Scaramuccia l’Ammazzafeccia 1.8

Elio Marpa
Scaramuccia, l’ammazzafeccia
5 min readSep 15, 2020

Levigato e azzurro, il piatto del mare sembrava ad Ardur l’ingegnere un trabocchetto ben congegnato, pronto a ribaltarsi per annegare il mondo e lui, non certo vestito come si converrebbe ad un ingegnere, pedalava di buona lena per andare ad armare la sua trappola terribile. Quella mattina aveva messo il suo costume rosso slip e la vecchia maglietta sdilabbrata dei Radiohead che era stata del padre. Poi, raccolta la borsa degli attrezzi che aveva preparata, quella sì, con l’attenzione d’un ingegnere e per mesi, se ne era andato in spiaggia come un qualsiasi bagnante. Ora, sotto il solleone, aveva installato un ombrellone ben largo sul pedalò appena affittato, per difendere dal sole la sua pelle ancora debole e i suoi connotati da eventuali sguardi elettronici. Di bagno in bagno scivolava parallelo all’orizzonte verso la meta, talmente lento che con quell’ombrello aperto pareva una lumaca inerpicata sul vetro d’un acquario. Da riva doveva apparire come un miraggio evanescente che danzi sull’umido dell’aria, e più pedalava più quella bolla d’ombra assomigliava molto a un bagno turco. Mai che Baffone si facesse vivo, quando c’era da faticare sul serio.

A metà strada dovette smettere di pedalare dal caldo. Si spogliò e si tuffò nudo, riflettendo che mai avrebbe fatto una cosa simile prima dell’incidente. Splasciare nell’acqua e lasciarsi dietro ai talloni il luminoso tetto del mare fu una goduria: è meglio del cielo, il mare, e spingersi giù, bracciare caparbio fino a dove il freddo ti bacia in fronte, comprime le tempie e stira le carni, l’aveva sempre tenuto per più ardimentoso di qualsiasi acrobazia volante. In aria è solo lo schianto che devi temere, la rabbia del cielo che ti scaraventa al tuo posto, il mare invece sì, prova a respingerti, ma se insisti e perseveri è anche pronto ad aprire le cosce delle sue meraviglie. E quel giorno glorioso gl’era generoso, il mare, più accogliente di quanto ricordasse: fermatosi a mezz’acqua, s’accorse d’avere da qualche parte vicino allo sterno una specie di bolla a livello, come quelle dei metri da manovale. Almeno quella fu l’immagine che gli arrivò mentre si rendeva conto che poteva disporre del proprio corpo immerso molto più liberamente del solito. Si muoveva, o si fermava, come fosse originario di quell’universo azzurro: i suoi polmoni erano una valvola perfetta e lo sentiva, il sibilo d’aria sicuro che gl’irrorava il corpo, sentiva il cuore cambiare ritmo, le vene dilatarsi leggermente e i suoi muscoli solidi quasi fumare dal refrigerio. Ardur, infilatosi giù svelto e dritto per rinfrescarsi, intero nel suo corpo, si sentiva davvero una lama bagnata per la tempera. Ogni sua molecola era al posto giusto, configurazione perfetta, austenizzazione congelata, miracolo elettrochimico: pure il silenzio che aveva sempre trovato sott’acqua cominciò a frizzare, o forse erano le sue orecchie a mettersi a, o perdere, fuoco, o forse sentiva con gli occhi, ma sta di fatto che in Ardur s’accese la consapevolezza piena della vita che gli pinneggiava accanto: le lucide anguille bicolore, nastri di vope argentate, nuvole fluorescenti di zerole, mormilli tigrati che sfilano lenti le loro facce aliene, barbigliose musdeche brune e branchi di aiate, efemeri come un’esplosione di paiettes, pois di fragolini dalle branchie rosse, altezzosi sanpietro con i loro bronci e le corone di spine, le arzille, farfalle di carne per cui vibrano le sabbie tra i granchi corridori, saraghi imponenti nelle loro cotte di scaglie e i cugini schianteri dalla fronte concava, i tordi verdi, che nascono dai fitti di alghe tra i granchi melograno. Tutti si stringevano a cerchio, curiosi di lui, come gatti circospetti, affamati di fusa, o in attesa che potesse cominciare a parlargli. Così a fondo avrebbe avuto paura, prima di allora, così a fondo da poter toccare il letto compatto del mare e la vita che non vi riposa, ma ci zampetta placida o striscia sinuosa, e che gli pareva osannarlo con levate di chele pelose e trecce di tentacoli che sbocciavano al suo passaggio. A dieci, forse venti metri di profondità, Ardur si sedette ad ammirare la vita infinita. Baffone non era con lui, almeno non lo aveva aiutato a remare, lassù sul pedalò, né si vedeva lì sul fondo per quanto il suo sguardo spaziasse tra le sfumature dell’acqua, eppure si convinse che sì, era stato temprato per essere spada e risalì, determinato, guizzando appresso alla spirale di bolle che sfiatava dal naso.

Dopo una buona mezz’ora arrivò al punto prestabilito. La spiaggia, poche centinaia di metri da lui, era quella giusta, e allora Ardur smise nuovamente di pedalare. Senza sfilare i piedi, ruotò il busto ed afferrò la borsa che aveva poggiato sul pianale posteriore, nell’odore di sabbia e plastica salata dell’ombrellone, issandosela sulle ginocchia. Ne estrasse dapprima un pesante cubo di gomma lungo circa quaranta centimetri e dipinto di blu. Con cura, lo depose sul sedile accanto, continuando quindi a sfilare dalla borsa alcuni bracci di corda, che sistemò ordinatamente intorno alla scatola, e una piccola, solida àncora metallica. Da ultimo, appoggiò sul sedile anche la borsa. Si guardò intorno, meccanicamente, quasi senza registrare se davvero qualcuno ci fosse, e poi riprese il cubo sulle proprie ginocchia: fece scorrere lateralmente una delle facce, ne esaminò soddisfatto il contenuto, c’infilò tutta la mano e con la punta protesa dell’indice cercò ed attivò due interruttori, poi un terzo. Al quarto, il cubo si richiuse mansuetamente, col suono di suzione pneumatica che ne avrebbe assicurata l’impermeabilità. Ardur armò quindi la fune al meccanismo di rilascio sulla faccia inferiore del cubo ed entrambi appoggiò sul pelo dell’acqua, che li accolse morbidamente, come previsto senza inghiottirli. Al capo opposto della fune legò l’àncora ed affidò anch’essa alla acque. Questa precipitò subito, trascinandosi dietro la scatola, di cui in un attimo non si distingueva nemmeno l’intermittenza dei led. L’unica cosa che lo preoccupava era non aver avuto tempo a sufficienza per costruirne una seconda: normalmente non avrebbe mai organizzato nulla di tanto complesso senza preparare un piano B, ma Baffone diceva di stare tranquilli. Bene. Fra poche ore avrebbe saputo con certezza se Baffone era solo un bugiardo prodotto della sua mente o davvero ciò che diceva di essere.

Originally published at http://eliomarpa.wordpress.com on September 15, 2020.

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