Scaramuccia l’Ammazzafeccia 1.15

Elio Marpa
Scaramuccia, l’ammazzafeccia
7 min readSep 20, 2020

Le lascio il mio token, concluse il ragazzo barbuto scuotendo il telefono accanto al sensore di bordo. Il taxi ringraziò col suono titillante d’un salvadanaio riempito. Poi tese la mano a Barbara, ancora sporto dentro al taxi attraverso il finestrino del passeggero. Spero di rivederla presto, lei e il suo compagno. Veniteci a trovare: una vita morale è una vita migliore, e poi non ci sono problemi di lavoro o di energia, da noi.

Barbara gliela strinse meccanicamente, ma non riusciva a staccare gli occhi da quelli di Claudio, e non perché fosse particolarmente attraente — a dirla tutta barbe lunghe, code di cavallo e saî bianchi non le avevano mai fatto molto sangue: Barbara era disorientata dalla serenità e dalla sincerità che lo sguardo di quel MoFo trasmettevano. Non si accorse nemmeno della mancia che le aveva lasciata insieme al token identificativo: si limitò a vederlo andar via nella notte, come un fantasma plissettato sullo sfondo scuro di Santa Prassede, mentre al suo passaggio i bot di ogni insegna si attivavano, digiuni di passanti vista l’ora tarda, e ne seguivano i movimenti alla ricerca d’inconsce intenzioni d’acquisto. Ad ogni modo ultima corsa, e se i MoFo campavano felici buon per loro. Barbara se ne tornò dritta a casa senza pensarci troppo, finché non si ritrovò difronte allo specchio del proprio bagno. Stanislao si era addormentato in poltrona per aspettarla. Avrebbe voluto svegliarlo per fare l’amore, ma dopo quasi un anno di disoccupazione indesiderata e frustrazioni economiche, il suo uomo aveva cominciato a somatizzare: tra le altre cose il suo desiderio di lei era tracollato e raramente riusciva a farglielo venire duro com’era stata invece l’abitudine fino al giorno del licenziamento. Avere la responsabilità economica della coppia senza neanche i piaceri del talamo era diventato sempre più pesante per Barbara e quella sera, come molte altre, decise che non valeva la pena svegliarlo e tuffarsi in un’esperienza che prometteva d’essere penosa per entrambi. Così lo lasciò assopito dov’era, col naso all’insù proprio sotto al vecchissimo ritratto di Gramsci, che Stanislao aveva avuto in eredità assieme al proprio nome e molte idee piuttosto confuse. L’istinto di Barbara sarebbe stato di svegliarlo con un bacio dolce, scivolare lungo il suo collo e affondare tra le sue cosce per ricordargli che lo amava e che gli era mancato, ma le sue voglie si spensero definitivamente in un buon sorriso, quando trovò il biglietto che Stan le aveva lasciato vicino alla cena da scaldare: Ti amo, c’era scritto, più della lotta di classe. Ma non svegliarmi se dormo che domani mattina ho un colloquio alle otto. Le sue espressioni vintage le erano sempre piaciute, anzi era proprio per una parodia del genere, ma in forma di comizio, che alla fine s’erano presentati, dieci anni prima, in fila per l’acqua durante la famosa siccità per azioni, quando le compagnie distributrici fecero cartello contro la Federazione e si finì a razionare l’acqua per settimane in tutte le grandi città. Scansò la cena, ripose con cura il biglietto come fossero coperte da rimboccare ed andò a farsi una doccia. Un’altra conseguenza del licenziamento era stata l’autocensura di Stanislao. Quasi per caso, durante una delle loro normali discussioni, si era accorta che Stan aveva perso mordente: era sempre stato un uomo orgoglioso, testardo e fumino, uno di quei caratteri pronti ad infiammarsi per banali questioni di principio e capaci di tenere il punto per ore. Tuttavia da quando aveva perso il proprio reddito, le sembrava che anche i loro battibecchi d’amore fossero diminuiti, come se Stan sentisse la propria opinione sminuita di valore, come se misurasse la dignità delle proprie parole con l’entità dei propri profitti. Lei non aveva mai toccato questo argomento, ma era quasi certa che a qualche livello dovesse esserci una cosa del genere all’opera. Lentamente aveva smesso di discutere sulla spesa alimentare contestando il prezzo dei singoli articoli, aveva smesso di rimproverarla quando tornava a casa troppo tardi dopo il lavoro o anche semplicemente il gusto di far valere la propria opinione su argomenti meno concreti. Come se le sue idee valessero all’improvviso meno di quelle di Barbara. Invece, aveva cominciato a lamentarsi ed inveire contro interlocutori lontani, giornalisti, politici, industriali e altri abitanti della mediasfera che diventavano il bersaglio dei suoi improperi e una valvola di sfogo almeno verbale per la rabbia che Barbara gli vedeva montare dentro. Da quando insomma Stanislao era stato licenziato per quella storia della manifestazione sindacale, la loro relazione s’era inaridita su diversi livelli, e in quella condizione non potevano certo durare ancora molto insieme.

Ora, nuda davanti a se stessa nuda, Barbara osservava come il suo corpo avesse retto quegl’ultimi dieci anni: seduta in quel cazzo di taxi per la gran parte del giorno era ingrassata, le pareva, o comunque si vedeva un culo enorme, pancia e addome smagliati e un seno ancora piacevole, forse, ma indubitabilmente cadente. Lei e Stanislao, per amore, avevano sacrificato i loro anni insieme al dio del lavoro, nella preghiera giornaliera di poter un giorno permettersi dei figli. Quella sera però si rese conto che forse dovevano essersi persi nei labirinti di rughe che settimana dopo settimana si erano allargati sui loro volti. Fu allora che le venne in mente Claudio, e quello che le aveva detto: da noi non ci sono problemi di lavoro … Forse valeva la pena di capire meglio chi fossero davvero questi FoMo, li aveva sempre considerati una setta, ma era anche vero che tutti quelli che aveva incontrato sembravano vibrare d’equilibrio e saggezza ad ogni passo. Nella doccia, Barbara si era chiesta se mai lo stile di vita praticato dai FoMo avrebbe potuto farli stare meglio, o se semplicemente era lei a non voler vedere la realtà. Accese la luce per osservarsi, e i led impietosi del bagno le restituirono un’immagine di sé ancora più desolante: con tutti i pensieri degli ultimi mesi non aveva avuto più nemmeno il tempo per depilarsi, e la vista dei peli sulle proprie cosce, neri ed allungati dall’acqua che li appesantiva, e del suo pube arruffato per l’incuria e precocemente imbiancato, la ferì quasi come la mancanza di voglia per lei che mostrava Stanislao. Forse, alla fine, non la scopava più perché non era più desiderabile, ed una donna sfatta come quella che vedeva nello specchio magari era un’aggravante più che un sollievo, anche se un’aggravante che gli pagava le bollette. Si avvicinò ancora di più ed appoggiò una gamba sul lavabo per guardarsi meglio tra le gambe e misurare l’estensione dell’epilazione cui, aveva deciso, avrebbe messo mano immediatamente. Torcendosi sul bacino esaminò con cura il proprio inguine, si allargò le natiche ed osservò il disegno della peluria sulla carne, dalla vulva ai polpacci. Certo non poteva dirsi molto sensuale, e certo ci sarebbe stato bisogno di un estetista, ma non poteva proprio permetterselo al momento. Ancora con un piede sul lavabo aprì il cassetto dove teneva i rasoi ed allungando la mano ritrovò il biglietto da visita che qualche giorno prima le aveva dato la Vallese. Per la sorpresa rimise entrambi i piedi in terra e soppesò la tessera tra le mani, come avesse trovato una pepita d’oro in un sacco di carbone. Accese il lettore di chip dello specchio e c’appoggiò la tessera. Intorno alla sua immagine riflessa apparirono subito i menù del centro estetico: servizi standard tutto sommato, anche se impacchettati per ricchi: liposuzioni, protesi mammarie, lifting, trapianti minori in auto-clonazione, impianti contraccettivi, dentali e tricologici, sbiancamento anale, ricostruzione dell’imene, tatuaggi medicali eccetera eccetera. Sezione demo: abilitò la camera dello specchio e cominciò a vedere come sarebbe stata con qualche piccolo intervento correttivo. Per prima cosa cancellò i peli, ridusse e rialzò il culo, poi stirò la pancia, rassodò il seno e per ultimo selezionò un lifting chimico per viso e collo: nella nuvola dei suoi lunghi capelli ricci fece un giro su se stessa per avere un’anteprima completa, e poi rimase a guardare quell’immagine alternativa di sé, l’avatar delle sue vanità che la fissava da dentro lo specchio.

Nonostante lo sconto promesso da Liliana Vallese, non aveva il coraggio di visualizzare il prezzo totale nel carrello: anche se quello di cui aveva bisogno, senza dubbio, non era una comunità di eremiti urbani ma proprio un paio di tette ferme e dure cui Stan avrebbe potuto aggrapparsi per uscire dalla propria depressione. Non appena questo strano senso di colpa prese una forma più esatta nei suoi pensieri, Barbara si sorprese ad ascoltare le voce della madre nella propria testa: Se vuoi assecondare una sua debolezza regalagli qualche serata con una zoccola, ma non fare sì che una sua debolezza diventi anche tua. Istintivamente abbassò lo sguardo da sé stessa, riflettendo sul perché tali pensieri le innescassero una reazione simile. Comunque sia, quella strana tristezza durò molto poco, sostituita da un’altra, diversa e più umiliante: sentì di non essere più sola, ed alzando ancora lo sguardo nello specchio vide Stanislao, in piedi sulla porta, che fissava lei ed il suo doppio virtuale. Pareva soppesarne le differenze. Per alcuni istanti si guardarono senza parlare, e Barbara si sentì coperta di sdegno e amarezza. Quando provò a parlare, Stan la zittì con un sibilo e continuò a guardarla in silenzio per alcuni interminabili secondi, poi si girò e uscì dal bagno. Così, mentre la Barbara nello specchio sorrideva ebete girando su se stessa, quella fuori rimase ad inghiottire singhiozzi nervosi, si calmò, spense la luce e corse a stringersi al suo Stan nel letto, senza che alcuno dei due dicesse una parola.

Originally published at http://eliomarpa.wordpress.com on September 20, 2020.

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