Come fenici risorte dalle ceneri e altre storie
Se c’è una cosa che la storia degli uomini insegna, è che non è mai troppo tardi per una seconda opportunità.
Mutiamo impressioni, opinioni, scelte, sentimenti e ciò che ci sta intorno. Quello spazio che così prepotentemente occupiamo con la nostra presenza, cambia con noi, in un costante divenire. Che sia intenzionale o meno, il paesaggio che ci circonda subisce irrimediabilmente i capricci del nostro essere umani: siamo capaci di atti d’incuria e mal gestione in certi casi, ma anche di interventi salvifici, redentori.
Quelli delle seconde opportunità.
Santo Stefano di Sessanio, piccolo borgo d’impronta medievale in provincia dell’Aquila, nel cuore del Parco Nazionale del Gran Sasso: la sua seconda opportunità l’ha avuta e ha saputo coglierla senza indugio, come una fenice che risorge dalle sue ceneri.
Da distretto feudale della baronia di Carapelle la base operativa della Signoria Medicea di Firenze per il commercio della lana “carfagna”, Santo Stefano di Sessanio, dopo anni di fiorente ricchezza, aveva infatti subito un impoverimento costante, dovuto agli avvenimenti storici dell’Unità d’Italia, che ne avevano annullato la tradizionale transumanza, e ad un fortissimo fenomeno di emigrazione. E così, l’intero paese e il suo antico centro storico, custode di una storia centenaria, avevano iniziato un lento e apparentemente inarrestabile processo di degrado.
È il 1994 quando un lungimirante imprenditore milanese di origini svedesi, Daniel Kihkgren, sceglie di investire nel borgo abruzzese, ormai praticamente spopolato e decadente. Acquista parte delle abitazioni abbandonate del centro storico e le ristruttura, nel pieno rispetto della tradizione costruttiva ed estetica del luogo, donando loro nuova vita e preservando il borgo dal definitivo abbandono. Kihkren sceglie inoltre di avviare un progetto di recupero e ridestinazione recettiva: l’albergo diffuso.
Non si è limitato a finanziare il restauro di buona parte delle abitazioni tipiche del borgo, ma le ha anche convertite in strutture ricettive, che ospitano oggi camere d’hotel, luoghi di ritrovo e piccole trattorie di cucina tradizionale abruzzese che ricalcano la storia del luogo.
Si tratta di un approccio di tutela che non si limita alla sola conservazione delle tracce più antiche di Santo Stefano di Sessanio, ma a una loro rivalutazione, in chiave contemporanea, che non ha mai estinto l’anima più profonda e autentica di questi luoghi e che oggi ha ancora molto da offrire.
E allora, in una storia di uomini e paesaggi, Santo Stefano di Sessanio è una perfetta rappresentazione di come vi sia sempre tempo e modo per le seconde occasioni. Da luogo della marginalità e dell’abbandono a cuore di sperimentazione e tutela, è oggi tra i Borghi più belli d’Italia, al centro di un sempre crescente interesse turistico e culturale.
Come Santo Stefano di Sessanio, tante piccole realtà cosiddette “minori” rimangono custodi di uno straordinario patrimonio storico, paesaggistico e di tradizione che nulla ha da invidiare alle più note realtà turistiche italiane. La loro messa in ombra e l’eventuale abbandono, integrale o sostanziale, che ne consegue minano l’intenzione, sempre dichiarata, di dare dignità al valore culturale del nostro Paese e del suo paesaggio.
È auspicabile pensare quindi a una prospettiva in cui non si utilizzeranno più termini come “minore” per indicare il presunto pregio ridotto di un luogo suggestivo, ma poco noto.