Scaramuccia l’Ammazzafeccia 1.10

Elio Marpa
Scaramuccia, l’ammazzafeccia
8 min readSep 16, 2020

Le tapparelle della stanza smerlettavano di luce il muro bianco difronte al letto di Ardur, camuffandone l’intonaco malmesso, i graffi sparsi e le impronte nere. Tagliato a metà dall’ombra bucherellata delle serrande, in esatta penombra, Baffone sedeva a gambe conserte, appoggiato al muro sull’unica sedia della stanza. Anch’egli in silenzio, Ardur aveva rinunciato a scrutarne il sorriso tra le bolle di luce che ne striavano il volto. Qualunque espressione avesse realmente, si sentiva più sereno con Baffone intorno, e se poi era davvero un’allucinazione, poco importava. Era una persona razionale, capiva bene quello che gli era successo o almeno avrebbe capito meglio, una volta lucido. Intanto, si godeva gli effetti della morfina e la calma della degenza come una vacanza dagli affanni quotidiani. Da dovunque venissero le cose che diceva Baffone, sentiva che gli davano forza e un gran bel pensare, motivo per cui un po’ di silenzio non guastava. Del resto, ci avesse conversato troppo, l’avrebbero preso per pazzo.

Ad ogni modo il suo compagno di stanza, sopravvissuto a un tentativo di suicidio di cinque piani, non si era dimostrato molto più loquace nei lunghi giorni della loro convivenza forzata. Quanto sapeva di Ascanio l’aveva origliato fingendo il sonno, durante le visite che quello riceveva, ma gli era bastato a capire che, come lui, era un vaso di terracotta tra vasi di ferro e che, come lui, anche Ascanio stava lì ad aspettare che i cocci s’incollassero, nella speranza di recuperare almeno un po’ di funzionalità, ché l’integrità era bell’e persa, come perso appariva tutto il resto. Aveva ancora una famiglia, Ascanio, una biondina sui quaranta che si trascinava dietro tre mocciosi confusi e impauriti per le condizioni del padre, ma tutti i suoi risparmi, così gli pareva d’aver capito, erano spariti, andati, dalla sera alla mattina, perché una qualche clausola di una certa sottoscrizione bancaria, semplicemente, lo permetteva.

Ardur e Ascanio non s’erano scambiati in tutto che poche battute sui chiodi che gl’imbullonavano le ossa, sul prurito insoddisfacibile o sulle cosce tornite dell’infermiera nera che li spugnava, anche se di quest’ultime, così come dell’infermiera, Ardur non era proprio sicuro. In rispettosa indifferenza, nessuno aveva mai toccato alcuno degli argomenti subascoltati durante le visite dell’altro. Lui aveva Baffone a tenergli compagnia e magari Ascanio aveva la sua, di allucinazione personale, benché ora, guardandolo assopito e con le guance rigate di lacrime silenziose, Ardur avrebbe detto che quella di Ascanio era peggiore. Doveva essere un incubo di vergogna e paura, uno spettro che gli spezzava la voce davanti ai figli e gl’offuscava le iridi più dei calmanti. Per delle colpe che non erano sue. Era questo che Ardur si chiedeva spesso quando i pensieri non gli sfuggivano come volpi dispettose, suscitando sempre l’ilarità di Baffone: che colpa aveva Ascanio per la macchina finanziaria che l’aveva predato? Perché era stato pronto a morire per colpe non sue, rischiando di lasciare i suoi in guai maggiori? Fuga s’era detto alla fine. Davanti al predatore la preda scappa il più delle volte, anche se, fuggendo, mette in pericolo i più deboli del proprio branco. Vergogna e paura erano stati solo gli stimoli, la fuga la risposta. Soprattutto, Ardur non riusciva a capacitarsi del perché, avendo adottato l’atteggiamento opposto a quello di Ascanio, egli ne condivideva ora il fracassato destino, il destino del vaso di coccio.

Indebitato e incasinato fino al collo per la malattia di papà, pensava, io pure ho perso il lavoro e ogni prospettiva di famiglia con Yu, e il lavoro mio non m’avrebbe mai permesso di investire in niente, figuriamoci… Ascanio c’ha una moglie e tre figli per cui combattere e s’è buttato di sotto, a me non è rimasto che un amore a tempo determinato e una vecchia mamma, inchiodata come me qualche corridoio più in là…

Scaramuccia portava una maschera di cuoio con un naso aguzzo e lunghissimo, un becco come un pugnale. Lo ficcava negli occhi dei pierculi.

Eppure ho fatto le scelte che dovevo fare per resistere, per sopravvivere. Ho scelto di configurare server da centinaia di migliaia di euro per pochi spicci, in nero, perché le dialisi magnetiche di papà costavano troppo, così come il software con cui hanno dovuto sostituirmi quando ho finalmente mandato affanculo il padrone — almeno non andrà più a puttane coi soldi del mio contratto; ho scelto di tornare a vivere con Madre per aiutarla, perché nessun’altro l’avrebbe fatto, anche se ho rischiato per questo di perdere Yu, l’unico mio vero amore; ho dovuto scegliere se cambiare i sensori ai freni dell’auto o al modulo oculare di Madre. Scelta quasi obbligata, nonostante i cento kilometri per l’unica clinica prostetica che potevamo permetterci. Obbligata sì, ma sbagliata. Magari avremmo potuto rimandare la visita di qualche mese… Quando il tir m’ha sbandato davanti e quelle enormi balle di carta sono rotolate giù, mi sono accorto che i freni non rispondevano. Ho cercato di schiantarmici contro, dal mio lato, lo giuro, per attutire il colpo, solo che per qualche motivo, per i momenti reciproci forse o per le miscele di ‘sta specie di carta moderna, la balla s’è appiattita sotto al peso della macchina e c’ha fatto da rampa. Per un attimo, mentre eravamo praticamente in volo, ho pensato di potercela fare, di poter… atterrare. Non mi sono arreso, ho sempre lottato e tenuto gli occhi aperti, eppure, non ho ottenuto risultati migliori di Ascanio.

Scaramuccia portava una maschera di cuoio con un naso aguzzo e lunghissimo, un becco come un pugnale. Lo ficcava negli occhi dei pierculi.

Con un gesto, Baffone lo ripescò dai meandri di quel ragionamento. Sch! fece, inclinando la testa verso il corridoio vuoto, al di là della porta aperta. Ardur spense il pensiero ed aprì le orecchie, ma non sentiva niente. Cercò conferma sul volto di Baffone e questi, col dito indice e il medio davanti al naso gl’intimava ancora il silenzio, e d’ascoltare. Passi, molti passi, quasi un trotto, attutito solo dal linoleum verde del pavimento. I primi a essere spinti dentro furono i quattro infermieri, scapocciati indietro nemmeno stessero domando un mustango, o un tolfetano, incapaci di tener testa agli artigli adunchi di quei microfoni, aste, obiettivi, riflettori e diritti di cronaca. Poi entrò il videodrone e si piazzò in alto, sopra i letti. Le spie rosse accese indicavano che qualcuno, da una regia remota, stava già registrando. Per ultimo, completo sartoriale pastello con cuciture a vista, sbucò sulla porta il celebre inviato, in tempo per incrociare con brio gli infermieri infuriati.

-Dottor Beretta qui non si può stare. Serve un’autorizzazione formale e il consenso dei degenti. Mi dispiace ma dovete uscire subito o chiamo la sicurezza! Grazie, rispose l’inviato, sgargiante, stringendo la mano a due dei paramedici mentre li metteva alla porta. Io sono più per il diritto ad informare che per quello alla privacy, ma sono sicuro che la vostra sicurezza saprà dimostrarci che siamo legalmente in errore, e allora ce ne andremo di buon grado. Grazie. Quando questi furono usciti, Beretta si rivolse ai due rimasti, spostando l’aria con le mani: se potete gentilmente mettervi all’angolo vicino alla finestra… grazie. E poi, ai suoi: bene mettiamoci al lavoro abbiamo poco tempo.

Ardur, occhi e narici sgranate, gettò un’occhiata ad Ascanio tanto per capire il grado di verità di quanto stava osservando. Ascanio, bocca aperta, si tirò il lenzuolo sotto il naso a coprirla. OK: almeno li vedeva anche lui.

Baffone invece s’era alzato in piedi sulla sedia, e spiccava sopra la troupe. Sorridendo, annuiva all’inviato mentre questi si lisciava i baffetti da sparviero e strofinava i denti con le dita. A uno dei suoi sei accompagnatori chiese quale dei due degenti fosse “il loro” ed in risposta ottenne solo un cenno in direzione di Ascanio. Tanto bastava. In pochi secondi, i sette uomini si scambiavano gesti d’intesa, Beretta sistemò il suo auricolare e, dopo aver alzato gli occhi al drone ed annuito anch’egli all’invisibile, s’avventò al capezzale di Ascanio.

Signor … Ascanio, esordì dopo il suggerimento della regia, sono Beretta di Deepyou, l’anima delle notizie, stiamo registrando un servizio che andrà in onda stasera durante uno speciale di Glauco Festa, vorrei farle alcune domande. Mi riconosce? Ha voglia di rispondermi? Ascanio sembrava paralizzato e di certo non poteva parlare, di lui non erano rimasti che due occhi spalancati e le dita che spuntavano da sotto il lenzuolo. Beretta, facendo spallucce alla volta del videodrone, incalzò, accompagnato nel movimento dalla sua troupe, perfettamente armoniosi nei movimenti come in un gruppo pittorico rinascimentale.

Ci dica, quale somma l’ha spinta a tentare il gesto estremo? Ci abbiamo messo un po’ ma alla fine l’abbiamo trovata, signor Ascanio. Sono contento che si sia rimesso e sono venuto qua per dare voce ai suoi diritti. Vuole dirci per cominciare quanto ha perso con la sottoscrizione delle Corpotec?

Nessuna risposta.

Signor Ascanio lei andrà sulla tivvù federale, davvero vuole fare scena muta? Eppure ci risulta che aveva inviato, proprio a DeepYou, un’accorata lettera di denuncia all’indomani dello scandalo Corpotec — che per chi fosse appena atterrato da Marte, lo ricordiamo, coinvolge più di venti istituti di credito e ridimensiona i fallimenti storici di Parmalat e Banca Etruria. Lei stesso ci scrisse un appello perché i media rendessero note le ingiustizie che stava subendo, e ora che siamo qui che fa, non parla?

Come sempre era capitato coi notiziari, la voce di Berettta, benché fosse proprio lì accanto, sfuocò nelle orecchie di Ardur, che si perse ad osservare la concentrazione assorta della troupe. Ciascuno era intento al proprio compito, le bocche a ciancicare cingomme, le braccia tese a sostenere luci e microfoni, le gambe accovacciate per badare al ripetitore di rete, tutti a sostenere il loro capo che tentava il miracolo: setacciare dalle briciole di Ascanio l’oro del suo dolore per riportarlo scodinzolanti in redazione. Il drone triangolare, fluttuando ieraticamente, riprendeva tutto con la sua camera giroscopica e dietro di esso, arrampicatosi svelto come un geko sul soffitto, Baffone pareva irridere la pena di Ascanio, e anche lui si accarezzava il mustaccio con la testa ribaltata, sformata la faccia in una smorfia poco rassicurante, i baffi saliti fin sulle ciglia. Lo invitava a prestare attenzione, e allora Ardur si sforzò di riportare l’udito al letto di Ascanio, e questo fu l’ultimo scambio che colse.

Quindi mi conferma che la Corpotec s’è rifiutata di risarcirle poche decine di migliaia di euro a fronte dei milioni riconosciuti ad altri clienti eccellenti? A questa domanda la voce di Ascanio s’accese e il corpo ne sobbalzò, facendo scricchiolare il letto. Ardur era certo che Ascanio avrebbe voluto arrampicarsi su per la giacca di Beretta, mettergli le mani al collo e ringhiargli in faccia quello che invece dovette boccheggiare al microfono, visto che il corpo non gli permetteva di più.

-Vaffanculo Beretta. Il tuo capo è stato uno di quelli risarciti al posto mio, lo sai?

Dopodiché, il corpo non gli permise proprio più nulla, e gonfiato il collo nel tentativo d’alzarsi, Ascanio reclinò la testa indietro, gli occhi ribaltati. Subito scattarono gli allarmi sonori del biomonitoraggio. I due infermieri ancora dentro allontanarono Beretta dal letto mentre questo, sorridente, teneva un dito sull’orecchio e sussurrava guardando il drone. Anche la sicurezza arrivò in quel preciso istante. I visitatori e il pigro robot che gli svolazzava sopra furono accompagnati fuori, ed Ascanio trasferito in tutta fretta in rianimazione. Fu un arresto cardiaco a farlo uscire per sempre da quella stanza d’ospedale e dalla propria vita, ma non da quella di Ardur. Mentre la barella cigolava via tra le urgenze dell’ospedale e gli inservienti richiudevano la porta, rimasto solo nella stanza, Ardur capì perché Baffone gli aveva intimato d’ascoltare, capì che si trattava di una canzone. Vide Baffone accennare un passo di danza sollevando il ginocchio destro davanti a lui, le braccia larghe e tortili, gli occhi accesi e vuoti fissi nei suoi, la lingua fuori la bocca. Le guance di Ardur si contrassero in un sorriso di pietra quando finalmente capì: Scaramuccia portava una maschera di cuoio con un naso aguzzo e lunghissimo, un becco come un pugnale. Lo ficcava negli occhi dei pierculi.

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