L’ergastolo ostativo alla prova di costituzionalità

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4 min readSep 24, 2020

di Ignazio Giovanni (Juan) Patrone

La Corte di cassazione, con ordinanza del 18 giugno 2020, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 4-bis, comma 1, e 58-ter della legge n. 354 del 1975, e dell’art. 2 del decreto-legge n. 152 del 1991, nella parte in cui escludono che il condannato all’ergastolo per delitti di tipo mafioso che non abbia collaborato con la giustizia possa essere ammesso alla liberazione condizionale.

Avvalendosi della recente riforma delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale — introdotta dalla Corte con sua deliberazione dell’8 gennaio 2020 — che consente a “le formazioni sociali senza scopo di lucro e (a)i soggetti istituzionali, portatori di interessi collettivi o diffusi attinenti alla questione di costituzionalità “ di presentare alla Corte un’opinione scritta, Antigone ha utilizzato questo nuovo importante strumento di vera e propria democrazia, depositando il proprio “amicus curiae”.

Ovviamente Antigone ha chiesto alla Corte di dichiarare l’illegittimità costituzionale delle disposizioni della cui compatibilità con gli artt. 3, 27 e 117 della Costituzione dubita la Cassazione.

La Cassazione nella sua ordinanza prende le mosse da due recenti pronunce, la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo nel caso Viola c. Italia e la sentenza della stessa Corte costituzionale n. 253 del 2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, dell’Ordinamento Penitenziario, nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416-bis del codice penale e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo OP, allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.

A sua volta la Corte europea, seguendo una propria consolidata giurisprudenza in materia di compatibilità dell’ergastolo con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ha ritenuto che la condizione prevista dalla legislazione italiana per accedere alla liberazione condizionale, e cioè la collaborazione con la giustizia, violi i principi della dignità della persona condannata.

Antigone ha ritenuto, visto che le due pronunce citate sono molto recenti e che il quadro normativo nazionale ed europeo è ben conosciuto della Corte costituzionale, di incentrare il proprio intervento su due punti: (a) la realtà dell’ergastolo ostativo oggi in Italia e (b) la contraddizione esistente oggi nell’ordinamento tra le disposizioni impugnate dalla Corte di cassazione ed il principio secondo il quale nessuno può essere obbligato ad autoaccusarsi.

Quanto al primo punto, rinviando per i particolari alla lettura dell’opinione, qui diremo solo che la pena della reclusione a vita è largamente usata e che le relative condanne sono in costante aumento, pur nel calo generale della criminalità in Italia: gli ergastolani in regime ostativo sono la netta maggioranza tra coloro i quali scontano la condanna al “fine pena: mai”, 1250 su 1802: persone escluse da qualsiasi speranza di rieducazione e reinserimento sociale, salvo che decidano di collaborare, nella maggior parte dei casi, inevitabilmente, autoaccusandosi anche di ulteriori delitti e mettendo a repentaglio la propria famiglia.

Relativamente al secondo profilo che abbiamo voluto portare alla attenzione della Corte costituzionale, abbiamo rilevato che esiste una contraddizione tra un principio generalmente rispettato e previsto dall’art. 274, comma 1, lett. a) del codice di procedura penale e dalla direttiva (UE) del 9 marzo 2016 n. 343, secondo il quale non si possono prevedere misure cautelari personali per il solo fatto che l’indagato sia rimasto in silenzio, rifiutandosi di collaborare, e la situazione del soggetto già condannato ed in esecuzione di pena, la cui posizione viene resa deteriore proprio dalla circostanza esclusa in sede cautelare.

Nel presentare il testo della opinione di Antigone, non possiamo non ricordare che il 25 settembre l’Università di Ferrara ha organizzato un webinar nazionale sull’argomento (al link www.amicuscuriae.it tutti i riferimenti ed il programma) e che altri soggetti, tra i quali il Garante nazionale, hanno presentato i lori amici curiae, disponibili al sito citato

Nato nel 1952, si è laureato con lode nel 1977 presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Genova. Nel 1980 ha iniziato la carriera in magistratura. Dal 1999 al 2005 è stato assistente di studio alla Corte costituzionale. Dal 2005 ha prestato servizio alla Procura generale della Corte di Cassazione dove è stato addetto al settore civile, al settore disciplinare e Coordinatore dell’Ufficio per gli affari internazionali. E’ stato Presidente di MEDEL, Magistrats Européens pour la Démocratie et les Libertés e Segretario generale di Magistratura democratica. E’ stato Secretary General of the Network of Public Prosecutors at the Supreme Judicial Courts of the European Union, punto di contatto italiano del Consultative Forum of Prosecutors General and Directors of Public Prosecutions of the Member States of the European Union e componente dal 2012 al 2018 del Gruppo di esperti sulla politica penale dell’Unione europea della Commissione europea. Dal 1 giugno 2020 è in quiescenza e collabora con Antigone e col Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Lazio.

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