Il segnale “WOW!” e altri eventi eccezionali
Che fare quando, inaspettatamente, oppure a seguito di una lunga ricerca, si scopre qualcosa di eccezionale? Quando di fronte al risultato ottenuto scappa un euforico “Wow!” e in alcuni casi il pensiero corre addirittura a Stoccolma? Prudenza vorrebbe che fossero ricontrollati bene tutti i passi del lavoro che hanno portato al risultato entusiasmante; che venissero valutate attentamente le incertezze statistiche per capire se la sua significatività è sufficiente a garantire con buona probabilità la sua veridicità; che ci sia ragionevole sicurezza sull’assenza di possibili errori sistematici nelle misure effettuate; che non vi siano semplici interpretazioni alternative.
Saggezza poi suggerirebbe di annunciare il risultato come tentativo, in attesa di una verifica indipendente — possibilmente ad opera di altri ricercatori — convocando l’eventuale conferenza stampa solo dopo la sottomissione dell’articolo che descrive la scoperta a una rivista professionale autorevole, dotata di peer review, e dopo la lettura dei commenti dei revisori e dell’editor della rivista. Aiuta anche avere a portata di mano e rileggere la famosa citazione di Carl Sagan: “extraordinary claims require extraordinary evidence”.
La particella “Oh my god”
Un esempio di cosa succede quando si dimenticano, anche solo in parte, la prudenza e la saggezza di cui sopra, l’ha dato nel marzo 2014 il gruppo di ricerca che lavora con BICEP2 (Background Imaging of Cosmic Extragalactic Polarization) al Polo Sud. È stato solo l’ultimo, in ordine cronologico, di vari inciampi che di tanto in tanto creano scompiglio nella comunità scientifica e imbarazzo in chi li genera.
Quella di BICEP2 è storia recente e non c’è bisogno di raccontarla nuovamente. Basti dire che LA PARTICELLA “OH MY GOD”, il segnale “Wow!” e altri eventi eccezionali misure e analisi successive, che utilizzano i dati ottenuti dal satellite Planck dell’ESA, hanno mostrato che la polarizzazione del fondo cosmico trovata, e attribuita alle onde gravitazionali primordiali nel periodo di inflazione cosmica al tempo del Big Bang, può essere invece interamente dovuta alle polveri cosmiche nella nostra galassia.
Addio dunque (almeno per ora) a un sostegno sperimentale alla teoria dell’inflazione, con buona pace dei padri di quest’ultima, Alan Guth e Andrei Linde, che erano stati invitati a una conferenza stampa convocata prematuramente prima della peer review del lavoro svolto e dei dati in esso utilizzati.
Un po’ più prudenti erano stati i ricercatori del gruppo OPERA (collaborazione tra CERN e Laboratori Nazionali del Gran Sasso) quando nel 2011 avevano reso pubblici i risultati di una misura della velocità dei neutrini, nel loro tragitto tra l’acceleratore LHC (Ginevra) che li aveva generati e il rivelatore OPERA sotto il Gran Sasso, scombussolando mezzo mondo.
Consapevoli che il loro era un WOW!! a tutte lettere maiuscole e doppio punto esclamativo, avevano utilizzato un linguaggio estremamente cauto e presentato il risultato come “anomalia” nella velocità dei neutrini. Un chiaro understatement, visto che l’“anomalia” consisteva nell’aver violato una delle colonne portanti della fisica moderna: la Relatività Speciale (o Ristretta) che afferma l’impossibilità, per una particella dotata di massa, di superare la velocità della luce. Va dato atto ai ricercatori di OPERA di aver presentato il risultato come preliminare, promettendo e invocando verifiche indipendenti. Con un notevole equilibrismo tra dico e non dico, le dichiarazioni ricorrenti erano del tipo: “Dopo numerosi e attenti controlli e dopo che le misure sono state effettuate più volte, i dati sembrerebbero consistenti, ma l’impatto che un risultato di questo tipo potrebbe avere sull’intera comunità scientifica ci spinge a continuare la ricerca di eventuali errori sistematici ancora sconosciuti che ne diano una spiegazione più semplice”. E a un certo punto gli errori sistematici (più di uno) sono stati trovati dagli stessi ricercatori di OPERA. Anch’essi, tuttavia, non avevano resistito alla tentazione di rendere pubblici i risultati prima di un severo scrutinio da parte di referee. Soprattutto, non si erano riletti la citazione di Sagan, nonostante sia difficile immaginare un altro risultato in cui il termine “straordinario” sia più appropriato.
A Stoccolma ci va il bosone di Higgs
Il problema è che con un risultato “Wow!” è veramente arduo trovare il giusto equilibrio tra prudenza e tempestività. Il timore che qualcun altro possa arrivare prima di noi alle stesse conclusioni, associato al piacere dell’attenzione mediatica, porta spesso ad anteporre la fretta alla prudenza.
Meglio è andata, rimanendo al CERN, ai ricercatori degli esperimenti ATLAS e CMS, impegnati a trovare il bosone di Higgs, che già alla fine del 2011 cominciavano ad avere (deboli) evidenze di una nuova particella con una massa di circa 125 GeV. La notizia non è stata divulgata ma è rimasta confinata tra gli addetti ai lavori. I due gruppi hanno continuato ad accumulare dati sino a quando, pur non disponendo ancora di un risultato di significatività statistica superiore alla soglia comunemente accettata per definire una scoperta, hanno potuto, confermandosi a vicenda in maniera indipendente, annunciare di aver rivelato il tanto atteso bosone di Higgs (v. “le Stelle” n. 109, pp. 4–5).
Al seminario di presentazione dei risultati alla comunità scientifica erano presenti anche Higgs e Englert, padri teorici del bosone, che, a differenza di Guth e Linde, non avevano fatto un viaggio a vuoto: l’anno successivo sarebbero andati infatti a Stoccolma a ritirare il premio Nobel per la Fisica, proprio a seguito della verifica sperimentale della loro brillante intuizione di quasi cinquant’anni prima.
Ma cosa succede quando una scoperta “Wow!” non è smentita da successivi lavori, ma non è nemmeno confermata? Rimane in una sorta di animazione sospesa, abbastanza ignorata dalla comunità scientica che rimane giustamente scettica nei confronti dei fenomeni non confermati.
È il caso, ad esempio, del monopolo magnetico visto — e mai più rivisto — da Blas Cabrera a Stanford (California).
Cabrera aveva costruito un rivelatore con una spira superconduttrice di 20 cm2 allo scopo di rivelare monopoli magnetici e nel febbraio del 1982 registrò un evento che aveva proprio le caratteristiche aspettate. Non riuscendo a registrarne un secondo, correttamente pubblicò i dettagli dell’apparato sperimentale e descrisse il risultato ottenuto (un evento in cinque mesi).
Molti — lui compreso — negli anni successivi continuarono la ricerca di altri monopoli, ma senza successo, nonostante l’utilizzo di strumentazione molto più sensibile.
Nell’ottobre del 1991 il rivelatore di raggi cosmici Fly’s Eye dell’Università dello Utah rivelò un evento di energia talmente elevata da essere battezzato “Oh-my-God particle”. Con un’energia calcolata di circa 3 x 108 TeV (= 3 x 1020 eV) questa particella (molto probabilmente un protone) era la più energetica mai registrata e superava di circa 5–6 volte il cosiddetto limite di Greisen–Zatsepin–Kuzmin (limite GZK) che definisce la massima energia che possono avere i raggi cosmici che viaggiano su lunghe distanze (superiori a 160 milioni di anni luce), in considerazione delle perdite di energia che subiscono a seguito delle interazioni con la radiazione di fondo.
Sulla Terra, i protoni più energetici sono quelli accelerati da LHC che, completato l’upgrade, si avvicineranno a 14 TeV, venti milioni di volte meno energetici della Oh my God particle. L’interesse scientifico per questi eventi (che proprio perché hanno energia maggiore del limite GZK devono avere origine relativamente “locale”, cioè nel super-ammasso di cui è parte la nostra galassia), è estremo. La violazione del limite, nel caso si dimostrasse una loro origine non “locale”, avrebbe notevoli implicazioni sia per la cosmologia che per la fisica teorica.
Inoltre i meccanismi che permettono di accelerare particelle elementari sino a queste energie sono ignoti e quindi da capire e da localizzare nel cosmo. L’osservatorio Pierre Auger (1600 rivelatori sparpagliati su un’area di 3000 km2 nella pampas argentina) è stato costruito proprio per rispondere a queste domande. Ma queste particelle sono talmente rare che ne sono state registrate solo poche dozzine e non è stato possibile capire la loro origine. Nonostante la conferma dell’esistenza della “Oh my God particle!”, l’Osservatorio Auger rischia la chiusura, se non troverà i finanziamenti necessari per migliorare significativamente le sue prestazioni. Pur venendo confermati, alcuni eventi “Wow!” sono talmente rari da impedire di sviluppare con studi approfonditi il potenziale insito nella scoperta. Ma l’evento “Wow!” per antonomasia è il segnale radio registrato da Jerry R. Ehman nell’agosto del 1977 al Big Ear Radio Telescope dell’Università Statale dell’Ohio, poiché così lo battezzò Ehman, scrivendo proprio un Wow! sul tracciato cartaceo. Era quello che stava cercando! Lavorava, infatti, al programma SETI: la ricerca di intelligenze extraterrestri attraverso una comunicazione radio interstellare. Il segnale era forte (oltre 30 volte più forte del “rumore” atteso) e “pulito” (una perfetta curva a campana) e durò per tutta la durata dell’osservazione (72 secondi), ma non fu mai più rivisto.
Localizzato nella costellazione del Sagittario fu successivamente oggetto di ripetute osservazioni con vari radiotelescopi, incluso il VLA, tutte inconcludenti.
Nel 2012, in occasione del trentacinquesimo anniversario della sua scoperta, è stato utilizzato il radiotelescopio di Arecibo (Portorico) per inviare un messaggio di risposta verso la costellazione del Sagittario…
Dieci anni prima Joselyn Bell era stata più fortunata. Il radio segnale “Wow!” che aveva scoperto a Cambridge (UK) durante il suo lavoro di tesi di dottorato andava ripetendosi regolarmente (cosa che, una volta accertata la sincronicità con il tempo sidereo, permise di scartarne l’origine terrestre, sospettata inizialmente). Inizialmente fu battezzato — scherzosamente, ma neanche tanto — LGM1 (da Little Green Men); gli astronomi di Cambridge non si capacitavano, infatti, che un fenomeno naturale celeste potesse produrre segnali pulsati regolari, precisamente uno ogni 1,33 secondi.
Quando, qualche tempo dopo, Jocelyn Bell registrò un secondo segnale pulsato (e poi un terzo) proveniente da una regione molto diversa del cielo, capì che si trattava di un nuovo fenomeno astronomico. Era stata scoperta una nuova classe di stelle: le pulsar. Il nome LGM fu abbandonato e sostituito con la sigla CP (che sta per Cambridge Pulsar), seguita da coordinate celesti. La storia della scoperta delle prime pulsar è splendidamente e spiritosamente raccontata dalla stessa Jocelyn Bell Burnell.
Ne raccomando la lettura. Il profilo del segnale registrato. A quando il prossimo evento “Wow!”?
Tommaso Maccacaro