On the road nelle Marche

Racconti dall’estate 2019

Sara Di Cerbo
Rinascimento_2.0
6 min readMay 21, 2020

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Verdi colline marchigiane, ph. Sara Di Cerbo

L’Italia è uno di quei paesi che se vuoi davvero imparare a conoscerlo devi girarlo in macchina. Piazzarti al volante, possibilmente in buona compagnia, e partire senza una meta precisa e vedere un po’ dove ti portano l’istinto e Google Map.

La scorsa estate è andata esattamente così. Siamo partiti da Roma e abbiamo girato come delle trottole impazzite, cercando di schivare il caldo e le resse, in fuga verso una meta non ben precisata. Avevamo solo alcune tappe obbligatorie per far visita a parenti fortunatamente situati in paesi meravigliosi e ben dislocati per il centro Italia. Salutata l’Umbria, ci siamo diretti verso San Severino Marche, un paesino di campagna in provincia di Macerata.

A San Severino non c’è molto, ma c’è abbastanza.

La piazza principale nelle ore pomeridiane di agosto vede solo qualche turista, ignaro della calura soffocante, in cerca di ristoro sotto i portici e ai tavolini delle gelaterie. A volte in Italia diamo per scontata la bontà del gelato, eppure nessuno lo sa fare bene come noi, soprattutto quel pistacchio di Brontë insieme a tutti i tipi di fior di latte immaginabili. C’è quello classico, quello di pecora e quello di ricotta, quest’ultimo tra i miei preferiti, anche se trovarlo non è così semplice. Ecco, in quella piazza l’ho trovato e volevo affogarci dentro.

Certo non l’avrei sprecato così

Vicino a San Severino ci sono Pitino e Serrapetrona. Il primo con una torre altissima che si vede da tutte le colline circostanti, il secondo, invece, è sede del mio peccato preferito: la gola.

Serrapetrona è un piccolo borgo immerso tra le dolci e verdi colline marchigiane. Passeggiare tra le sue viuzze significa immergersi in un tempo cristallizzato da qualche parte nel passato. Ma il pezzo forte è la merenda. Non proprio quella che ci offriva la mamma da piccoli con una fetta di pane e nutella, ma piuttosto di quelle che offre il nonno Augusto ai nipoti diventati grandi: una bottiglia di buona vernaccia, tipica di queste parti, e una svariata serie di tipi di ciauscolo.

Cos’è il ciauscolo? Il salume più buono del mondo. Deriva dal nome latino Cibus Asculanum, o almeno è questo che racconta il nonno Augusto, e non vedo in che modo Wikipedia debba saperne di più. Si tratta di un tipo di salame molto grasso che si può fare con diverse parti del maiale (vegetariani, scusatemi). E se volete sapere la mia, e visto che in vacanza non mi si può parlare di dieta, il migliore di tutti è quello di fegato. Ma, ehi, non giudicatemi e provatelo con un bel bicchiere di vernaccia. Anche due. Facciamo tre (ma solo se la macchina poi non la prendete fino al mattino dopo).

Manco a dirlo, la merenda serrapetronese si prolunga fino a cena, alla faccia dell’apericena dei Navigli.

Ben ristorati, la seconda tappa del viaggio on the road è stata un’immersione nella natura, e più precisamente una scarpinata alle Gole dell’Infernaccio.

Acqua letteralmente dalla fonte, ph. Sara Di Cerbo

Il nome è tutto un programma, e per una poco atletica come me decisamente una minaccia realistica. Ci siamo alzati presto, riempito lo zaino degli avanzi della sera prima, messi un paio di scarpe da ginnastica (le Vans non sono classificate come scarpe da ginnastica, fidatevi) e ci siamo avviati su per i monti Sibillini.

Ero reticente, e ammetto di essermi fatta trascinare, ma una volta sul posto non ho potuto fare a meno di ricredermi.

L’acqua sorgiva scorreva direttamente dalle pareti, e io come una sciocca cittadina mi chiedevo se quell’acqua fosse buona e come fosse possibile che scorresse così, direttamente dalla roccia. La gola da principio era impressionante, salire su per la salita sconnessa mi ha fatto rimpiangere più e più volte i tre paia di sandali in valigia, insieme alle zeppe, ai sabot, alle vans, ma neanche un paio di scarpe da corsa. Poi abbiamo camminato in mezzo al bosco, con un bastone come unico sostegno e la cortesia dei viaggiatori e pellegrini che ci avevano preceduto: «Forza, non manca molto», ripeteva ciascuno al proprio passaggio.

Il cammino era sconnesso, faticoso sì, ma di sicuro ne è valsa la pena. E alla fine la meta: l’eremo di San Leonardo.

Certo che gli eremiti se li sapevano scegliere i posti, Eremo di San Leonardo, ph. Sara Di Cerbo

Improvvisamente ho ripensato a Boccaccio e alla novella di Alibec, ma non penso che la fanciullina si sarebbe fatta tutta quella scarpinata per rimettere il diavolo in ninferno, ma questa è tutta un’altra storia.

L’eremo, come tutto da quelle parti, mostrava le conseguenze del terribile terremoto del 2016, ma, nonostante le impalcature, continua a raccontare la sua secolare sacralità, a prescindere dal proprio credo.

E a proposito di terremoto, c’è un luogo delle mie Marche on the road che mi ha colpito più di tutti: Camerino.

Dalla Rocca del Borgia, Camerino, ph. Sara Di Cerbo

Non c’ero mai stata prima, e quindi non ho potuto mai vederne la bellezza intatta prima del 2016. Seguendo le curve della strada in salita ci siamo accorti subito che la popolazione aveva abbandonato ormai da tempo la cittadina. Una volta arrivati al Piazzale della Vittoria ci ha accolto una coppia di militari che se ne stava in attesa di chissà che cosa sotto una tenda bianca. Era tutto deserto. Solo in lontananza del vociare da bocciofila, di chi con un bicchiere di vino e un mazzo di carte dimentica per qualche istante la realtà.

Non si poteva entrare nella città. Dalla piazza erano evidenti i segni del pericolo, del terremoto e della fuga di quei tragici momenti. Le macerie di un piccolo condominio giacevano ancora sulla pavimentazione in stile rinascimentale, ed erano visibili gli interni che sembravo essere stati appena abbandonati.

Dal lato opposto però, la Rocca del Borgia si ergeva maestosa e potente, come se gli eventi del tempo non potessero scalfirla.

All’interno i giardini erano deserti, le altalene dondolavano al ritmo del vento, silenziose eppure ricche di storie da raccontare. Al di là delle mura, il paesaggio si estendeva infinito, verso le colline e i monti in lontananza. La giornata era splendida, il posto meraviglioso, ma la pace che si viveva ci ha costretto e un silenzio pieno di pensieri. Chissà che avrebbe detto il Borgia, chissà cosa avrebbe fatto per salvare quella sua città dall’oblio del tempo passato.

Io sono Cesare Borgia

Le Marche mi hanno mostrato un’Italia sottovalutata.

Natura, arte, buon cibo e una popolazione forte con tanta voglia di fare, che se ne frega delle difficoltà che la vita le ha imposto. Si tratta di uno di quei posti in cui non sai di volerci andare finché non ti ci trovi, e poi immancabilmente non te ne vuoi andare più.

Da uno di quei casali vecchio stile, osservando il vigneto e le colline, assaporando il profumo della terra e del caldo estivo, viene facile immaginarsi una vita così, più semplice, più faticosa, ma sicuramente molto più umana.

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Sara Di Cerbo
Rinascimento_2.0

Studentessa della @ScuolaHolden e del Master in progettazione, comunicazione del turismo culturale @UNITO. Appassionata di parole, pensieri e storie.