L’arte “scomoda” in via Museo

Massimiliano Boschi
Scripta Manent
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5 min readMar 18, 2019

Intervista a Emanuele Guidi, direttore artistico di “ar/ge kunst” di Bolzano.

Foto Sorvillo-Guadagnini

La sede è centralissima, nella principale via dello shopping bolzanino, proprio di fronte al negozio di un notissimo marchio di abbigliamento, eppure, ancora in troppi non osano aprire la porta per varcarne l’ ingresso. Ed è un peccato, perché la sede di “ar/ge kunst” in via Museo 29 è in grado di allargare orizzonti e modificare gli sguardi senza costringere a comprare nulla. Così, non solo per dare una spintarella a chi osserva ma non si decide a entrare, abbiamo chiesto al direttore artistico Emanuele Guidi di presentarci progetti e storia di “ar/ge kunst”-
Ar/ge è l’abbreviazione di Arbeitsgemeinschaft — premette Guidi — ed è un termine giuridico per indicare un gruppo di lavoro intorno ad un tema o una disciplina, in questo caso l’arte (Kunst). Un nome scelto nel 1985 dal gruppo dei fondatori anche per come risuonava con l’aggettivo arge (femminile di arg) che può essere tradotta come scomoda. Quindi ar/ge kunst dal principio ha cercato di lavorare intorno a un’idea di arte scomoda; ecco questo credo sia un modo di posizionarsi in modo sapiente rispetto a tante questioni che riguardano il contemporaneo, che, proprio perché attuale, proprio perché ci siamo immersi, rende difficile una presa di distanza critica. Ma lo sforzo deve essere questo per un’istituzione che fa cultura oggi, di qualsiasi scala essa sia”.

Come si pratica questa immersione?
“Quello che ho cercato di fare negli anni della mia direzione, è stato di invitare e commissionare progetti inediti per il nostro spazio che risuonassero il più possibile con temi e questioni legate al territorio. Spesso partendo da storie, esperienze e approcci da altre geografie e altri tempi che però potessero aiutare a produrre questa distanza critica per guardare il “locale”. Per fare un esempio si può parlare di plurilinguismo attraverso un approccio orientalista come nel caso di Slavs and Tatars, si può parlare di resistenza al fascismo lavorando sull’Etiopia come hanno fatto Invernomuto, o si possono esplorare materiali e saperi locali in modo inaspettato come ha fatto Otobong Nkanga nell’ultima mostra. Allo stesso tempo, ho invitato anche artisti e ricercatori a cercare di confrontarsi in modo frontale con la regione e la sua complessità: penso al programma di residenze di ricerca che negli ultimi 5 anni abbiamo attivato e che hanno portato a guardare l’Alto Adige, e non solo, attraverso la storia tra le due guerre (Gareth Kennedy), il conflitto intorno agli sviluppi urbani futuri della città (Can Altay), le nuove comunità a Sud e Nord del confine (Matilde Cassani), e ora il lavoro sul rapporto tra ambiente e migrazione con Lorenzo Pezzani. Per citare la mostra attuale con Sven Sachsalber, un artista “locale”, che però ha scelto di vivere a New York: la sua mostra è una riflessione sul paesaggio alpino da cui proviene, ma prodotta attraverso uno sguardo assolutamente estraniante, che apre delle domande interessanti sull’identità e sul modo in cui questa viene assorbita da strategie di marketing territoriali messe in atto a fini turistici”.

Tutto questo ha permesso ad ar/ge kunst di crearsi un pubblico affezionato e partecipe. Ma chi entra in via Museo 29 cosa cerca?
“Ho visto il nostro pubblico cambiare molto negli ultimi anni, coinvolgendo sempre di più giovani, ma non solo. Ogni mostra ha il suo pubblico che si genera intorno alle attività che cerchiamo di organizzare. Ogni mostra tratta un tema, sviluppa una metodologia e ha una comunicazione mirata per quelli che possono essere i gruppi interessati: un lavoro che facciamo proprio per andare oltre il pubblico specializzato. Da un anno la nostra nuova curatrice del programma pubblico, Simone Mair, sta lavorando su una serie di laboratori pratici dal titolo Savoir Vivre, che partono dai materiali presenti in mostra per attivare attività pratiche e sviluppare forme di conoscenza inusuali intorno a questi. C’è sempre un tentativo di produrre un legame tra un progetto di mostra e i saperi locali, anche se i punti di partenza sembrano molto distanti. Questi tentativi di traduzione, o meglio di trasposizione per citare Rosi Braidotti, sono al centro di tutte le nostre attività”.

Quali sono le difficoltà e le potenzialità di ar/ge kunst?
“Lavorare a ar/ge kunst permette di interrogarsi sulla differenza che una istituzione locale può fare nel posto in cui è calata. Da un lato la necessità di promuovere la ricerca, l’innovazione e la sperimentazione dei linguaggi, che sono per me i cardini dell’arte contemporanea, cercando allo stesso tempo di sviluppare forme di mediazione adeguate. Mantenere l’equilibrio tra queste due dimensioni è la sfida più interessante. Chiaramente dobbiamo fare i conti con le risorse (umane ed economiche) che non sempre ci permettono di sviluppare alcuni ambiti quanto desidereremo”.

Lei lavora tra Bolzano e Berlino. E’ possibile fare un paragone tra queste due realtà dal punto di vista artistico o le differenze sono troppe?
“Berlino è un centro riconosciuto internazionalmente che ancora continua a essere una delle maggiori basi per la scena artistica internazionale, con tutto quello che comporta nel bene e nel male (sperimentazione da un lato, e omogeneizzazione dall’altro). Bolzano è al centro a suo modo, tra due paesi e tra più culture. La storia ha voluto che tornasse a essere centrale in vari momenti, come in questi anni, e quindi per me un posto di estremo interesse per poter registrare cambiamenti che non sono certamente visibili a Berlino”.

Il legame con il territorio è fondamentale…
“Come ho già detto, per noi è importante fare proposte di progetti o mostre che in qualche modo siano in linea di reciprocità con il territorio e il suo pubblico. E lavorando per proteggere la complessità dei linguaggi, che purtroppo si sta perdendo in altre sfere della vita pubblica, cerchiamo di attivare forme di mediazione e traduzione, che permettano di rendere accessibili questi linguaggi. Intorno a questo cerchiamo di costruire l’identità di ar/ge kunst e della sua proposta. Spero che chiunque entri da noi, al di là del vago mi piace o non mi piace, riconosca una ricerca e una professionalità nelle posizioni presentate e soprattutto la volontà di prendersi tutti i rischi di una sperimentazione, che in alcuni casi può anche non andare a buon fine”.

Come può crescere il pubblico dell’arte contemporanea in Alto Adige?
“Credo che il pubblico in Alto Adige sia molto consapevole del panorama artistico e culturale contemporaneo. Questo perché da anni ha sotto gli occhi una serie di istituzioni che nei vari campi, sono in grado di portare artisti incredibili da ogni angolo del globo. Forse il pubblico in Alto Adige dovrebbe essere più consapevole di quanto questa situazione sia estremamente rara e preziosa, ovviamente in Italia, ma anche rispetto a molte altre province in Europa. Sottolineo questo perché credo sia necessario riflettere su cosa significhi essere pubblico e sull’importanza che questo ruolo implica; così come credo sia necessario riflettere sulla differenza tra cultura come servizio o cultura come processo attivo, reciproco e polemico, nel senso genuino del termine, e che deve saper andare oltre le mura delle istituzioni stesse; un confine che si sta pericolosamente perdendo ma non solo in Alto Adige”.

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Massimiliano Boschi
Scripta Manent

Collaboro con “Alto Adige Innovazione” e “FF- Das Südtiroler Wochenmagazin”. In passato con “Diario della settimana”, “Micromega” e “Il Venerdì di Repubblica”.