione non potrebbe esercitare diritti fondamentali. Non dunque una sorta di reintroduzione dell’abrogato istituto della protezione umanitaria, quanto piuttosto una valorizzazione dei processi di integrazione del migrante con anche l’estensione temporale della durata del permesso che ha ora validità biennale.

Ph. Luciano Massimi, Lampedusa

Un giudizio positivo va dato alla riforma del permesso per cure mediche che, stando al nuovo decreto, può essere concesso a chi versa in “gravi condizioni psico-fisiche o derivanti da gravi patologie” e non più in “condizioni di salute di particolare gravità”, ampliando la platea dei beneficiari e prevedendo esplicitamente la possibilità di lavorare per chi ottiene tale titolo di soggiorno.

E’ da salutare favorevolmente anche la possibilità di conversione in permesso per motivi di lavoro di numerose tipologie di permessi di soggiorno, tra cui anche il permesso per assistenza minori, rilasciato dal Tribunale per i minorenni per i genitori irregolari di un minorenne che fino ad oggi non avevano la possibilità di convertire tale permesso, anche quando avevano un regolare contratto di lavoro.

Inoltre, sulla scorta della recente sentenza della Corte costituzionale, è eliminato il divieto di registrazione anagrafica dei richiedenti asilo, a cui sarà rilasciato un documento di identità valido per tre anni. Finalmente, come sostenuto dalla Cild nella guida Anagrafe e Diritti, si afferma con chiarezza che l’iscrizione anagrafica del richiedente asilo può avvenire anche con la sola ricevuta attestante la formalizzazione della richiesta di protezione internazionale.

Ancora, si torna al sistema di accoglienza diffuso a cui accedono anche i richiedenti asilo e non solo i casi più vulnerabili, i minori e i beneficiari di protezione internazionale.

In tema di domanda di cittadinanza, l’attesa massima per l’evasione della richiesta passa da quattro a tre anni, mentre prima del decreto il termine massimo era fissato in due anni. Su questo aspetto si attendeva una scelta più coraggiosa del legislatore e non solo sui tempi del procedimento, essendo ormai improcrastinabile una riforma che superi l’anacronistica legge del 1992 e preveda meccanismi di acquisto della cittadinanza anche durante la minore età, quanto meno per chi è nato in Italia.

Più complesso il giudizio relativo alle modifiche delle procedure accelerate per la richiesta asilo e quello relativo ai salvataggi in mare. Per quel che riguarda le procedure, ad una prima analisi, sembra che non vi siano stati cambiamenti sostanziali rispetto alle riforme peggiorative introdotte dal decreto Salvini. Pertanto le persone che presentano domande reiterate o ritenute pretestuose o, ancora, che arrivano in frontiera provenienti dai paesi cosiddetti sicuri continuano a rischiare di essere sottoposte a detenzione, durante la quale subiscono una procedura accelerata e senza garanzie. Un’altra norma del decreto Salvini sopravvissuta riguarda il trattenimento nel cosiddetto luogo idoneo, cioè la possibilità di trattenere un irregolare in una struttura della polizia non meglio definita e da lì direttamente trasferita in aeroporto per il rimpatrio. Si tratta di misure di dubbia legittimità costituzionale sulle quali si auspica un intervento in sede di conversione in legge del decreto.

Per quel che riguarda i salvataggi in mare, si prevede che il provvedimento di divieto o di limitazione del transito e della sosta per le navi nel mare territoriale, per ragioni di ordine e sicurezza pubblica o di violazione delle norme sul traffico dei migranti, è limitato alle sole operazioni non comunicate ai competenti centri di coordinamento SAR e allo Stato di bandiera o effettuate senza rispettare le prescrizioni impartite dagli organi interessati. Inoltre, non sono più previste le sanzioni amministrative fino a un milione di euro. Ciò posto, la violazione del provvedimento comporta ora un regime sanzionatorio penale del codice della Navigazione che prevede la multa da 10mila a 50mila euro. E sarà un giudice al termine di un dibattimento a stabilire l’eventuale sanzione.

Ph. Ev / Unsplash

Giudizio del tutto negativo è da riservare al capitolo sicurezza urbana e strumenti repressivi. In primo luogo in quanto non sono stati oggetto di modifica gli interventi dei decreti Salvini che hanno introdotto un nuovo reato (con pena della reclusione da uno a sei anni) per chiunque blocchi o ingombri una strada, l’aumento delle pene per chi occupa casa, l’estensione delle misure di prevenzione di daspo. In secondo luogo, in quanto è stato introdotto un inasprimento della pena per il reato di rissa e ulteriori ipotesi per disporre il daspo che sembrano rispondere più ad esigenze di reazione simbolica alle pur drammatiche vicende accadute nelle ultime settimane, piuttosto che ad esigenze di politica criminale. Dimenticando che non è con l’inasprimento delle pene e delle ipotesi per disporre il daspo urbano che si neutralizzano comportamenti antisociali e di sopraffazione. Il nostro ordinamento già prevede misure cautelari, di prevenzione e sanzionatorie per reagire a tali condotte ed evitare la reiterazione delle stesse da parte di soggetti ritenuti socialmente pericolosi, senza la necessità di inasprimenti orientati più alla propaganda che alla soluzione del problema. Anche su questi temi auspichiamo, dunque, che il passaggio parlamentare di conversione in legge del decreto possa apportare interventi migliorativi.

*Avvocato specializzato in protezione dei diritti umani, accesso civico generalizzato (FOIA), diritto dell’immigrazione e diritto penale. È consulente legale della Coalizione Italiana per le libertà e i Diritti Civili (CILD), membro del direttivo dell’Associazione Antigone e collabora con l’Ufficio del Garante dei detenuti della Regione Lazio.

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