Res gestae dello “Spartaco nero”

Quel misero angolino dei manuali di storia riservato alla “rivoluzione haitiana”

La Redazione di Sconfinare
sconfinare
5 min readAug 1, 2019

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Monumento a Toussaint Louverture, Montréal (Credits: Flickr)

di Francesco Laureti

C’è ben poco di cui sorprendersi. Ogni qual volta si inizi a narrare un fatto storico, che si sia consolidato in misura maggiore o minore nella memoria collettiva, accade che ci si accorga di aver ristretto troppo il campo di analisi o di aver tralasciato delle connessioni rilevanti. Ciò vale tanto per i più eclettici divulgatori quanto per i profani. Pertanto, è difficile non ammettere che la ricostruzione quanto più ragionata ed esaustiva possibile di un avvenimento passato, prima ancora dell’attività espositiva, sia un mestiere arduo. A maggior ragione se gli addetti ai lavori prendono atto di quanto la ricerca storica risenta del contesto culturale in cui essa è condotta. D’altronde, solo in tempi recenti la disciplina ha iniziato ad ampliare gli orizzonti e a sperimentare un approccio multiculturale, che non privilegi un’area geografica rispetto alle altre. Eppure, nel mondo interconnesso del nuovo millennio, le storie dei vari angoli del globo rimangono, per lo più, scisse e inconciliabili. Emblematico è l’esempio della “rivoluzione haitiana”.

Luglio 1789. Mentre un ordigno di rabbia popolare e aspirazioni borghesi esplode a Parigi, il vento di rivoluzione raggiunge le lontane colonie francesi delle Antille. Per la popolazione di schiavi di Santo Domingo, che si aggira intorno ai 500000 individui, sono notizie esaltanti, che lasciano presagire che anche il regime di schiavitù dei territori d’oltreoceano sarà travolto inesorabilmente dal grido della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 1789. Scoppiano i primi tumulti contro i proprietari terrieri, che, privi della tutela regia, decidono di rivolgersi ai britannici. Ed è allora che un liberto, che probabilmente ha letto gli illuministi francesi, si mette a capo della rivolta e decide di battersi per l’uguaglianza di tutti gli uomini. Per quanto François-Dominique Toussaint sia ammantato di leggenda, la sua maschera incarna il miracolo di quella che è considerata l’unica rivolta di schiavi che storicamente abbia avuto buon esito, conducendo, per di più, alla fondazione della prima repubblica di ex schiavi.

Provvedimento di Toussaint Louverture sulle proprietà terriere (Credits: picryl.com)

Quel liberto, figlio di uno schiavo di nome Ippolito, venduto ai trafficanti di schiavi per 300 monete, rappresenta uno di quegli sparuti casi in cui la Storia non si tira indietro dinanzi all’opportunità di confessarsi senza veli. Che sia ricordato con l’appellativo di “Napoleone nero” o “Spartaco nero”, Toussaint Louverture è stato capace di smascherare il non detto delle élite rivoluzionarie francesi. Fin dallo scoppio della rivoluzione, all’Assemblea Nazionale non era sfuggito che la schiavitù in vigore nelle colonie rischiasse di oscurare i successi ottenuti da quel memorabile 14 luglio. Ma, sebbene una delle figure più carismatiche dell’intera Assemblea, Robespierre in persona, non abbia tardato a esprimersi a favore dell’abolizione della schiavitù, l’argomento non sarà oggetto di acceso dibattito prima del maggio 1791. D’altra parte, gli schiavisti, pur di difendere i propri interessi, propongono di vietare il possesso di schiavi nell’area metropolitana, consentendolo, tuttavia, nei territori coloniali.

Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono esser fondate che sull’utilità comune”, recita il primo articolo della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 1789, principio che sarà inciso nella coscienza collettiva solo nella “Dichiarazione universale” del 1948 (art. 1 e 4). D’altra parte, in occasione della promulgazione della Dichiarazione dell’89, a nessuno era venuto in mente di specificare che rientravano nella categoria di uomini gli schiavi neri sfruttati nelle piantagioni d’oltreoceano. Ciononostante, l’eco della rivoluzione sarà tale da suscitare subito la frenesia degli “uomini di colore”, affrancati o schiavi, e da impedire all’Assemblea Nazionale di restringere il campo di applicazione delle libertà rivoluzionarie. Sarà poi il cordigliere Danton a correre ai ripari nel 1794, per celebrare l’abolizione della schiavitù: “fino ad oggi avevamo decretato la libertà in modo egoistico, per noi soli; oggi proclamiamo la libertà universale” (G.J. Danton, Discours Civiques de Danton).

Settembre 1791. Mentre a Parigi infuria il dibattito sull’opportunità di consolidare il regime instaurato o di portare il moto rivoluzionario alle estreme conseguenze e, tra gli altri, Robespierre si attesta su posizioni radicali sul diritto alla sussistenza e sulle ingiustizie che continuano a consumarsi nelle colonie, a Santo Domingo Toussaint riveste il ruolo di capo carismatico, dopo esser stato addirittura nominato generale dell’esercito regio in esilio dal commilitone Georges Biassou. Al generale spetta l’arduo compito di rigettare a mare i soldati inglesi, che sono accorsi in aiuto della resistenza disperata dei piantatori bianchi. Assalto dopo assalto, nasce il mito del fondatore della Repubblica di Haiti, il mito del liberatore a cavallo, che guida la rivolta delle gens de couleurs contro la tirannia dei colonialisti e l’incoerenza delle élite riunite nell’Assemblea Costituente.

Toussaint si accorda con gli inglesi sull’evacuazione dell’isola da parte dell’esercito nemico (Credits: Wikipedia)

La situazione si complica ulteriormente nel settembre 1792, quando la Convenzione repubblicana nomina il giovane girondino Léger-Félicité Sonthonax commissario per la colonia di Santo Domingo. Mosso dalla sincera volontà di sanare le contraddizioni di una rivoluzione apparentemente contenuta entro i confini del “vecchio continente”, il commissario abolisce formalmente la schiavitù, riavvicinando alla Francia un Toussaint Louverture fino ad allora indomabile. Per tutta risposta, la Convenzione richiama Sonthonax in patria, sottoponendolo a un duro giudizio per via della decisione sconsiderata e, allo stesso tempo, consentendo allo “Spartaco nero” di agire a propria discrezione su un’isola ormai insorta da Est a Ovest. Una volta che gli inglesi sono stati allontanati e il dominio dei vecchi padroni bianchi è stato sovvertito, François-Dominique è l’unico vincitore di una guerra alimentata dagli appetiti dei proprietari terrieri e delle potenze rivali della Francia. Se, da una parte, sembrava che anche a Santo Domingo avessero preso forma quegli ideali rivoluzionari che avevano appiccato un incendio al cuore dell’Europa, dall’altra chi esultava al termine di quella gloriosa epopea non poteva presagire i terribili sviluppi del Terrore rivoluzionario del luglio 1793.

Eppure, nonostante la svolta repressiva del Comitato di Salute Pubblica e l’ascesa del Bonaparte, che tenterà l’ultimo azzardato tentativo di recuperare il controllo di Santo Domingo, fino al punto di ordinare la cattura di Toussaint Louverture, era evidente che il miracolo haitiano fosse già parte del corso inesorabile degli eventi, spezzando un tabù rimasto intatto fin dai tempi di Aristotele. Un fatto storico che, analizzato a distanza di due secoli, non può che esser di stimolo alla ricerca, stravolgendo considerazioni ritenute inconfutabili, sfatando ogni genere di luogo comune sulla Rivoluzione francese e squarciando un sottile strato di ipocrisia.

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Sconfinare è il periodico creato dagli Studenti di Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università degli Studi di Trieste — Polo di Gorizia.