Gioielli del parmense. Il Castello di Torrechiara: una fortezza dipinta
Sulle sinuose morbidezze delle colline alle porte di Parma, come un silenzioso custode di segreti, il castello di Torrechiara, sembra vegliare “altiero et felice” sulla passione dei suoi illustri amanti. Una meta imperdibile per chi si trovi in città durante le giornate di Mercanteinfiera.
Sembra sgattaiolare, ancora oggi, tra le stanze e i dipinti superbi di questa quattrocentesca fortezza dal cuore affrescato, quell’antico amore tra il conte Pier Maria II de’ Rossi e Bianca Pellegrini, sua nobile amante, nonostante la leggenda, come in ogni castello che si rispetti, metta un po’ del suo facendo insorgere paure e visioni in chi varchi la soglia di questo affascinante maniero di Langhirano, a una ventina di chilometri da Parma.
Si dice, infatti, che nelle notti di plenilunio, in corrispondenza dell’originaria via di accesso al castello, si riesca a intravedere lo spettro del conte aggirarsi alla ricerca dell’amata ripetendo il motto “nunc et semper”.
Per i più scettici, quel motto resta invece soltanto una scritta scolpita sulle formelle della Camera d’Oro, la stanza più famosa all’interno del castello, camera da letto dei due amanti, che nel 1462 Pier Maria Rossi fece affrescare dal pittore Benedetto Bembo.
Basta aguzzare la vista per scorgere, in un trionfo di figure storiche e mitologiche, da Sansone a Ercole, da Virgilio a Terenzio, tra stemmi e arabeschi, una formella con due cuori sovrapposti, sormontati dal motto latino “digne et in aeternum”, e un’altra con rappresentata una M in stile gotico e un nastro con scritto “nunc et semper”.
Non deve sforzarsi troppo il visitatore ad immaginare la bella amante del duca. Bianca appare raffigurata nelle quattro vele della volta a crociera — considerata una delle più eleganti e complete rappresentazioni quattrocentesche dell’amore cortese — identificabile con la veste, il bastone, la conchiglia e le chiavi da pellegrina.
Nelle lunette laterali è invece celebrato l’incontro dei due amanti attraverso quattro scene. Inutile dire che se volete fare bella figura con la vostra dolce metà e dichiararle il vostro amore, questa camera — le cui opere costituiscono l’unico esempio in tutta Italia di un ciclo di dipinti medievali incentrati sulla glorificazione dell’amor cortese tra due personaggi realmente esistiti — potrebbe costituire un contesto originale ed estremamente romantico.
La Camera d’Oro, collocata al primo piano della torre omonima, comunica con la Sala dell’Aurora e con il Salone dei Giocolieri.
Quest’ultimo ambiente, nato come sala di rappresentanza destinata a stupire gli ospiti, spicca per le sue pareti interamente decorate con affreschi realizzati in breve tempo da Cesare Baglioni, Giovanni Antonio Paganino e probabilmente Innocenzo Martini, mentre un ricco fregio composto da una ventina di scene intervallate da cariatidi corre sulla fascia perimetrale superiore.
Templi, uccelli, nuovole e sfingi, e ancora vasi, edicole, arabeschi, figure femminili e animali fantastici adornano le ricchissime grottesche, mentre al centro della parete nord, sopra il camino, un’ampia cornice cinge un gruppo di equilibristi e giocolieri, che, in bilico su quattro leoni, si esibiscono in una scenografica piramide umana.
Le sale dell’Aurora, del Meriggio e quella del Vespro sono tre ambienti che occupano il lato nord-occidentale del piano nobile del castello, simili per dimensioni e impianto decorativo, sempre opera della scuola di Cesare Baglione. Le sfumature del cielo rispecchiano i diversi momenti del giorno, dall’alba al tramonto, seguendo l’orientamento delle sale da est verso ovest.
Superata la Sala del Velario — con la sua decorazione che riproduce un’elegante balaustra con vasi colmi di fiori e frutti e dove, guardando in alto verso la volta a crociera, si ha come l’illusione di trovarsi all’aperto sotto un velario che copre la volta fittizia — si raggiunge la cucina. E qui sembra davvero di fare un salto nel tempo, grazie all’acquaio, ancora visibile, al focolare, al camino in pietra, a un piccolo scaldavivande. A nord si intravedono le dispense, mentre, uscendo su uno spalto, è possibile immaginare il rigoglioso frutteto con alberi di susine e ciliegie, che nel Seicento offrivano le loro gustose prelibatezze agli ospiti.
Angeli e vittorie, guerrieri e cavalieri, mostri e figure mitologiche sembrano svolazzare sospesi tra nuvole, grottesche e trompe l’oeil, tra ambientazioni bizzarre e paesaggi alla fiamminga, tra cupole che incantano gli occhi e inneggiano all’amore, al mito, alla natura.
Per chiunque varchi la soglia di questo straordinario scrigno dall’involucro esterno rivestito di mattoni e l’anima sfavillante di colorati affreschi, la sensazione immediata è di sorpresa.
Come vigili sentinelle, cinque massicce torri quadrate, quattro delle quali poste alle estremità del Cortile d’Onore, accompagnano il visitatore nel cuore del castello.
Ed è facile immaginarsi questo imponente mastio, protetto un tempo dalla triplice cinta muraria, accerchiato da un doppio fossato valicato in origine da due ponti levatoi, con i due rivellini e l’affaccio sulle alte scarpate.
In realtà la prima testimonianza dell’originario fortilizio di Torchiara risale al 1259. Ma dopo che il podestà di Parma ne deliberò l’abbattimento, in quanto più volte utilizzato dai ribelli come rifugio e base d’attacco alla città, la famiglia Scorza edificò sulle rovine una casaforte, presto attaccata e distrutta.
Fu Pier Maria II de’ Rossi, nel maggio del 1448, a dare avvio al cantiere di costruzione del grande castello, intervenendo personalmente nel disegno delle strutture difensive che avrebbero dovuto dimostrare il ruolo di primo piano della famiglia in tutto il circondario.
Alla morte di Pier Maria, che riuscì a godersi il suo maniero per circa vent’anni, e in seguito alla conquista del ducato di Milano da parte dei francesi nel 1499, il castello di Torrechiara cambiò più volte proprietario, passando in diverse mani, fino ad arrivare a quelle degli Sforza di Santa Fiora che incaricarono artisti come Cesare Baglioni di realizzare le decorazioni e gli affreschi interni.
Solo nel 1912 il castello cessò di accogliere i suoi nobili abitanti, passando al Demanio che lo acquistò vuoto, ma incredibilmente ricco di storie e affreschi.
Il terremoto del 2008 apportò seri danni al maniero, in particolare alle mura esterne della torre di San Nicomede e alla merlatura di coronamento.
Oggi Torrecchiara — considerato un esempio tra i meglio conservati di architettura castellare in Italia — si mostra ai visitatori in tutto il suo fascino, noto anche per aver costituito la superba scenografia dell’amore cinematografico del capitano Navarre per la sua LadyHawke.
Lo si può visitare dal lunedi al sabato dalle 8.10 alle 13.50.
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