Scaramuccia l’Ammazzafeeccia 1.6

Elio Marpa
Scaramuccia, l’ammazzafeccia
5 min readSep 14, 2020

Dal giorno dell’incidente l’universo di Yu s’era ridotto: le due stanze del suo “confortevole monnolocale” in culo aa luna — ossia molto fuori dalla tangenziale– che le costava comunque metà paga solo d’affitto; la serra idroponica dove, per permettersi il suddetto loculo, piantava fiori esotici per innamorati ricchi (non raccoglieva mai, lei piantava e basta); e la stanza d’ospedale dove giaceva Ardur. Non fosse stato per Francesca, che oltre a rifornirla di hashish le faceva la spesa e compagnia, fermandosi ogni tanto ad assicurarsi che mangiasse, Yu sarebbe campata di canne e caffè. Da settimane badava a se stessa solo per inerzia. C’era un altro posto dove ogni tanto andava: casa di Ardur. Ci andava come un fantasma, per tentare di toccare gli oggetti amati di una vita passata, quando i Tortosa l’avevano accolta nemmeno adolescente. Ogni volta si sentiva sepolta a casa Tortosa, sepolta dai feticci del loro passato felice. Nemmeno sapeva dove mettersi, ché su ogni sedia, sulle poltrone, sul cesso, ovunque in quella casa Ardur l’aveva baciata, o lei lui, con la tenerezza dei cuccioli al gioco o la smania dell’amante; in ogni angolo rimaneva l’odore di una famiglia che aveva resistito alla storia, al mercato, e finché aveva potuto, alla sorte, e che in pochi mesi era sparita come cenere al vento. Per questo il più delle volte si fermava poco, prendeva giusto qualche libro da leggere ad Ardur mentre lo vegliava, annaffiava le piante e scappava via come un’assassina.

Quando era piccola, i genitori di Yu erano troppo occupati a riempire scaffali di cianfrusaglie, aprire e chiudere scatoloni di gadget a pile e stendere pellicole protettive sui telefoni dei clienti. I suoi erano venuti dalla Cina e avevano il loro debito da ripagare. Lei che poteva capirne? Era solo un’undicenne molto sola e ci vollero anni prima che intuisse davvero la durezza dell’albero da cui era caduta. Nel suo sedicesimo anno di vita, per aiutare suo fratello, uno degli zii che non aveva mai visto, con un debito ben più grande, il padre di Yu riportò sua madre nel Guandong. Lei, però, nel frattempo era stata trapiantata e innaffiata con cura in casa Tortosa, nello stesso vaso caldo di Ardur, suo compagno di classe, e non c’era bisogno di profonde intuizioni buddiste per capire che le loro foglie si sarebbero intrecciate crescendo, accarezzandosi vicendevolmente. Yu si sentiva coccolata dall’apprensione di mamma Adana, e la sanguignità argentina di Juan Pablo, il padre di Ardur, l’aveva riempita di gioia e capriole, anche se all’inizio c’era voluta una pazienza da tartarughe per vincere la sua timidezza. Fu così che Yu non imparò mai davvero il cinese e pur di restare in Italia coi Tortosa fece il diavolo a quattro. Addirittura scapparono insieme,lei ed Ardur: due lunghissimi giorni di patatine, succhi di frutta in tenda e sesso orale nel parco del quartiere accanto. Alla fine si acconsentì che restasse fino alla maturità, questi erano stati i patti. Da allora sentiva i suoi genitori solo una volta a settimana, in video, suscitando puntualmente le ire della madre per i suoi errori di pronuncia sempre più frequenti.

E ora era tutto finito. Se ne stava seduta nel piccolo salotto bagnando di lacrime le foto che le scorrevano sotto le dita: la mole di bàba Pablo in ginocchio per fingere di ballare il tango con lei, anni fa in quella stessa stanza; l’immenso sorriso di mamma Adana mentre stringeva i suoi due gioielli in qualche pizzeria, con Ardur sorridente e lei imbronciata come al solito; Pablo e Adana al mare, giovani e felici su chissà quale spiaggia.

Adana, a sua volta orfana bianca di una madre che in Italia aveva fatto la bracciante, in Sicilia, e raccolto, come badante quando la schiena non reggeva più,l’ultimo respiro di più d’un italiano, sapeva quanto lontano dal cuore l’uragano del denaro e del lavoro può gettare una famiglia, e fu con lei più amorevole che col suo vero figlio. Lungimirante come un’aquila, Yu lo capiva ora dopo la sua morte orrenda e la sconfitta di Juan Pablo contro una malattia che non poteva permettersi, Adana li aveva cresciuti insieme rendendoli complementari, come l’ape e il fiore le ripeteva (sottolineando sempre che l’ape era Yu) perché non fossero mai soli.

Tutti dicevano che era impazzita. Dopotutto Ardur si era salvato, le fratture si stavano saldando e nessun organo vitale era stato compromesso. Nel complesso, il suo ragazzo era stato miracolato. Lo dicevano tutti. Ora l’avevano anche tirato fuori dal coma farmacologico e sembrava reagire bene: certo lo aspettava una lunga riabilitazione e qualche plastica per le ustioni, ma lei che motivo aveva di stare così in pena? Itajani demmerda, checazzo ne sanno loro? Commentava Yu, riesumando un’espressione che non le aveva più graffiato le labbra dal tempo della sua gloriosa e rabbiosa adolescenza e strizzando le mandorle degl’occhi in fessure ringhianti. Poi riaccendeva la canna, accigliata, e sbuffando fumo denso come i draghi delle leggende, aggiungeva:

-Scusa Fra lo sai che non ce l’ho co’ te. Solo che ‘sta manica di stronzi sembra anestetizzata. Adana è morta capito? È morta sua madre e io ancora non gliel’ho detto. E manco c’ho ‘r core de dijelo. Pensassero ai cazzacci loro invece di telefonarmi a tutte le ore pe’ portamme a fa’ shopping o a pia’‘r gelato: primo non c’ho‘n euro pe’ piagne, secondo ma chivvesencula! Datemi un lavoro vero invece di invitarmi a fa’ l’aperitivo ar Quadraro. Poi lo sai no… aggiungeva senza fiato passando il testimone, la metà di quelli che mi chiamano è perché me se vorrebbero scopà. Te ti ricordi France’, vero? Ci conosciamo da ragazzine. Lo sai che Adana era come si fosse mi’ madre. Ma io come jeo dico mo? Fra un po’ je levano la morfina e non potrò più cambia’ discorso…

A questo punto solitamente il pianto di Yu scoppiava, arginato da Francesca alla bell’e meglio, e le due donne si abbracciavano rannicchiate quasi al buio sullo stretto divano. L’unico lampadario era acceso ma quel cubicolo riceveva così poca luce sulle finestre che le piastre fotovoltaiche, vecchie e sfinite, funzionavano a stento e non producevano che un giallore sbiadito. Anche Francesca alla fine piangeva, quasi sempre, ma sulla strada di casa, assalita dall’ansia che arrivava cavalcando i ricordi del passato e le preoccupazioni presenti. Ogni volta si ripeteva che non avrebbe dovuto fumare, là con Yu, ma come faceva?

Originally published at http://eliomarpa.wordpress.com on September 14, 2020.

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