La formula con cui Facebook censura l’hate speech, l’inchiesta di ProPublica

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4 min readJun 30, 2017

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a cura di Marco Nurra

  • Le regole segrete di censura di Facebook analizzate da ProPublica. In un quiz preparato da Facebook per i moderatori dei contenuti viene messo in evidenza che gli “uomini bianchi” sono un soggetto da proteggere, mentre i “bambini neri” e le “donne al volante” no. ProPublica spiega la logica che sottende a questa scelta, apparentemente sbagliata. Stando alle linee guida di Facebook sull’hate speech, gli attacchi sono ritenuti tali quando sono diretti a “categorie protette” basandosi sul criterio universale di “razza, sesso, identità di genere, religione, origine nazionale, etnia, orientamento sessuale, disabilità / malattia”. Gli utenti godono di maggiore libertà quando la loro aggressività è rivolta a soggetti che ricadono dentro sotto-categorie: gli “uomini bianchi” sono considerati un soggetto da proteggere perché è una sottocategoria formata da due categorie protette: “sesso”+“razza” (la stessa logica si applica a “uomini neri”, “donne bianche”, “donne nere”, etc.). Mentre nel caso delle “donne che guidano” o dei “bambini neri” una delle loro caratteristiche non rientra nei criteri universali che abbiamo elencato prima. Categoria protetta più categoria non protetta, uguale nessun hate speech.
  • Il direttore di BuzzFeed: se gli editori di notizie stanno perdendo la battaglia contro Google e Facebook devono incolpare solo se stessi. “Molti media tradizionali stanno opportunisticamente attaccando Facebook e Google perché Facebook e Google hanno trovato un miglior modello per distribuire le informazioni e intrattenere le persone, in tempo reale, personalizzato, condivisibile e globale — tutte cose che non puoi fare con la tv o la carta stampata”, ha dichiarato Jonah Peretti in un’intervista a The Drum. “Questi editori tradizionali hanno avuto per decenni flussi di cassa enormi e hanno deciso di accumularli invece di investirli nel digitale. Hanno continuato a investire i guadagni nelle loro attività tradizionali, anche se sappiamo da più di 20 anni che Internet sarebbe stato una cosa grossa. […] Ora i ricavi di Facebook e Google cominciano a essere una parte sostanziale della torta e gli editori li attaccano, dicendo che non è giusto. La verità è che Facebook e Google hanno sempre avuto una visione di lungo termine — così come Netflix e Amazon — secondo la quale alla fine avrebbe vinto Internet. Molte grandi compagnie mediatiche hanno sempre adottato una visione trimestrale, orientata a massimizzare i guadagni, e questo li ha portati a trovarsi in una posizione difficile ed è per questo che attaccano Facebook e Google”.
  • Risk, il film di Laura Poitras su Julian Assange, dopo sei anni di realizzazione è finalmente pronto. “Filmare è sempre difficile e questo è stato particolarmente difficile. Sapevo che Julian si sarebbe arrabbiato con il film e questo di certo non mi fa piacere. So che è un personaggio divisivo, ma non c’è dubbio che sia una figura storica veramente importante e sono convinta che abbia capito prima di molte altre persone come Internet avrebbe cambiato la politica globale”. Il film è stato criticato dagli avvocati di Wikileaks per non aver protetto le fonti giornalistiche, per l’assenza di integrità personale e professionale, e per non aver rispettato le obbligazioni contrattuali.
  • Fusion e il Guardian stanno cambiando la loro copertura delle zone rurali. L’obiettivo è raccontare la situazione e la disuguaglianza che affligge certe zone attraverso le storie di chi ci vive, e poi portare queste testimonianze a conoscenza del pubblico tradizionale dei media nazionali.
  • Come le giornaliste sono messe a tacere in un mondo di uomini: informare da un paese musulmano. Il paper della giornalista iraniana Yeganeh Rezaian analizza le difficoltà che le donne che fanno questo mestiere sono costrette ad affrontare in un paese musulmano. Rezaian, che ha scritto per Bloomberg News e per The National, è stata detenuta a Tehran nel 2014 con suo marito Jason Rezaian del Washington Post.
  • Perché ho deciso di dedicare un anno ad aiutare un giornale afroamericano a sopravvivere: così come la comunità afroamericana rischia di essere trascurata da molte redazioni, anche un giornale afroamericano rischia di essere sottovalutato dagli inserzionisti”, racconta la fotografa Regina H. Boone.
  • Una guida per realizzare un progetto giornalistico collaborativo. Questo manuale di 66 pagine spiega come il progetto Electionland per coprire le elezioni americane del 2016 sia stato pensato, pianificato e realizzato. E offre anche alcuni consigli a coloro che pensano di creare un progetto giornalistico di questo tipo.
  • Google News lancia una nuova grafica che dà maggior risalto al fact-checking. Il sito da desktop è ora diviso in tre macrosezioni: Headlines, che mette in evidenza le storie più importanti del giorno; Local, che permette agli utenti di informarsi su determinati luoghi; For You, con gli argomenti preferiti dall’utente. Il nuovo design introduce anche un’interfaccia basata sulle card, che l’utente può espandere per avere maggiore copertura su un determinato argomento.
  • Full Fact sta lavorando a due strumenti automatizzati di fact-checking per i giornalisti. La non-profit di fact-checking britannica ha ricevuto un finanziamento di 500mila dollari da Omidyar Network a da Open Society Foundations per costruire due strumenti automatizzati di verifica dei fatti, chiamati Live e Trends, che saranno disponibili nel 2018 per i giornalisti di tutto il mondo.
  • I principi su cui si basa il progetto News Quality Scoring di Frederic Filloux. L’obiettivo del progetto è creare un distintivo di qualità automatizzato per le notizie in tempo reale che sia riconoscibile da un algoritmo e che possa essere utile agli inserzionisti e ai social network.

Il roundup settimanale sul mondo dei media è una rubrica dell’International Journalism Festival, tradotta e pubblicata in italiano da Valigia Blu.

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