10. In barca

Marco Geronimi Stoll
Salvini all’onda
Published in
3 min readFeb 9, 2020

Salvini all’onda è una narrazione fantapolitica creata da Marco Geronimi Stoll assieme ai lettori.
Ogni episodio si costruisce in interviste telematiche o in gruppi di cittadini.
Chi vuole può invitare l’autore a incontri pubblici di comunicazione sociale per ideare un nuovo capitolo, o inviargli suggerimenti.

La storia comincia qui dal capitolo 1, in cui si racconta di come Salvini precipitò in mare durante una missione segreta.

Cristo che mal di testa però allora sono vivo cazzo se sto male sono vivo.

Occhi chiusi, perfino attraverso le pupille la luce mi trapassa le tempie. Corpo come un sacco pesante, ma ora sono disteso all’asciutto
Le sento, le sirene, sento l’abbraccio tiepido. Ho lo stomaco in bocca; il mal di luce è fortissimo, intollerabile. Odore di mare, di piscio, di nafta. Ma anche profumo buono di carne, di sudore, di coccole, di salvezza in un abbraccio. Odore di asciutto, l’asciutto ha un odore ed è odore di mare.
Suono di mille voci che borbottano sottovoce, sciabattare leggero d’acqua, la nenia delle sirene… no, di una sirena sola, sottovoce, pianopiano, proprio vicino al mio orecchio. Ho ancora sete, tantissima, mi esce un mugugno da questa faccia, chissà che smorfia orrenda sto facendo. La mammella arriva subito, meravigliosa, perfetta: adesso sa di latte e profuma di bambino piccolo.
Ho aperto gli occhi un istante e li ho richiusi, poi ho riguardato quell’attimo di immagine come una foto sovraesposta. Ho memorizzato un infinitesimo di luce che adesso cerco di leggere con questa mia mente abbacinata che va al rallentatore. Dunque: c’era era un biberon pieno di roba rosa, tenuto da una mano nera coi polpastrelli rosa. Il cielo era come quei foulard che usano gli arabi, come si chiama… troppa fatica, a ragionare, sono già esausto. Meglio che mi riaddormento.

Vorrei grattarmi dappertutto, ogni centimetro di pelle un miliardo di spilli, è un fastidio così ostinato che copre il dolore. Ma non ho la forza di alzare un mignolo.
Ecco, mi sono riposato, è passato un minuto o un’ora? Tanto è uguale. Però va un pochino meglio: fra un momento ci riprovo, li apro un altro attimo, devo farmi coraggio, la lama di luce mi spaccherà il cervello, lo so.
Voglio vedere chi mi sta allattando, solo un secondo.

Fatto: è una ragazzina, non è una sirena. La osservo ad occhi chiusi come si guarda una foto. È minuta, fragile, graziosa. Negra, negrissima, e molto magra. Mi sta seduta di fianco, stretta. Mi stava cantando una specie di ninnananna, sguardo tristissimo che mirava esattamente al niente all’orizzonte, ma quando ho aperto gli occhi ha fatto un sorrisone con quei denti bianchissimi, con quegli occhi bianchissimi che ti bucano quando li guardi; ha detto qualcosa, non so cosa, ha cinguettato.
Credo di aver sorriso anch’io, richiudendo gli occhi, perché ho sentito come un crampo alle guance, prima di crollare nel mal di testa. Sì, sono vivo.

Resto con gli occhi chiusi. Voci, tante. Ora la voce della ragazzina cinguetta con l’altra sirena, quella con le tette grosse e la voce calda.

Riapro gli occhi una terza volta, la intravedo in controluce, la sirena grande: troppa luce, ma mi sembra che stia facendo la pipì appoggiata coi ginocchi sul bordo di una barca. Allora siamo su una barca. E lei sta facendo pipì come un maschio: c’è qualcosa che non mi torna, ma non ce la faccio a pensare.

Boh, ho ancora sete, tantissima, mi esce di nuovo un mugugno. Il biberon arriva, succhio quella tettarella rosa ancora un po’, sto addormentandomi o sto svenendo?

Mi esce un ruttino: mai stato così male, mai stato così bene.

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