“Madre” e “padre”: le conseguenze delle parole sull’esercizio dei diritti fondamentali

Rights and Stones
rightsandstones
Published in
7 min readOct 8, 2020

di Flaminia Delle Cese

Ph. Caitlin Childs / Flickr

Da ormai un anno e mezzo, in seguito all’entrata in vigore del decreto del Ministero dell’Interno 31 gennaio 2019, la disciplina dell’emissione della carta d’identità elettronica valida per l’espatrio per i minori è notevolmente cambiata rispetto a quanto previsto dal previgente decreto del Ministero dell’Interno del 23 dicembre 2015. Ad oggi, infatti, i soggetti autorizzati a richiedere la carta d’identità elettronica per i minori non sono più i “genitori”, ma più specificamente la “madre” e il “padre”. E se ciò può sembrare un mero cambiamento terminologico, nei fatti questa modifica crea enormi difficoltà a quelle coppie che si apprestano a richiedere il rilascio della carta d’identità elettronica per il proprio figlio senza rientrare nello schema istituzionale “madre” — “padre”. Parliamo di nuclei familiari formati, oltre che dal minore, da due madri o da due padri. Si tratta di una circostanza più che comune al giorno d’oggi, ma che l’ordinamento sembra non ritenere ancora degna di pieno riconoscimento. L’ordinamento sembra infatti voler apporre ulteriori ostacoli all’esercizio dei diritti delle coppie omosessuali, anziché creare condizioni di parità per individui che sono già spesso soggetti a discriminazioni da parte di soggetti non istituzionali.

Le modifiche introdotte dal decreto del Ministero dell’Interno 31 gennaio 2019 hanno interessato non solo il modello di carta d’identità elettronica valido per l’espatrio dei minori, ma anche la relativa modulistica e il software che gestisce l’emissione del documento, impedendo dunque all’Ufficiale dell’Anagrafe di adottare qualsivoglia soluzione diversa da quella imposta dalla normativa in esame. Qual è quindi, davanti a questa impasse burocratica, la via percorribile dalle coppie omogenitoriali per ottenere il rilascio della carta d’identità elettronica per i propri figli? Sostanzialmente dichiarare qualcosa di diverso dalla realtà. Ad oggi, infatti, l’Ufficiale dell’Anagrafe che si trovi davanti a una richiesta di rilascio della carta d’identità elettronica da parte di una coppia omogenitoriale non ha altra scelta se non indicare le due madri o i due padri come “madre” e “padre”, qualificando necessariamente uno dei genitori nel ruolo di genere che non corrisponde al vero. In caso contrario, la conseguenza sarebbe quella di impedire ai genitori l’esercizio dei propri diritti e doveri genitoriali attribuiti dalla legge in relazione alla richiesta della carta d’identità dei figli, nonché escludere i figli dal godimento di tutti quei diritti che discendono dalla titolarità di una carta d’identità.

Sono infatti numerose ed evidenti le violazioni delle norme di rango costituzionale in cui incorrono le disposizioni del decreto in questione.

Innanzitutto è apparente il contrasto con l’art. 2 della Costituzione, che tutela il diritto al rispetto della propria identità intesa come diritto a essere se stessi, con il relativo bagaglio di convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenzia e al tempo stesso qualifica ciascuno di noi. Il concetto di identità personale va oltre il nostro patrimonio genetico, abbracciando anche e soprattutto il concreto atteggiarsi delle scelte procreative che ci hanno portato al mondo e le decisioni della comunità di affetti di cui facciamo parte. Il diritto al rispetto della propria identità deve ritenersi tutelato dall’ordinamento anche sotto il profilo della corretta qualificazione delle relazioni familiari, in quanto lo status di “figlio di” è uno degli elementi fondanti dell’identità personale e sociale di ogni individuo. È dunque evidente come esso venga violato per tutti i membri del nucleo familiare nel momento in cui non si lascia altra scelta al minore e ai suoi genitori se non accettare l’emissione di un documento che necessariamente indicherà in maniera non corrispondente al vero uno dei genitori nelle coppie formate da soggetti che non siano puntualmente riconducibili all’inquadramento terminologico di “madre” o “padre”.

Ph. Daiga Ellaby / Unsplash

Nell’imporre un disallineamento tra verità fattuale e attestazione documentale il decreto è poi censurabile in riferimento all’art. 16 della Costituzione, che garantisce la libertà di espatrio. Stabilire delle regole di emissione dei documenti di espatrio tali da rendere sempre e necessariamente questi documenti non pienamente conformi all’identità dei soggetti interessati equivale infatti a porre a rischio il pieno, completo e libero godimento della libertà di circolazione dei minori interessati. L’esercizio del diritto all’espatrio viene ostacolato in particolare dal punto di vista pratico quando ci si trovi in un contesto regionale, come l’area Schengen, in cui il controllo di frontiera deve seguire procedure specifiche ed essere svolto in maniera particolarmente accurata nei confronti dei minori e dei soggetti che viaggiano con loro, e dove quindi l’indicazione errata del sesso di uno dei genitori può concretamente intralciare l’attraversamento delle frontiere.

In tema di minori figli di coppie omogenitoriali emerge poi la tensione tra le istanze di riconoscimento di situazioni di vita che non rientrano pedissequamente nei rigidi schemi della normativa e la pretesa dell’ordinamento giuridico di qualificare e disciplinare tali situazioni, che sono la proiezione naturale della fondamentale libertà di autodeterminarsi nella sfera affettiva. Il modello costituzionale di disciplina delle relazioni familiari ruota intorno all’art. 29 della Costituzione, che definisce la famiglia una «società naturale fondata sul matrimonio». Tuttavia, nell’evoluzione della società e, correttamente, nello sviluppo della giurisprudenza, l’ordinamento si è trovato a conoscere e a dover almeno tentare di disciplinare relazioni che tecnicamente non sono riconducibili alla definizione di cui all’art. 29. Nell’analisi delle relazioni familiari in evoluzione è infatti sempre necessario adottare una prospettiva di evoluzione della società, individuando la portata storico-sistematica dell’art. 29 alla luce dei principi di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione. È dunque necessario porre l’accento sugli obiettivi di promozione della personalità e trasformazione della società valorizzati dalla Costituzione e ancorare ad essi l’interpretazione degli sviluppi della società stessa.

Il decreto, impedendo alle famiglie di cui fanno parte coppie omogenitoriali di godere dei diritti sopraelencati a causa di una illogica rigidità documentale, si pone inoltre in forte contrasto con l’art. 3 della Costituzione che sancisce il principio di eguaglianza. Le modifiche apportate dal decreto implicano infatti la violazione del diritto a non essere discriminati nell’esercizio di una serie di libertà senza che questa disparità di trattamento sia giustificata in un’ottica di ragionevolezza dell’ordinamento. Nel caso delle coppie omogenitoriali, pur ammettendo che possa ritenersi sussistente la disomogeneità rispetto alle coppie eterogenitoriali in considerazione del sesso delle figure dei genitori, non può certamente reputarsi razionale la diversità di trattamento prevista dalla legge per queste due situazioni differenti. Perché se è vero che la valutazione della rilevanza delle diversità di situazioni in cui si trovano i soggetti dei rapporti da regolare è riservata alla discrezionalità del legislatore, questa discrezionalità non può trascendere i limiti stabiliti dall’ordinamento.

Ph. Tom Driggers / Flickr

Un’ultima considerazione riguarda la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, rilevante nel nostro ordinamento giuridico per il tramite del titolo V della Carta Costituzionale in particolare l’art. 117, comma 1 Cost. Il provvedimento in questione sembra infatti tradire lo spirito della Convenzione, che all’art. 3 pone l’accento sul migliore interesse del fanciullo (best interest of the child) in tutte le decisioni di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi. Un decreto che per mezzo di ostacoli burocratici impedisca al minore di godere dei propri diritti e delle proprie libertà appare infatti essersi totalmente dimenticato che a pagare le conseguenze delle modifiche normative intervenute nel 2019 sono le bambine e i bambini che non possono ottenere il rilascio della carta d’identità elettronica se non grazie a dichiarazioni mendaci dei propri genitori. Così facendo il decreto, “ancorando l’emissione del documento elettronico ad un concetto di famiglia ultra-tradizionale, finisce con l’impedire solo ad alcuni soggetti l’esercizio del diritto di ottenere il documento di identità (…) sacrificando sull’altare della decisione politica proprio quel soggetto intorno al quale ruota il concetto di famiglia che, molto in astratto, si intenderebbe tutelare e salvaguardare”.

L’intervento che il Ministero dell’Interno ha voluto realizzare per mezzo del decreto risulta quindi costituzionalmente illegittimo sotto molteplici profili nonché discriminatorio, dal momento che non permette di far coincidere lo status documentale con quello legale dei bambini e delle bambine che l’ordinamento già riconosce come figli e figlie di due padri o due madri. Si tratta di un intervento poco lungimirante, senz’altro incompatibile all’interno di un inquadramento giurisprudenziale nazionale che ha saputo e voluto cogliere il mutamento sociale con una visione inclusiva delle posizioni giuridiche soggettive de quibus, aderendo a tesi più aperturiste in tema di famiglia non precipuamente rientrante nel paradigma duale “madre” — “padre”. Sulle modifiche apportate dal decreto del Ministero dell’Interno 31 gennaio 2019, si era ampiamente soffermato il Garante per la Protezione dei Dati Personali che, con parere del 31 ottobre 2018 emesso su richiesta del Governo, evidenziava gli effetti discriminatori che ne sarebbero conseguiti. Della questione si è occupata anche la Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti Civili (CILD), approfondenone le varie sfaccettature nell’e-book “Genitori all’anagrafe e discriminazioni. Gli ideologismi e le illegittimità del decreto Salvini”. Nonostante gli interventi istituzionali e la mobilitazione della società civile questo decreto discriminatorio non è ancora stato abrogato, né sono serviti gli sforzi delle associazioni che difendono i diritti LGBTI davanti ai tribunali, come il ricorso che ha portato il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio a pronunciarsi con la sentenza n. 185/2020.

Sul fronte istituzionale si registrano dei (potenziali) cambiamenti in positivo, dal momento che il Ministra Lamorgese, a seguito dell’interrogazione presentata dalla senatrice Cirinnà lo scorso luglio, ha riferito che già nei giorni successivi sarebbe stato avviato un confronto sul tema dai competenti uffici del ministero dell’Interno per poi considerare la possibilità di un conseguente adeguamento dei software idonei a immettere i dati relativi alle domande di rilascio della carta d’identità elettronica per l’espatrio da parte di coppie omogenitoriali.

Ci si auspica quindi che le dichiarazioni appena richiamate diventino presto fatti e che venga adottata una soluzione alla “stortura” in questione che permetta di garantire una relazione tra diritto e sviluppo della società che sia coerente con le molteplici esperienze che caratterizzano l’autodeterminazione in materia familiare.

--

--