Il teatro come “ospedale per le anime”

Massimiliano Boschi
Scripta Manent
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3 min readMay 15, 2020

“Sediamoci attorno a un tavolo per trovare soluzioni. Le ferite sono necessità indispensabili perché l’arte si manifesti”. Intervista ad Antonio Viganò.

Antonio Viganò — foto di Vasco dell’Oro

Poco più di due settimane fa, Antonio Viganò ha inviato una lettera aperta per annunciare i prossimi passi del suo Teatro La Ribalta e per ribadire la sua idea di teatro in un momento in cui tutti o quasi siamo stati costretti a convivere con il dolore e la malattia. “Il teatro — ha sottolineato — è questa semplice necessità, che durerà nel tempo, di incontrarsi per immaginarsi e riconoscerci, per raccontarsi e sorprendersi. Perché non si può pensare al teatro e alla danza senza la presenza reale e la vicinanza dei corpi, senza la puzza di sudore, il respiro affaticato, senza il fatto che quello che succede lì, in quel momento, sarà unico e irripetibile. Non è riproponibile sempre ed eternamente uguale, come in un video o al cinema. Perché oggi, proprio in questa solitudine obbligata, umanità limitata, in questa distanza tra corpi, riscopriamo la bellezza e la necessità di quell’arte così antica: è come un fossile, se siamo in grado di accenderlo, di dargli fuoco, è capace di scaldarci come nessun altro combustibile”. Riflessioni che lo hanno portato a una decisione: “Non investiremo in video, riprese o streaming, ma investiamo tutto quello che abbiamo e anche quello che dobbiamo trovare, per costruirci un vero e proprio peep show teatrale. Uno spazio scenico costituito da una piattaforma circolare, circondata da 16 cabine individuali che ospiteranno 16 spettatori. Ognuno dentro una piccola cabina, singola, per assistere ad uno spettacolo attraverso una finestra vetrata che guarda la piattaforma centrale. Uno spazio scenico che è anche una situazione drammaturgica, reale, concreta, dove sviluppare varie possibilità. Inventarci uno spazio teatrale che , proteggendo noi e gli spettatori, ci permette di continuare a fare il nostro mestiere di attori e danzatori”.

Questo particolare “peep show” sarà pronto tra un paio di settimane e la curiosità non manca. Al momento però, gli abbiamo chiesto come vede la situazione in generale a oltre due mesi dall’avvio del lockdown: “Come tutti quelli che fanno il mio mestiere — premette — mi sto domandando quale sarà il futuro del teatro anche inteso come spazio fisico. Bisognerà inventarsi nuovi luoghi e nuove modalità d’uso. La mia maggiore preoccupazione riguarda i lavoratori del teatro, attori e tecnici, che già prima dell’epidemia erano precari e non so quanto potranno ancora resistere. Non credo per molto, questo li spingerà verso altri lavori e recuperarli sarà complicato”.

La vostra situazione?
“I lavoratori del Teatro La Ribalta sono stati in cassa integrazione fino a lunedì 11 maggio, ora lavoriamo come possiamo in smart working”.

Quale sarà il futuro prossimo del teatro?
“Il Fus garantisce contributo a strutture, compresa la nostra, ma se non ricomincia l’attività sono soldi che finiscono a strutture vuote che non possono produrre e girare. Qui in Alto Adige, tutti stanno cercando soluzioni per andare avanti, mi farebbe piacere che tutto il settore trovasse il coraggio di sedersi attorno a un tavolo per confrontarsi e fare proposte. La mia è anche un’autocritica, ma credo che i problemi sorti a seguito dell’epidemia del Covid 19 si possano risolvere solo mettendoci insieme. Purtroppo conosco la storica fragilità progettuale e sindacale del settore e non sono ottimista, credo che pagheremo la nostra incapacità di coordinarci”.

Il ministro Franceschini ha proposto un “Netflix” della cultura. Che ne pensi?
“Lo streaming non mi appassiona per niente, credo sia un’operazione di marketing. Il teatro è un ospedale per le anime, dove le ferite sono necessità indispensabili perché l’arte si manifesti. Dobbiamo interrogarci, non possiamo limitarci a guardare indietro trasmettendo il repertorio del passato in forme diverse. Qualche mese fa abbiamo anche organizzato un convegno: La malattia che cura il teatro, chiedendo che il teatro si mettesse in gioco: ammalandosi, contagiandosi e infettandosi. Ovviamente in senso metaforico”.

Non ci sono ancora linee precise riguardo alla riapertura degli spettacoli dal vivo, ma nessuno sembra tentato da forme di protesta collettive o da colpi di mano
“Siamo tutti bloccati perché il codice Ateco del teatro è l’ultimo preso in considerazione, ma credo che esistano ragioni oggettive che lo spiegano. Siamo responsabili, aspettiamo e vedremo di porre le nostre questioni all’ordine giorno al momento giusto”.

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Massimiliano Boschi
Scripta Manent

Collaboro con “Alto Adige Innovazione” e “FF- Das Südtiroler Wochenmagazin”. In passato con “Diario della settimana”, “Micromega” e “Il Venerdì di Repubblica”.