La curiosità in punta di piedi
Il Festival “Bolzano Danza” raccontato da chi lo segue da sempre. Intervista a Claudia De Lorenzo.
Le fedeli appassionate al Festival Bolzano Danza (in corso mentre scriviamo) sono tante, anzi tantissime. La scelta non è stata facile, ma alla fine, per farci raccontare come nasca la passione per la rassegna diretta da Emanuele Masi, abbiamo scelto Claudia De Lorenzo, una “fan” che segue il festival dalla prima edizione senza pregiudizi e con uno spirito critico aperto ma ben attivo.
Tutto, ovviamente, nasce dalla sua passione per la danza: “Purtroppo — spiega — non sono diventata una ballerina, ma da ragazza ho fatto ginnastica artistica e da adulta ho frequentato diversi corsi di danza. Si tenevano nell’ex scuola Carducci e io ci abitavo di fronte e questo mi facilitava molto. Seguo Bolzano Danza da sempre grazie anche alla partecipazione di mia cugina che veniva da Faenza per corsi e stage del festival. Grazie a questa mia passione riesco a digerire qualunque spettacolo anche i più concettuali. Il direttore Masi è comunque molto bravo a tenere il giusto equilibrio tra le proposte più impegnative e quelli più immediate”.
Quali spettacoli l’hanno colpita maggiormente?
“Ne cito due non particolarmente facili.“Empty Moves” di Angelin Peljocai (sono stata una delle pochissime a resistere fino alla fine ma mi piacciono le sfide) e Tragédie di Oliver Dubois, uno spettacolo che, dopo un preludio difficile, ho trovato splendido e coinvolgente”
Frequenta anche le iniziative collaterali e i talk?
“Sì e al di là delle mie preferenze personali, credo siano utili e che avvicinino il pubblico alla danza e ai protagonisti degli spettacoli. Aiutano anche ad ampliare le chiavi di lettura. Come detto, io digerisco ogni spettacolo, ma per quelli più impegnativi i talk possono risultare di grande aiuto”.
Come valuta il pubblico di Bolzano? In generale, non solo quello di Bolzano Danza…
“Domanda difficile, ma direi che non è particolarmente caloroso, forse è un problema di confidenza o forse di pigrizia. Ricordo che Gaber disse che il pubblico di Bolzano era fedele e numeroso ma freddo. D’altra parte, siamo un pubblico viziato, l’offerta culturale è davvero ampia e di qualità e i costi per lo spettatore sono più bassi che nel resto d’Italia. Forse siamo solo sazi e scarsamente curiosi. Pochi frequentano altri teatri. Se non si ha un metro di paragone e di confronto diventa difficile avere opinioni e argomenti di discussione, idee o desideri nuovi, dunque il dibattito sulla qualità dell’offerta locale manca della sua linfa vitale. Penso, inoltre, che non tutti partecipino agli eventi culturali per passione, alcuni lo ritengono quasi doveroso per il loro status sociale, ma credo che l’urgenza maggiore sia quella di coinvolgere il pubblico più giovane. E’ quello che può e deve aprire il varco a nuove idee e nuovi progetti”.
Idee su come riuscirci?
“Credo occorra investire maggiormente sulla loro formazione e invitarli allo scambio dialettico. Purtroppo si trovano a confrontarsi con una generazione di cinquantenni che si crede ancora adolescente e che si rapporta con loro credendosi vicina, mentre probabilmente è lontanissima”.