Creare un Internet femminista in Africa: perché Internet ha bisogno di femminist* e femminismi african*

Francesca Anelli
RompiBolle
Published in
8 min readMay 14, 2020

traduzione dell’articolo Making a Feminist Internet in Africa: Why the Internet Needs African Feminists and Feminisms di Sheena Magenya, apparso su GenderIT.org il 17 Marzo 2020

Illustrazione di Neema Iyer

Il detto “viviamo in tempi interessanti” non è mai stato così vero. Dopo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito il nuovo coronavirus, Covid-19, una pandemia, internet e la maggior parte dei media sono stati travolti da informazioni e disinformazioni sul virus, su come si contrae, su come si diffonde e su come le persone possono proteggere se stesse e i loro cari dal contrarlo. Anch’io mi ritrovo persa in un buco nero di informazioni e aggiornamenti sul virus, mentre mi preoccupo per i miei cari, amic* e collegh* di lavoro sparsi per il mondo. In questi tempi di quarantena e isolamento forzato, Internet e le altre tecnologie della comunicazione sono diventate un’ancora di salvezza per molte persone.

Molti incontri e riunioni vengono cancellati e rinviati, per cui la soluzione facile e veloce che si sente in giro è “va bè, incontriamoci online”. E qui sta il guaio: presentare internet come soluzione a un problema sociale, come una specie di bacchetta magica della comunicazione con uguali opportunità di accesso, uso e rappresentazione è falso. Ed è per questo che abbiamo sempre più bisogno di femminist* e femminismi african* che si occupano di internet e su internet, in modo da contrastare l’idea che la tecnologia metta tutt* sullo stesso piano e sia una soluzione infallibile a tutti i nostri problemi.

Che cosa ha a che fare l’attuale crisi globale del Covid-19 con un raduno di attivist* in Africa per “creare” un internet femminista? Molto, a dire il vero. Quando il progetto All Women Count-Take Back The Tech! (AWC-TBTT! — ogni donna conta, riprendiamoci la tecnologia) dell’Association for Progressive Communications Women’s Rights Programme (APC WRP — Programma per i diritti delle donne dell’ associazione per una comunicazione progressista) ha deciso di ospitare nell’ottobre 2019 un raduno per “creare un Internet femminista in Africa e nella diaspora africana” (MFIAfrica, Making a Feminist Internet in Africa), l’obiettivo era chiaro. Trovare e mettere insieme un gruppo di attivist*, pensatric*, artist* e femminist* african* per parlare di tecnologia, internet, potere e dell’impatto che ha sulle nostre vite e sul nostro lavoro. Non è stato il primo incontro di questo tipo, ma è stato il primo a tenersi in Africa, con e per l* femminist* e le attivist* african*.

Questi incontri sono iniziati nell’aprile del 2014, quando il WRP, già curioso di conoscere e a lavoro sulla tecnologia e sul suo effetto e ruolo nel plasmare le esperienze delle donne, delle persone LGBTIQA, delle persone con disabilità e quelle che esistono ai margini delle società normative, ha organizzato un incontro di menti e idee per scoprire come potrebbe essere un internet femminista. Da questo incontro è nata la prima bozza dei Principi femministi di Internet (FPI), un’analisi femminista in continua evoluzione sul ruolo di Internet e della tecnologia nelle nostre vite. Da allora ci sono stati molti altri incontri MFI di questo tipo in Europa dell’Est, Sud America, Sud-Est asiatico, Asia e più recentemente in Africa.

Dal primo incontro “Immagina un Internet Femminista” nel 2014, molto è cambiato nel panorama della tecnologia e di internet in tutto il mondo. In Kenya, ad esempio, tra il 2015 e il 2019, l’utilizzo attivo di internet a livello nazionale è cresciuto di 15 milioni di utenti. Questo cambiamento è più visibile sulle piattaforme social come Twitter e Facebook, con qualche voce femminile in più, più (anche se non abbastanza) visibilità per le persone LGBTIQA e più voci africane, che si prendono le loro vecchie e nuove rivincite online. La visibilità è cresciuta anche a causa della maggiore incidenza e denuncia della violenza di genere online e della violenza mediata dalla tecnologia. La velocità dei cambiamenti tecnologici influenza in modo significativo il funzionamento e l’evoluzione delle nostre società. La tecnologia ha portato varie comunità di persone in uno spazio in cui le realtà online e i suoi problemi non corrispondono a processi e risorse offline. La violenza di genere online, ad esempio, è una questione pressante sollevata da molte donne, da persone LGBTIQA e gender non-conforming (N.d.T che non si conformano al binarismo di genere), ma in molti paesi africani non c’è una legislazione che riconosca e agisca contro questi attacchi e violenze. Per questo motivo, lo spazio online è diventato un “posto sicuro” per chi è interessat* a attaccare le donne, le persone LGBTIQA e non binarie, riuscendo per lo più a farla franca. Far capire e imparare che le nostre vite e realtà online e offline sono diventate inestricabili rimane un lavoro importante che il WRP e migliaia di altr* attivist* e voci online continuano a fare. Per molti versi, Internet sembra l’illusione di un mondo nuovo che rischia però di rispecchiare norme e idee oppressive già esistenti nel mondo fatto di disuguglianze in cui abbiamo sempre vissuto. La disparità di accesso e di rappresentazione su Internet riproduce velocemente le oppressioni e le repressioni di sempre. La particolare voce e storia dell’Africa, in queste dinamiche, deve rappresentare una narrazione forte e potente per allontanarsi dalla marea bianca dominante verso un internet diverso e più inclusivo.

L’Africa è sempre stata, dal suo avvento come colonia occidentale sia come continente indipendente da strutture coloniali di potere e oppressione visibili, un curioso caso di studio per il mondo. Molte volte l’Africa si è percepita come la cavia del mondo, e molte volte è stata trattata come tale. È nel nostro continente che le aziende farmaceutiche occidentali vengono a testare illegalmente i farmaci. È successo nello stato settentrionale di Kano, in Nigeria, quando il gigante farmaceutico mondiale Pfizer ha testato illegalmente un farmaco anti-meningite su de* bambin*, causandone la disabilità o la morte. Il continente è disseminato di queste storie di sfrenato disprezzo per la vita e il territorio dell’Africa e de* suo* abitanti.

Quando si parla delle nostre interazioni con la tecnologia, l’Africa viene considerata beneficiaria e non innovatrice del settore. Inoltre, * molt* innovator* e pensator* nel campo della tecnologia sono spesso relegat* a occuparsi soltanto dei problemi del continente. Le nostre innovazioni riguardano carestia, siccità, malattie e morte. In Africa usiamo la tecnologia per cambiare le nostre vite, non innoviamo per divertimento, per piacere e per gioco. Ovviamente è una generalizzazione, ma è questa la narrazione dominante che troverete online. È questo il pericolo di una storia unica di cui parla Chimamanda (N.d.T il riferimento è al discorso e al libro omonimo della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, autrice di importanti testi di riferimento femministi), in cui verità diverse sono trattate come l’acqua, costrette a prendere la forma del recipiente in cui vengono versate.

Nell’angolo buio delle narrazioni popolari sull’Africa e sulla sua gente (e i suoi problemi) troverete nascoste le storie di donne, gay e persone con disabilità. Viviamo una realtà stratificata e complessa, in cui non sempre siamo stat* *custod* delle nostre narrazioni. Questa invisibilità delle narrazioni e delle realtà africane segue la scia delle persone che vivono nella diaspora, accomunate da esperienze condivise al di là del confine continentale e nel corso di secoli e decenni. Ma tutto ciò sta cambiando, e dobbiamo ringraziare l* femminist* african* per questo.

Internet e la tecnologia sono uno spazio di potere, oserei dire una forza, a cui le donne africane e le persone LGBTIQA hanno sempre contribuito. La nostra vita quotidiana si estende sulle piattaforme e gli strumenti online dove facciamo programmi e li condividiamo, amiamo e cresciamo. Internet ha contribuito a plasmare il nostro modo di essere percepit* e di percepire noi stess*. Internet, però, è anche uno spazio di grande violenza verso le persone che si esprimono in modi e con voci non conformi. Nei giorni del raduno di Making a Feminist Internet in Africa, le donne, le persone queer e non binarie, artist*, scrittor* e ricercator* (solo per citarne alcun*) dell’Africa e della diaspora hanno creato uno spazio per parlare di un internet femminista e di cosa significa per la mobilitazione politica in Africa. In questo spazio abbiamo trovato una comunione di difficoltà, ma anche di trionfi. Abbiamo condiviso tattiche e idee, abbiamo anche condiviso la nostra musica e le nostre danze! Nonostante l’Africa venga presentata come omogenea, non sappiamo abbastanza l’un* dell’altr* e siamo divis* dalla storia, dalle lingue e dalle tensioni politiche. Molte notizie e informazioni sono controllate da conglomerati media, che operano all’ombra di quelli occidentali, il più delle volte in grado, grazie a maggiori risorse, di accedere a storie e dare forma a narrazioni a cui noi, nonostante viviamo nel continente, non possiamo a nostra volta accedere. Ciò che vediamo nei media è spesso ciò che consideriamo come verità. Abbiamo così tante idee sbagliate l’un* sull’altr* e rispetto alle nostre realtà. Gl* african* della diaspora, in particolare, non si ritrovano facilmente nelle storie e nei racconti sull’Africa e sugl* african*. Internet, invece, ha creato spazi (a volte conflittuali) per queste conversazioni.

Avere nella stessa stanza più di 40 femminist* e attivist* provenienti da tutta l’Africa ci ha res* consapevoli dei nostri giudizi, del nostro privilegio e del nostro potere di fronte alle varie difficoltà nazionali e regionali. In quella stanza, è diventato chiaro che internet, così com’è, è afflitto dalle stesse disuguaglianze del mondo in cui viviamo. È necessario usare online la stessa gentilezza e attenzione con cui ci muoviamo nel mondo cercando di capire i vari problemi con cui ci scontriamo. Ma perché questo accada abbiamo bisogno di più femminist* african* che occupino spazio, che raccontino storie, che diano visioni alternative, che creino contenuti body-positive, che mettano in mostra il nostro corpo, il nostro talento e le nostre capacità. Sono le femministe africane a fare spazio online alle donne africane. Il potere delle storie di queer african* che parlano della loro vita sentimentale sotto lo sguardo di realtà sociali e culturali opprimenti e soffocanti è enorme. Trovare contenuti sulla moda per donne grasse, contenuti su sesso e sessualità per donne e persone LGBTIQA con disabilità, contenuti sul trucco per ragazzi gay… vuol dire rendere visibile la resistenza. Internet dice allo status quo eteronormativo che noi non scompariremo.

Online mancano ancora molte storie e realtà di donne e persone LGBTIQA africane. Un internet femminista deve avere più donne africane, più sessualità e diversità, più glitter. Un internet femminista non invisibilizza i contributi delle donne e delle persone africane allo sviluppo della tecnologia e di vari aspetti di internet. In un momento in cui si chiede alle persone più vulnerabili di stare lontane dagl* altr*, ci stiamo rivolgendo a un internet bigotto, razzista, omofobico e classista per ottenere compagnia e connessioni con un mondo più ampio. Chiediamo alle persone che non hanno adeguato accesso a internet di lavorare da casa su connessioni e con tecnologie che non hanno. Stiamo costringendo le persone a rivolgersi a un internet che non fornisce abbastanza informazioni su come assistere le persone colpite dall’epidemia. Senza abbastanza voci ragionevoli e senza interesse per le differenze e la diversità, rischiamo di far emergere subito dopo la quarantena persone più conservatrici e più radicalizzate di prima, attraverso l’accesso a un Internet che rappresenta una minoranza dominante e oppressiva. Senza un internet femminista che garantisca che tutte le persone possano accedere a e influenzarne i contenuti e la governance, replicheremo uno stile di vita violento e oppressivo da cui alla fine potremmo non riuscire più a liberarci.

Un internet femminista con più voci africane è uno spazio vibrante. Uno spazio per sperimentare e divertirsi. Costruire un internet femminista non vuol dire semplicemente radunare menti affini, ma anche chiamare all’azione. È pretendere diversità, sicurezza e divertimento. Non è poco. Ma un incontro alla volta, come con Making a Feminist Internet in Africa, è possibile iniziare a spingere per i cambiamenti sociali, culturali, economici e politici che chiediamo offline. In questo momento di crisi e di isolamento globale, la necessità di un internet femminista, che includa e raccolga le voci delle femministe africane, non è più necessaria: è fondamentale.

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Francesca Anelli
RompiBolle

Intersectional Feminist. After all this time? Always.