Di chi è la colpa di questo casino?

Francesca Anelli
RompiBolle
Published in
17 min readSep 27, 2019

traduzione dell’originale di Lis Dingjan per Nowhere and Everywhere
nowhereandeverywhere.co/change/whose-fault-is-this

Nel caso in cui non ve ne foste accorti, il mondo è un po’ nella merda. I consumi sono fuori controllo. Le emissioni aumentano ogni anno. I nostri sistemi di smaltimento dei rifiuti stanno collassando. La crescita urbana….cresce. Guardate qui in quante parti del mondo abbiamo già estratto risorse naturali, lo stiamo facendo adesso o programmiamo di farlo in futuro. Per fortuna per chi ci investe, c’è ancora terra da scavare.

mappa tratta da InfoMapper

Tenete presente che in questo pezzo mi riferisco al consumo eccessivo. Tutto ciò che consumiamo al di là dei nostri bisogni di base, che è in gran parte concentrato nelle persone più privilegiate (di cui noi, e molte persone che stanno leggendo, fanno parte).

La domanda è: di chi è la colpa? Dell’uomo, ovviamente.
Ma chi? Le aziende? I governi? I consumatori?

Riceviamo un sacco di messaggi e commenti che ci dicono che è colpa della Cina. Non è la Cina. Se lo dici, stai sfuggendo alle tue responsabilità. La Cina è certamente molto problematica, ma nel complesso sono le emissioni degli Stati Uniti le più alte del mondo. Gli Stati Uniti hanno contribuito maggiormente al problema nonostante la popolazione sia un quarto di quella cinese. Se approfondiamo e guardiamo all’impronta ecologica pro-capite non va molto meglio. Australia, America e Qatar hanno tutti statistiche scioccanti. Se tutti vivessero come in queste nazioni, saremmo fregati (popoli indigeni a parte, cioè; se vivessimo come i nativi le cose andrebbero benissimo, proprio come sono andate benissimo per decine di migliaia di anni). Ho molte, molte, molte riserve sulla Cina e probabilmente supererà gli Stati Uniti in termini di emissioni, ma ha perfettamente senso — è un’economia potentissima da oltre un miliardo di persone. È una cosa incredibile. La Cina è un problema enorme e fa la sua parte in maniera incosciente e implacabile, ma non l’hanno creata loro questa situazione. Su chi hanno modellato la loro industrializzazione e il loro sistema di ricchezza?

Quindi, per rispondere correttamente a questa domanda, ho intenzione di analizzare il problema da alcune angolazioni (ce ne sono molte di più). Metà della mia vita ha a che fare con il design thinking, quindi per me ha senso affrontarlo prima in questo modo (N.d.T: il design thinking è un approccio alla soluzione di problemi che si basa sui metodi del design). Durante questo processo di solito facciamo l’esercizio dei “ 5 perché”. Funziona così:

Cliente: mi serve un trapano
Perché?
Cliente: per fare dei buchi nel muro
Perché?
Cliente: per metterci delle viti
Perché?
Cliente: per installare delle mensole
Perché?
Cliente: per tenere in ordine il mio ufficio

Il cliente non voleva un trapano; voleva un ufficio pulito e organizzato che gli permettesse di lavorare efficacemente. L’esercizio aiuta a capire qual è la vera ragione dietro un servizio e il processo che stiamo progettando. Per capire di chi è la colpa di questo casino possiamo usare questo metodo, dato che alla fine le industrie non stanno scavando il terreno, facendo fracking, estraendo petrolio e inquinando con il carbone solo per divertirsi. In fondo, si tratta di far arrivare qualcosa all’utente finale. E quell’utente finale siamo spesso noi, i consumatori. Per esempio:

Azienda: abbiamo bisogno di estrarre oro
Perché?
Azienda: perché così possiamo venderlo ai nostri fornitori
Perché?
Azienda: perché così ci fanno dei prodotti
Perché?
Azienda: perché così possono vendere i prodotti ai loro clienti
Perché?
Azienda: perché i loro clienti vogliono dei gioielli

Se la guardiamo da questo punto di vista, è facile. Noi consumatori abbiamo delle colpe. È difficile sostenere che i paesi industrializzati non siano un gruppo di persone piuttosto avide. Vogliamo tutto e in qualche modo riusciamo a prendere le distanze dalla natura, dalle altre specie animali e dagli esseri umani che stanno soffrendo, per ottenerlo.

Il Centre for Behavior & the Environment ha pubblicato l’anno scorso un rapporto in cui si afferma che quasi due terzi delle emissioni globali sono legate sia a forme dirette che indirette di consumo umano. Anche secondo le stime più caute, il potenziale di un cambio delle abitudini allo scopo di ridurre il consumo di risorse naturali rappresenta un contributo enorme alla riduzione delle emissioni globali. Sono state analizzate le ottanta soluzioni per affrontare il riscaldamento globale più concrete proposte dal Project Drawdown (N.d.T: si tratta di un insieme di scienziati, imprenditori, ONG, aziende e ambientalisti che hanno stilato un elenco di possibili soluzioni al cambiamento climatico), che ha quantificato l’impatto della mitigazione delle emissioni, e trenta soluzioni sono risultate cambiamenti comportamentali in grado di mitigare il 19,9–36,8% delle emissioni globali nel periodo 2020–2050.

Le emissioni sono un sintomo del consumo e se non riduciamo i consumi non riduciamo le emissioni. Ci piace consumare cose, ma più consumiamo più assorbiamo le risorse del pianeta. Questo significa che dobbiamo creare quelle risorse o dobbiamo estrarle — e nel far ciò produciamo rifiuti. E il consumo aumenta di continuo. C’è un dilemma — come possiamo rivedere il consumo? Dobbiamo fare di più per imparare a vivere in modo sostenibile. Parliamo di sostenibilità, ma non sappiamo bene cosa significhi. Dobbiamo fare grandi progressi tecnologici rispetto al modo in cui utilizziamo e riutilizziamo i materiali, ma dobbiamo (anche) ridurre la domanda complessiva — e questo significa che dobbiamo cambiare i nostri comportamenti e cambiare il nostro stile di vita.
- Professor Sir Ian Boyd, responsabile della ricerca ambientale per il governo britannico

Quindi è colpa nostra, giusto? Beh, non è così semplice. Per niente. Perché, com’è che vogliamo così tanto? Non siamo nati con questo desiderio; è indotto. È il marketing che usa i suoi trucchetti per costringerci a comprare? Sono i designer che conoscono le nostre inclinazioni e schemi mentali e sanno come manipolarli per farci volere sempre di più? Sono i pubblicitari che hanno fatto test sul linguaggio da usare in modo da sapere quali sono più efficaci per la vendita? Volevi davvero quella cosa se, presentata con parole diverse, non l’avresti comprata? Perché se alcuni resistono a queste cose, altri no non ci riescono? Sono gli amministratori delegati che devono rispondere agli azionisti che a loro volta vogliono una crescita costante? Sono i governi che sono caduti nella trappola di mostrare alla gente che il loro paese vive una crescita continua e senza fine perché questo è ciò che ci è stato detto essere la strada per il successo? Hanno impostato su questo le loro politiche in modo che i leader aziendali li soddisfacessero? Sono le tasse che aumentano e quindi dobbiamo lavorare sempre più a lungo e con maggiore impegno, producendo più cose, per soddisfare le nostre esigenze? O è che la nostra società ci rende così infelici che cerchiamo di riempire questo vuoto con beni materiali e, dato che la soddisfazione svanisce presto, continuiamo a consumare ancora, e ancora, e ancora?

Le aziende traggono grandi vantaggi dal fatto che ci concentriamo sul singolo consumatore piuttosto che sui loro processi. Ogni volta che parliamo di responsabilità personale, smettiamo di parlare della responsabilità delle aziende. E questo funziona a più livelli. Ad oggi, Keep America Beautiful (N.d.T: una ONG che si occupa di riciclo, cura delle comunità e degli spazi pubblici) è ancora guidata dai dirigenti di aziende produttrici di bibite gassate e di materie plastiche, tra cui Dr. Pepper, Dow e l’American Chemistry Council. Lavorano con Coca-Cola, PepsiCo e il gruppo di aziende affiliate all’agenzia americana per le bevande, e producono campagne intelligenti che continuano a concentrarsi su questioni di minor conto legate alla spazzatura; ci dicono che tutti noi dobbiamo gestire meglio i nostri rifiuti in plastica, ma allo stesso tempo si oppongono alle leggi che li costringerebbero ad assumersi la responsabilità per i rifiuti creati.

O anche questo si può ricondurre alla nostra innata avidità? Di certo non abbiamo bisogno di bibite gassate. Potreste essere diventati dipendenti dagli zuccheri o dai prodotti chimici, ma alla fine è una scelta (nei paesi in cui si ha accesso all’acqua potabile o ad altre alternative). Il capitalismo può anche esserci stato imposto, inizialmente, ma ora è ciò per cui votiamo. La gente non si è mica mobilitata per andare a votare in massa Bernie Sanders (che in quel caso parlava di allontanamento dall’ipercapitalismo). E alla fine ha dato il suo voto ad un finto miliardario che vive sui campi da golf e in torri d’avorio grazie al capitalismo e al consumismo, invece che a una politica esperta. In Australia hanno votato per un tizio che mangia cipolle crude, poi per un uomo d’affari particolarmente appassionato di paradisi fiscali offshore e per uno che venera il carbone (sul serio).

Non facciamo manifestazioni di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo per cambiare l’ipercapitalismo (il movimento Occupy è quello che ci si avvicina di più). La maggior parte di noi nel neoliberismo ci è praticamente nato e non ha avuto voce in capitolo. Parliamo dell’economia in maniera stratta, senza mai capire perché ha la forma che ha e chi ne trae beneficio. Di base, la maggior parte di noi vuole diventare più ricco. Vogliamo di più. Di più. Di più. Di più.

Nelle vere democrazie (di cui in realtà non ce n’è nemmeno una, ma almeno quelle in cui il tuo voto conta) il popolo avrebbe potuto votare meglio. Non l’abbiamo fatto. Possiamo scegliere di educarci, nell’era del libero accesso. Nella maggior parte dei casi non lo facciamo. Al punto che le persone istruite sono anche considerate inaffidabili, il negazionismo climatico va alla grande, e i sentimenti sono più importanti dei fatti.

Molto prima di aver esaurito tutto il carbone su questo pianeta, avremo ampiamente superato i livelli tollerabili di concentrazione di CO2. Dovremmo fare i conti con il fatto che non possiamo usare tutto quel carbone. La questione della CO2 non viene presa in seria considerazione. Ed è giunto il momento di farlo. Abbiamo il diritto di fare esperimenti con il nostro pianeta? Credo di no. Penso che abbiamo delle responsabilità verso le future generazioni, verso le altre forme di vita sul pianeta, un profondo dovere di controllarci e, in questo momento, non sembra che lo stiamo facendo. Ma fermare qualcosa che scorre facilmente non è semplice. Ci piace troppo…
È la nostra ricchezza che ha prodotto CO2. Avendo creato noi il problema, possiamo ragionevolmente chiedere ai paesi che non hanno mai goduto di tutto questo di essere quelli moderati?
-Warming Warming, 1981 (documentario britannico sul cambiamento climatico causato dall’uomo)

Ma ovviamente non è così semplice. Abbiamo bisogno di cose, come i vestiti, e anche se ora vogliamo avere sempre di più, al prezzo più basso, senza curarci del lavoro che c’è dietro, non abbiamo mica chiesto che venga fatto in gran parte con poliestere inquinante che produce scorie chimiche in massa. È stata la nostra richiesta di più a meno che ha creato il problema, o l’industria si è spostata verso un costo più basso (allontanandosi così da fonti sostenibili) e ha creato quindi la domanda a cui, a quel punto, non siamo stati in grado di resistere (sia che si tratti di una specie di dipendenza, che di un male necessario)? Non è che abbiamo tempo per coltivarci tutto il nostro cibo e ottenere un orticello di quartiere è difficilissimo in certi posti. Il sistema non trae profitto da cibo gratis. E così compriamo ciò che ci viene messo a disposizione. Spedito da tutto il mondo perché i nostri governi sono coinvolti in complessi accordi commerciali a scopo di lucro. Avvolto in una pellicola trasparente che spesso non possiamo evitare perché siamo di fretta. O perché viviamo in un posto in cui non si trova altro cibo. Comprato da monopoli della grande distribuzione che non hanno alcun incentivo a ridurre gli sprechi alimentari dei clienti perché vivono grazie ad un sistema in cui si vendono più prodotti che mai.

Questa complessità si estende anche ad altri ambiti. Sono una grande sostenitrice della scuola pubblica. Credo fermamente che dovremmo avere eccellenti scuole pubbliche. Rende l’istruzione più equa, più diversificata e accessibile. Ma non siamo noi a costruire le scuole. Proprio come non costruiamo gli uffici in cui lavoriamo. Non scegliamo i materiali o la forza lavoro che viene utilizzata. Non abbiamo granché controllo sui sistemi energetici, sull’uso dell’acqua, sui rifiuti e su ciò che l’ente sceglierà di permettere. La scuola o le aziende ci portano vantaggi (in una società in cui abbiamo deciso che questo è importante), ma abbiamo probabilmente contribuito ad un significativo esaurimento delle risorse.

Forse non vogliamo contribuire allo sfruttamento in Congo (delle persone e delle risorse) ma viviamo in un mondo in cui è piuttosto difficile andare a lavorare, visto che quel lavoro è necessario per pagare il mutuo, senza un telefono. E così il tuo telefono fa parte del problema, a meno che tu non abbia acquistato un Fairphone. E magari questa azienda non l’hai mai sentita nominare, perché chi ha tempo di fare ricerche quando dobbiamo lavorare un sacco tra bambini, le cose della vita e la frenesia, perché è così che il sistema è funziona, adesso? È impostato per distrarci e consumarci, in modo da farci consumare di più. Tenere la gente occupata è un vantaggio per i governi e le industrie. Eppure, è una nostra scelta quella di comprare un telefono nuovo ad ogni aggiornamento, piuttosto che limitarci prenderci cura dei nostri strumenti tecnologici ed evitare di sbavare dietro l’ultima versione (i telefoni funzionano ancora bene dopo quattro o cinque anni). Non ci siamo spostati verso un’economia basata prevalentemente sui servizi.

Naturalmente è chiaro che tutti, qui, sono in difetto. I nostri rapporti con gli altri — consumatori, aziende e governi — sono ingarbugliati in tutte le direzioni. Per certi versi abbiamo tante possibilità di scelta, per altri nessuna(dove per noi intendo noi persone privilegiate). Traiamo beneficio e allo stesso tempo soffriamo del sistema. Vogliamo il sistema in cui ci troviamo, e allo stesso tempo vogliamo distruggerlo.

In termini di sistema, continuiamo a guardare le questioni da diverse angolazioni, ma alla fine dobbiamo decidere dove tracciare una linea per risolvere i problemi. Lo stesso vale in questo caso. Se torniamo un po’ indietro, è colpa dei baby boomer (N.d.T. la generazione nata tra il ’45 e il ‘59)? Certo che lo è. Ma andiamo un altro po’ a fondo. Era il dopoguerra. Queste persone si portavano dietro un sacco di traumi. Sono cresciuti con una strana visione della ricchezza e dell’individualismo. Poi hanno dovuto affrontare un nuovo insieme di guerre. Ma è anche chiaro che se andiamo un altro po’ indietro molti dei nostri problemi derivano in realtà dall’industrializzazione e dalla colonizzazione. Possiamo andare oltre, e continuare a indagare su come tutto ciò è avvenuto e come ci siamo arrivati (ed è importante per comprendere il mondo e per creare trasformazioni e cambiamenti equi), ma adesso dobbiamo tracciare una linea e affrontare il problema in cui ci troviamo. Ed è un casino.

Quindi, come usciamo da questo casino tenendo a mente che giochiamo tutti un ruolo importante?

  1. Se godete di privilegi, riducete i vostri consumi. Ripensate immediatamente le dimensioni della vostra casa, che stanno diventando assolutamente fuori controllo in luoghi come l’Australia e l’America, con i numeri più alti in termini di metri quadri per persona. Vi prometto che non avete bisogno di quella nuova auto alimentata a combustibili fossili. Non compratela. A meno che non abbiate disperatamente bisogno di quella tal cosa per vivere, pensateci per un mese prima di comprarla; Il desiderio probabilmente passerà. Abbiamo buttato giù una lista che puoi controllare prima di prendere decisioni di acquisto. Un sacco di quello che facciamo è dato dall’abitudine; abbiamo bisogno di fermarci e forzarci ad abbandonare quell’istinto a comprare che ci hanno inculcato. È ottimo anche per gestire il budget, che per molti di noi è un limite anche perché dobbiamo ripagare dei debiti. A vedere quanto poco riuscite a comprare, quanto potete ridurre i vostri consumi e quindi risparmiare può venir fuori anche un gioco. E per quando il gioco si fa duro, posso mangiare pasta al pomodoro per mesi. Se non avete limiti di budget, imponetevene uno. In generale, più si è ricchi, più si contribuisce al problema. Se fate parte della categoria, donate metà del vostro reddito o cercate altri modi in cui potete contribuire.
  2. Abbiamo bisogno di leggi e quadri normativi di gran lunga migliori. Questa sarà la chiave del nostro successo. Abbiamo bisogno di aziende fortemente regolamentate quando si ha a che fare con lo sfruttamento ambientale (e di catene di approvvigionamento etico). A dire il vero, dobbiamo proibirlo. Abbiamo bisogno di leggi sulla trasparenza che garantiscano che le aziende siano obbligate a rendere pubblico il loro impatto ambientale (comprese le emissioni, le estrazioni, l’utilizzo dell’acqua, la deforestazione, il cambiamento di destinazione dei terreni, la perdita di biodiversità, ecc.). Abbiamo bisogno di normative che blocchino l’uso di determinati materiali e sostanze chimiche e fare tutto il possibile per garantire che le aziende rispettino le regole dell’economia circolare o altrimenti cessino di esistere. L’obsolescenza programmata deve essere vietata. Dobbiamo anche iniziare a sperimentare con le tasse che incentivano e scoraggiano alcune decisioni di acquisto. È dimostrato che funziona e possiamo farlo in modo equo. In maniera analoga, possiamo creare progetti per applicare migliorie a ciò che già esiste, come programmi per aiutare le famiglie ad installare i pannelli solari.
  3. A tal proposito, dobbiamo eliminare il lobbying aziendale e i finanziamenti alla politica. È semplice. I magnati del settore minerario o i dirigenti delle compagnie che si occupano di combustibili fossili non dovrebbero finanziare nessuno. A nessuno dovrebbe essere concessa una posizione di prestigio in un’azienda privata appena scaduto il mandato, come ringraziamento dei favori fatti durante la carica pubblica. Nessuno dovrebbe essere influenzato in alcun modo da aziende con obiettivi distruttivi — ed estrattivi. Se non ci liberiamo della corruzione ai piani alti, non risolveremo i nostri problemi.
  4. Abbiamo bisogno di votare meglio e di un gruppo di politici ispiratori. In realtà prima di votare dovremmo educarci. Nei Paesi Bassi c’è un quiz in cui ti viene chiesto cosa ne pensi di certi argomenti e ti vengono presentate una serie di questioni politiche attuali. Alla fine vi dice a quale partito siete più allineati (abbiamo otto partiti principali). È utile, ma soprattutto ti costringe a fare i conti con i problemi principali, a familiarizzare con essi. Tutti i paesi dovrebbero averne uno (anche se è su base volontaria; renderlo obbligatorio prima di votare non sarebbe un’idea terribile). Dobbiamo diventare elettori più consapevoli in grado di capire le cose che contano, non gli slogan o i reality show che perpetrano i media.
  5. Dobbiamo allontanarci dal modello di azionariato nella sua forma attuale. I dirigenti aziendali sono legalmente obbligati a fare solo ciò che è nell’interesse degli azionisti. Se pongono l’ambiente al di sopra dei profitti, ad esempio, potrebbero essere denunciati. Un caso interessante da sostenere potrebbe essere che, in ultima analisi, qualsiasi cosa che pone al primo posto la sostenibilità ambientale è anche nell’interesse degli azionisti, in quanto sostiene l’esistenza e i potenziali profitti futuri dell’azienda. Le società benefit (N.d.T. aziende che legalmente si pongono come obiettivo non soltanto creare profitto ma anche un beneficio comune per l’ambiente e la comunità in cui operano) stanno provando a cambiare qualcosa. Abbiamo un sacco di lavoro da fare in un mondo che non considera gli azionisti come attori da prendere in considerazione e, allo stesso tempo, gli investitori devono assumersi maggiore responsabilità rispetto a ciò che i loro soldi finanziano.
  6. Dobbiamo ripensare quei settori che ci fanno volere sempre di più. Il marketing, il design, il copywriting, l’ottimizzazione digitale e le vendite non possono andare avanti così. La maggior parte di noi si rende conto dei problemi che i designer hanno creato per quanto riguarda i videogiochi (in termini di dipendenza, acquisti e pubblicità), ma non riusciamo a vederli nei prodotti e servizi che ci circondano. Io sono una designer, alla fine. Tutti possiamo essere designer. Il design può essere — ed è — usato per il bene. Può essere anche una forza manipolatrice e capitalista. Queste industrie devono cambiare. Attualmente sono quasi del tutto incentivate a fare la cosa sbagliata rispetto a quella sostenibile ed etica. Potremmo usare queste capacità e competenze nelle organizzazioni che fanno del bene e per riprogettare questo sistema che ci limita.
  7. Idealmente dovremmo ridurre le nostre settimane lavorative ad almeno quattro giorni alla settimana invece che ridurre le ore. I governi e le aziende monopolizzano le nostre settimane per cinque o sei giorni. Non abbiamo tempo. Non abbiamo tempo da dedicare alla cucina per preparare i nostri cibi (riducendo significativamente gli sprechi di plastica e cibo). Non abbiamo tempo per riparare i nostri vestiti e i nostri dispositivi elettronici. Non abbiamo tempo da dedicare alla creazione di un orto comunitario con prodotti per tutti. Non abbiamo tempo per educarci sulla corruzione e sulle politiche governative. Non abbiamo tempo per fare volontariato per il nostro territorio. Non abbiamo tempo per responsabilizzare i nostri rappresentanti politici. Non abbiamo tempo per chiedere di più alle aziende. Abbiamo bisogno del nostro tempo— risolverebbe un bel po’ dei nostri problemi.
  8. E, infine, una cosa di cui non si parla abbastanza; dobbiamo riprenderci il nostro potere come comunità. Dobbiamo installare reti solari peer-to-peer (N.d.T. da gestire come comunità in maniera paritaria) nei nostri quartieri e controllare da soli il nostro approvvigionamento energetico. Dobbiamo utilizzare con regolarità applicazioni come ShareWaste. I più privilegiati tra noi dovrebbero creare orti comunitari (coltivare il proprio cibo è uno dei più grandi atti di ribellione che possiamo fare). Dobbiamo spostare i nostri soldi dalle grandi aziende direttamente agli agricoltori locali e alle piccole imprese che stanno facendo tutto nel modo giusto con risorse estremamente limitate. Dobbiamo costringere le aziende a cui siamo legati— come le banche — a non associarsi più alla distruzione. Dovrebbero essere i nostri governi a gestire le cose importanti come il trasporto pubblico ad alta velocità e ad assicurarsi che sia accessibile. Possono essere efficienti come le aziende private— se non di più, ma possiamo riprenderci il nostro potere anche in questi settori. Se non c’è di mezzo lo stato o il profitto, quello spazio appartiene a noi e possiamo eliminarne gli sprechi e la corruzione.

La distruzione della terra si può prevenire, se i governi non possono più rilasciare i permessi per utilizzarla, se gli assicuratori non possono più assicurarla, se gli investitori non possono più investirci, se gli amministratori delegati possono essere ritenuti penalmente responsabili, la distruzione cesserà.
Ecocide Law (N.d.T proposta per rendere illegale lo sfruttamento delle risorse che porta al degrado ambientale)

Queste soluzioni (o problemi) non toccano la giustizia climatica, la disuguaglianza, la povertà e altre questioni simili, ma, come sempre, amplieremo la conversazione in un altro post. È importante tenerlo a mente — qua si affronta una questione specifica dei paesi industrializzati.

Concludo con un post pubblicato sui nostri social di recente:

Mentre Greta Thunberg sta obbligando i politici a fare i conti con la verità al vertice delle Nazioni Unite sul clima, anche noi dobbiamo fare i conti con le nostre. E non sono facili da guardare.
Per oltre un decennio ho viaggiato, vissuto e lavorato in alcune delle regioni più povere del mondo. Ho visto bambini nati in condizioni di estrema povertà. Ho visto madri partorire su reti metalliche senza materasso, in una stanza vuota. Ho visto bambini finire in ospedale e morire per malattie curabili. Ho incontrato malati di AIDS che non hanno alternative. Ho perso un bambino di una famiglia che stavamo sostenendo in favore della tratta sessuale. Ho visto ragazzini drogati per trasportare merci. Ho visto famiglie e bambini lavorare da schiavi per il fast fashion (N.d.T. la moda a basso costo). Ho visto foreste venire abbattute completamente. Guardato fiumi e campi di riso soffocare a morte per via delle scorie chimiche. Ho parlato a persone che si trovano ad affrontare una delle scelte più difficili del mondo; distruggere il loro paese per fornire beni alle persone più ricche che vivono negli altri, o non mettere cibo in tavola.
Contemporaneamente ho visto amici che compravano auto nuove di zecca non sostenibili. Li ho visti riempire case enormi con cose di cui non hanno bisogno. Li ho ascoltati vantarsi di acquisti di magliette a basso costo. Montagne di plastica nelle loro case. Sono stata rimproverata per aver osato dire qualcosa. Mentre lasciavo la Cambogia quest’anno, un (non più)amico mi ha detto che avrei dovuto essere più ottimista riguardo alle sofferenze a cui ho assistito a causa del cambiamento climatico e dello sviluppo.
La scomoda verità? Milioni di persone soffrono, affinché noi possiamo prosperare sempre di più. Il costo delle scuole di lusso che frequentano i vostri figli, dei loro giocattoli, i loro vestiti nuovi e la quantità infinita di cibo processato è la sofferenza di altre famiglie.
Il nostro mondo è complesso. Abbiamo bisogno di lavorare in industrie dannose per poter mangiare. Abbiamo ancora bisogno delle case. Ma abbiamo anche molto più potere. Possiamo forzare collettivamente il cambiamento. E certamente abbiamo il potere di consumare molto meno. Siamo noi contro il sistema, ma possiamo prenderne il controllo. Ci siamo dentro, ogni giorno.
Alcuni economisti dicono che se vivessimo tutti come negli anni ’60 potremmo riportare questo mondo in equilibrio. il riferimento è alle nostre abitudini di consumo. Ciò tirerebbe fuori dalla povertà milioni di persone e riporterebbe le nostre abitudini di vita a livelli sostenibili. Secondo mia madre, gli anni ’60 non erano niente male in questo senso (e c’era comunque prosperità).

Lasciate decantare questo fastidio e poi usatelo per agire.

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Francesca Anelli
RompiBolle

Intersectional Feminist. After all this time? Always.