Il pericolo di praticare scienza senza moralità

Dove tracciate il confine tra buona scienza e cattive idee?

Francesca Anelli
RompiBolle
7 min readFeb 11, 2020

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Traduzione dall’originale di Sarah Olson: https://onezero.medium.com/is-it-necessary-for-science-to-be-moral-470357709fb4

Mathew Schwartz/Unsplash

Quando ho iniziato la mia carriera nella scrittura scientifica come matricola al college, ho sempre creduto che la scienza fosse una questione di autorità. All’epoca non capivo che invece è in continuo cambiamento. Gli studi possono essere ritirati, le teorie sostituite da altre e la conoscenza andare ad accumularsi sulla base di altra conoscenza. Vedevo le conclusioni della scienza come il fondamentalismo con cui sono cresciuta vede la parola della Bibbia: letterale, immutabile, scritta nella pietra.

La scienza, per un breve periodo, ha sostituito nella mia vita la religione, aveva tutte le risposte corrette e gl/l* scienziat* presentavano le proprie interpretazioni al pubblico come fossero sacerdot*. Ma studiando e recensendo libri di saggistica per il mio blog ho iniziato a notare i problemi. Le solide fondamenta su cui stavo costruendo la mia vita adulta cominciarono a rivelare le loro fratture.

Fu allora che mi resi conto che gli stessi problemi che mi avevano portato ad abbandonare la religione organizzata — autorità patriarcale, ingiustizia, squilibri di potere e interpretazioni pregiudizievoli delle prove— riguardavano anche la scienza. Solo che questa volta non ero interessata ad allontanarmene. Sono rimasta con l’intenzione di imparare ciò che significa fare buona scienza, in che modo questa è stata usata (male) dagli uomini e abusata dalla religione, dal passato ad oggi, e come può essere migliorata a beneficio di tutti.

La scienza cambia sempre, perché è “plasmata dal tempo e dal luogo in cui viene portata avanti”, scrive Angela Saini nel suo libro Superior : The Return of Race Science (Superior*: il ritorno della scienza sulla razza), “e in definitiva è in balia delle convinzioni politiche di coloro che la praticano”. Gli scienziati nazisti che hanno permesso e condotto atrocità, continua, “possono anche aver prodotto della buona scienza, se la bontà si misura in dati e non in vite umane”.

La scienza, dopo tutto, è solo uno strumento, e gli strumenti funzionano per gli scopi del* propr* utente — per quanto giusti o sbagliati possano essere quegli scopi. Carl Sagan una volta disse che la scienza non è tanto un sistema di conoscenze quanto più “un modo di interrogare l’universo con scetticismo e una buona comprensione della fallibilità umana”.
E a proposito di fallibilità umana, apprezzo molto un account Twitter chiamato @evopsychgoogle che condivide studi dagli obiettivi e conclusioni discutibili. La persona anonima dietro l’account lo usa per deridere questi studi, ma il fatto che la ricerca sia reale e pubblicata su riviste scientifiche professionali è inquietante.
Il mio primo pensiero quando ho letto di quegli studi è stato: come hanno fatto ad assicurarsi i finanziamenti per queste stronzate? Il mio secondo pensiero: la peer-review ( N.d.T: la revisione delle pubblicazioni affidata alla stessa comunità scientifica) avrebbe dovuto evitare tutto questo.

Di recente, l’account ha scatenato la comprensibile rabbia di Internet contro uno studio che valutava l’attrattività delle donne che soffrono di endometriosi. La sua conclusione? Le donne con endometriosi grave “avevano una silhouette più magra, seni più grandi e un coitarca più precoce [primo rapporto sessuale]”. Anche se è stato @evopsychgoogle a rendere lo studio virale tanto da spingere i media a scriverne nel 2019, è stato la dottoressa Jen Gunter, ginecologa, a scrivere per la prima volta una critica sprezzante dello studio, quando è emerso nel settembre 2012.
Pubblicato su Fertility and Sterility, una rivista dell’American Society for Reproductive Medicine, l’obiettivo di “Attrattività delle donne con endometriosi rettovaginale: uno studio caso-controllo” era quello di misurare l’attrattività fisica nelle donne con endometriosi rispetto alle donne senza. “Non riesco a capire come un piccolo gruppo di medici italiani che valuta l’attrattività delle donne con endometriosi a diversi stadi possa offrire un contributo alla scienza medica”, scrisse Gunter all’epoca. “Non c’è posto nella medicina per l’oggettivazione delle donne. E’ ancora più orribile che una simile pubblicazione provenga da un dipartimento di ginecologia”.

Ci sembra pacifico sostenere che tale studio sull’endometriosi non contribuisce in alcun modo alla salute e al benessere delle donne affette da questa patologia. Pertanto, non solo è inutile, ma il suo obiettivo è anche umiliante. Ecco il problema: non tutta la scienza contribuisce direttamente a migliorare la vita delle persone, ma dove tracciamo la linea di demarcazione tra la scienza che non è necessariamente utile e la scienza che non dovrebbe essere proprio portata avanti?

Questo è l’enigma che si trova ad affrontare la scienza del XXI secolo. Con una tecnologia straordinaria e ampie risorse a portata di mano, sembra che non ci sia alcuna ipotesi che non valga la pena perseguire. In questo selvaggio West della ricerca, penso che dovremmo provare a tracciare una linea di demarcazione tra la buona scienza e le cattive idee, per evitare di violare i diritti umani e la dignità. La scienza senza morale diventa un’arma per infliggere torti.

Account come @evopsychogoogle possono servire a deridere studi terribili e attirare l’attenzione su di essi, ma il fatto che ci sia così tanto materiale da condividere è inquietante. È un problema che la comunità scientifica deve affrontare e che gli editori di riviste devono iniziare a prendere sul serio.

Guardate la selezione di studi qui sotto. Il tema della razza e del QI è un argomento popolare e controverso. Nel disperato tentativo di spiegare la disuguaglianza socioeconomica, alcun* scienziat* hanno suggerito che, nonostante l’idea di razza non abbia basi biologiche, forse esistono differenze nelle capacità cognitive. È un’argomentazione vecchia e vuota che è stata applicata anche ai sessi per giustificare il divario di genere nelle STEM: e se gli uomini bianchi fossero in realtà semplicemente più intelligenti di tutti gli altri? In una parola: superiori?

“la ricerca sulle differenze cognitive andrebbe proibita?” — “La fallacia di equiparare l’ipotesi ereditaria con il razzismo”
“In che modo l’opprimente dibattito su razza, geni e QI può essere dannoso” — “Ricerca sulle differenze tra gruppi relativa all’intelligenza: una difesa della libertà di indagine”

Una delle definizioni del termine “morale” è: “tenere o manifestare alti principi per una condotta corretta”. Non vorremmo che tutta la scienza rientrasse in questa categoria? Gl/L* scienziat* non dovrebbero aspirare ad essere “morali”?

Io la penso così: la scienza non è apolitica. È influenzata dai pregiudizi di chi la pratica. La scienza è qualcosa che la gente fa, e la gente è incline agli errori — e la scienza che cerca di dimostrare la superiorità o l’inferiorità di certi gruppi di persone è piena di errori e dei pregiudizi di coloro che la praticano. Questi pregiudizi diventano particolarmente dannosi quando la scienza viene usata come strumento per giustificarli.

La scienza non dovrebbe essere un’arma in mano a chi si riconosce in ideologie problematiche per permetterle di imporle agl/all* altr*. Non dovrebbe essere usata per definire come inferiore un gruppo rispetto ad un altro. Non dovrebbe essere usata per causare dolore a vite innocenti o per misurare il valore di alcune persone rispetto ad altre. E non dovrebbe mai essere manipolata per sostenere le politiche di coloro che la praticano.

Dobbiamo fare del nostro meglio per mantenere la scienza più in alto di noi stess*. Ecco perché credo che sia necessaria una scienza che riflette sulla moralità: sarà la bussola morale ad aiutarci a trovare la linea di demarcazione tra buona scienza e cattive idee. “La sfida morale che ci pone la scienza moderna è che i nostri strumenti scientifici ci mettono davanti ad un potere grezzo”, scrive Yuval Levin sulla rivista The New Atlantis, “e sta a noi determinare i modi giusti di usare quel potere e proibire quelli sbagliati”. Dobbiamo “giudicare la scienza moderna non solo dai suoi prodotti materiali, ma anche, e soprattutto, dalle sue intenzioni e dalla sua influenza sul pensiero umano”, continua.

Allora giudichiamo la scienza oggi in base alle sue intenzioni. Dobbiamo essere dispost* a porci domande difficili: Questa ipotesi è razzista? Sessista? Se è così, perseguirla ci porterà conoscenze effettivamente preziose? Abbiamo già visto come i pregiudizi abbiano portato allo sviluppo di deboli ipotesi in favore di una “base biologica” per la presunta inferiorità di certi gruppi — scienza scadente condotta da maschi europei nel XVIII secolo per titillare il proprio ego.
Un’ipotesi basata su un pregiudizio può mai portare a buona scienza? Anche se la ricerca può essere condotta correttamente, vale la pena perseguirla? Una scienza noncurante della moralità è a rischio di degenerazione. Dobbiamo pensare bene a dove questa china potrebbe portare la società.

Non ho risposte a queste difficili domande sulla scienza e l’etica, ma penso che dobbiamo essere dispost* a porcele. Se non riflettiamo costantemente su noi stess*, potremmo scoprire di essere diventat* complici di intenzioni immorali.

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Francesca Anelli
RompiBolle

Intersectional Feminist. After all this time? Always.