Le “direzioni” dell’arte contemporanea

Massimiliano Boschi
Scripta Manent
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4 min readMar 4, 2019

Intervista a Letizia Ragaglia, direttrice di Museion.

“Per garantire l’efficiente programmazione della stagione 2020, è stato concordato con l’attuale direttrice Letizia Ragaglia un prolungamento del suo incarico per i prossimi 12 mesi, fino a maggio 2020”. Questa decisione del Collegio di Fondazione di Museion ha fortunatamente scatenato un minimo di dibattito sull’arte contemporanea in Alto Adige, ma ha avuto anche un piccolo effetto collaterale: ha smontato l’idea di un’intervista doppia alla direttrice uscente e al direttore o alla direttrice entrante del museo d’arte contemporanea bolzanino. Poco male, ci riproveremo tra quindici mesi, nel frattempo abbiamo provato a comprendere se e come sia cambiato il pubblico dell’arte contemporanea in Alto Adige negli ultimi dieci anni, da quando Museion ha inaugurato la sua nuova sede.
La direttrice uscente/entrante mostra pochi dubbi al riguardo: “Il nostro pubblico è cambiato molto. Oggi è molto più giovane ed eterogeneo ed è un risultato che abbiamo cercato con costanza e impegno grazie a progetti specifici. Credo sia stato colto pienamente il nostro invito a visitare un luogo aperto e innovativo, un posto in cui sia possibile vivere esperienze alternative al quotidiano. So che la mia affermazione non piacerà a qualcuno, ma non ho mai voluto che Museion diventasse il punto di riferimento di un pubblico specifico e specializzato. Insieme al team abbiamo lavorato per coinvolgere più pubblici possibili e credo che l’obiettivo sia stato raggiunto: i nostri visitatori oggi hanno voglia di mettersi in gioco”.

Museion come luogo aperto. C’è chi dice che lo è fin troppo, non c’è il rischio di perdere parte della propria identità?
“No, credo occorra perseverare sulla nostra strada: mantenersi aperti a tutti senza abbassare il livello qualitativo, perché il bello della cultura sta proprio nell’inaspettato e nel complesso. Mi permetto di dire che l’arte contemporanea risulta sempre più utile e che occorre farla frequentare già ai bambini molto piccoli per abituarli ad accettare le cose non banali e persino difficili. Credo svolga un ruolo fondamentale per aprire le menti alla diversità e tra i suoi compiti vi è anche quello di far uscire dalla zona di comfort i visitatori. Questo non significa arroccarsi sulle proprie posizioni, è necessario aprirsi ai nuovi linguaggi, ma senza semplificazioni e banalizzazioni. Confermo, Museion si deve rendere accessibile a sempre più persone, non siamo qui per gli addetti ai lavori. Meglio, siamo qui anche per loro, ma non solo, e credo che 50.000 visitatori per una realtà come la nostra siano un successo. Sono numeri che non ci spingono a riposare sugli allori, ma che ci invitano a continuare a sviluppare format nuovi insieme a partner. Compagni di strada che a prima vista possono sembrare lontanissimi dall’arte contemporanea ma da cui sappiamo di poter ottenere risultati inaspettati. Penso, per esempio, alla straordinaria esperienza con gli allevatori sudtirolesi che hanno portato sul prato di Museion le loro mucche (in occasione del progetto Carillon dell’artista Olaf Nicolai). Credo sia stato un incontro positivo per tutti perché prima, durante e dopo l’incontro, ci siamo presi il tempo di pensare e capire”.

Ma come si raggiunge e coinvolge chi mostra evidenti pregiudizi verso l’arte contemporanea. Per capirci, quelli del “Non ne capisco il senso” e “Questo lo so fare anch’io”.
“Attraverso le pratiche di cui parlavo prima. Chi entra a Museion può confrontarsi direttamente con le opere esposte, ma può anche appoggiarsi ai mediatori se desidera saperne di più. I nostri guardiani di sala sono essenziali da questo punto di vista. Non stanno in un angolo a sfogliare riviste, ma danno informazioni parlando il linguaggio del pubblico. Questo permette loro di diventare dei confidenti e instaurare un rapporto positivo con i visitatori, aiutandoli a liberarsi dell’eventuale disagio. Dietro a questo atteggiamento c’è un concetto fondamentale: non si deve mai sottostimare il pubblico, non dobbiamo pensare che certe cose non si possono fare perché il pubblico non le capisce. Occorre evitare di calare dall’alto le informazioni, è preferibile avere continui e diversificati rapporti uno a uno con i nostri visitatori, per abbattere le soglie di timore”.

Un sano dibattito sull’arte, non solo contemporanea, non potrebbe essere di aiuto?
“Probabilmente sì, ma non è semplice. In passato abbiamo provato a stimolarlo: penso all’esposizione di Rossella Biscotti L’avvenire non può che appartenere ai fantasmi, che ospitava i calchi delle cinque teste di bronzo di Vittorio Emanuele III e Benito Mussolini. Abbiamo provato a collegarlo al territorio, coinvolto storici locali, ma i risultati sono stati pressoché nulli. A quanto pare il dibattito resta monopolizzato da chi critica per partito preso o da chi vuole difendere o promuovere il proprio orticello. Ma è così a Bolzano come a Roma o Vienna. Da questo punto di vista non siamo speciali. E’ vero, il dibattito permetterebbe di confrontarsi sui programmi e i temi senza pregiudizi, ma non sembra l’epoca giusta. Si preferisce l’invettiva sui giornali o sui social e si fugge dal confronto pubblico con spirito costruttivo. Forse ci siamo andati vicini con la mostra delle opere di Martin Kippenberger e Maria Lassnig, in quel caso è nata qualche interessante discussione”.

L’arte contemporanea preferisce ancora le “provocazioni” al dibattito?
“L’arte contemporanea serve a provocare qualcosa, mentre le provocazioni lasciano il tempo che trovano. Più che provocare, credo a un museo come a un luogo in cui porsi questioni e uscire magari con delle domande. La riproposizione di Martin Kippenberger a dieci anni di distanza dal caso della rana mostra che questo è possibile. Certo, il linguaggio di Museion è quello dell’arte, quindi trasversale, fluido e non sempre immediato. Questo aspetto non va però considerato un limite, ma uno stimolo: in momento in cui tutti pensano di poter sindacare su qualsiasi cosa senza approfondire. Per me il museo è anche un luogo di resistenza.”

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Massimiliano Boschi
Scripta Manent

Collaboro con “Alto Adige Innovazione” e “FF- Das Südtiroler Wochenmagazin”. In passato con “Diario della settimana”, “Micromega” e “Il Venerdì di Repubblica”.