Falsi fact-checker, paywall, filantropia e impunità
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3 min readJun 2, 2017
a cura di Marco Nurra
- I falsi ‘fact-checker’ stanno diffondendo disinformazione sulla censura in Turchia. Secondo Sarphan Uzunoğlu, docente di ‘media studies’ della Kadir Has University di Istanbul, la Turchia ha creato un regime “post-truth” prima che questa diventasse la parola dell’anno nel 2016. Il regime ha contribuito in maniera determinante, ha aggiunto, con l’uso propagandistico del fact-checking con fini politici.
- I siti per creare ‘fake news personalizzate’ si stanno diffondendo sempre di più. Questi 30 siti permettono a chiunque di pubblicare e diffondere le proprie notizie false in sei lingue diverse. Il fine sarebbe quello di fare “scherzi” agli amici, ma può essere usata anche per altri scopi.
- Una bugia ripetuta più volte può diventare credibile, ma questo succede anche con i fact checking. Questo fenomeno è noto in inglese con il nome “familiarity effect” o “fluency heuristic” ed è stato documentato da diversi studi. Una nuova ricerca ha concluso che una spiegazione più dettagliata nel fact checking aiuta le persone a ricordare le correzioni più a lungo.
- Un nuovo report del Pew Research Center mostra che il crollo della diffusione dei giornali e del fatturato è trasversale. Il fatturato, in particolare, è diminuito in maniera crescente negli ultimi anni.
- La filantropia può aiutare a ricostruire la fiducia nei giornali? La fiducia si fonda sulla relazione coi lettori, soprattutto nel lungo periodo. Rendere il giornalismo più reattivo rispetto alle esigenze della comunità richiede che all’interno delle redazioni sia presente una cultura del cambiamento e un’attenzione per la diversità e l’inclusione. Se vogliamo che le comunità abbiano fiducia nel giornalismo, quest’ultimo deve tenere conto delle esperienze e della vita quotidiana delle persone. Troppo spesso non è così, e per questo le fondazioni possono giocare un ruolo vitale e aiutare a consolidare la relazione con i lettori.
- Anche Intercept lancia il suo programma di membership a pagamento. Certo, Omidyar investe milioni per garantire la stabilità del progetto, ma come ha dichiarato a Nieman Lab il suo direttore e co-fondatore Glenn Greenwald: “più soldi abbiamo, più cose possiamo fare”.
- Il paywall dei giornali sta entrando in una nuova fase. Nella prima ‘generazione’ di paywall, gli editori volevano assicurarsi che i lettori fossero disposti a pagare. Il New York Times, per esempio, all’inizio aveva volutamente sviluppato il proprio paywall in maniera “soft”, permettendo in certa misura l’accesso gratuito alle notizie, in modo da raccogliere quanti più dati possibili. Adesso, però, molti si stanno dedicando a ottimizzare e rafforzare questo modello.
- Il New York Times ha deciso di eliminare il ruolo di “public editor”. Ecco come ha commentato la notizia Liz Spayd, l’attuale public editor del giornale. Questo ruolo verrà sostituito da un “Reader Center”.
- “L’omicidio è l’ultima forma di censura”, secondo il Committee to Protect Journalist. Centinaia di giornalisti sono stati assassinati, ma in 9 casi su 10 i loro killer sono ancora in libertà.
- La testimonianza di un giornalista messicano respinto dagli Stati Uniti. “La mia vita qui in Messico è in pericolo, ma gli USA non sono disposti a concedermi asilo”.
Il roundup settimanale di notizie sul mondo dei media è una rubrica dell’International Journalism Festival, tradotta e pubblicata in italiano da Valigia Blu.