Quale cultura per il pubblico?

Massimiliano Boschi
Scripta Manent
Published in
4 min readDec 13, 2019

L’intrattenimento, l’approfondimento, la partecipazione democratica e un libro di Goffredo Fofi. I temi e le domande di Scripta Manent 2020.

Scripta Manent. Il 2019 sta per concludersi e come molti altri ci troviamo a stilare un “bilancio annuale” che risulta felicemente complicato . Le oltre trenta interviste raccolte per questa edizione di Scripta Manent ci hanno fornito risposte differenziate e stimolanti, tanto da spingerci a porre nuove domande evitando di cercare una risposta strutturata che esula dai compiti di Scripta Manent.
Per questo crediamo che sia giunto il momento di ribaltare la domanda da cui eravamo partiti a inizio 2019: “Quale pubblico per la cultura altoatesina?” per passare a “Quale cultura per il pubblico dell’Alto Adige?”.

Un cambiamento che ci è stato stimolato dal pubblico ancor prima che dagli operatori culturali. E’ il pubblico, anche quello che abbiamo sentito “off record”, che ha chiaramente richiesto spettacoli in grado di “sfidarlo”, invitando a proposte più “scomode” e “difficili” in grado di prolungare ragionamenti e dialoghi anche oltre la conclusione del singolo evento.
“A Bolzano ci si crogiola in un certo tipo di umorismo e anche nella battuta scontata, non vedo molta voglia di farsi sorprendere”, “Chi va a teatro lo fa perché crede che sia un dovere della sua classe sociale di appartenenza”. Spesso abbiamo sentito frasi che sono un invito troppo ghiotto per lasciarlo cadere nel vuoto. E’ vero, la selezione degli intervistati è stata casuale ed è quindi possibile che non rappresentino il pensiero più diffuso, forse si tratta solo di una minoranza, ma crediamo siano uno stimolo sufficiente a chiederci quale “cultura” si intenda privilegiare nell’offerta al pubblico altoatesino e quali politiche culturali possano essere attivate dall’ente pubblico.
Da tempo, ormai, sembra prevalere un unico criterio quello quantitativo, spariti i critici, i media si limitano a far parlare i numeri. Di conseguenza, ogni ente finisce per autocelebrarsi attraverso il numero di abbonati e di visitatori, i bilanci “sistemati” o la crescita delle sponsorizzazioni private. Ma chi valuta la qualità e soprattutto attraverso quale criterio?

Prima di proseguire, va fatta una fondamentale precisazione: le politiche culturali degli enti pubblici si rivolgono a tutti i cittadini, non agli spettatori.
Detto questo, che tipo di cultura può essere offerta ai cittadini? Una cultura in grado di rassicurare e di rendere tutto più chiaro e rincuorante proponendo eventi in cui i partecipanti possano sentirsi intelligenti e al passo coi tempi, o una più difficile, meno immediata che non abbia l’obiettivo di limitarsi al puro intrattenimento?
Per capirci, si preferisce accontentare quel pubblico che crede che andare a teatro o alle mostre faccia parte dei caratteri distintivi del suo status sociale — uno degli atti necessari a rimarcare le differenze dalla massa indistinta — o si pensa di dover privilegiare una cultura perturbante o scabrosa, magari meno rassicurante ma che si pone come fondamentale strumento per la produzione di cittadinanza?
Si intende privilegiare una cultura “divertente” (come da etimo, “in grado di far prendere un’altra direzione”), che svegli invece di addormentare o una che rassicuri proponendo il già visto con il pretesto della tradizione?
Questo articolo deve molto alla lettura di “L’oppio del popolo” di Goffredo Fofi, in cui l’oppio è proprio la cultura. Un volume di cui è difficile condividere ogni assunto ma che pone di fronte a interrogativi reali. Se la cultura non mette più il dito nelle piaghe dell’epoca, se evita accuratamente le domande più complicate, a cosa serve se non a intrattenere?
Gli spettacoli, i libri e le mostre che non ci costringono a pensare e a metterci in discussione, hanno lo stesso valore di quelle che invece aprono nuovi sguardi sul mondo che ci circonda?
Non andrebbero privilegiati spettacoli, libri e opere d’arte decisive che aprono nuovi percorsi nella nostra vita senza costringerci alle esperienze dolorose che sono l’altra unica possibilità di cambiamento?
A queste domande poste (anche) da Goffredo Fofi come si risponde in Alto Adige?

Come già accennato, la cultura può essere uno straordinario strumento di cittadinanza proprio perché spinge verso la partecipazione che è cosa molto diversa dal consenso. Gli effetti positivi sulla democrazia sarebbero conseguenti, ma forse, per comprendere meglio quanto la scelta sia importante, ci si può rifare ad ambiti molto diversi. Quanti dei cantieri aperti nelle nostre città servono a costruire strade, ferrovie o case popolari e in quanti si lavora alla costruzione di centri commerciali, alberghi, appartamenti per turisti e supermercati? Quanti sono costruiti nell’interesse dei cittadini e quanti per il loro svago? Un ente pubblico quali cantieri dovrebbe privilegiare?
Qui però, si stanno sommando troppe domande, troppe questioni. Aspettiamo le vostre considerazioni, non arrivassero ci attiveremo per recuperarle.

Massimiliano Boschi

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Massimiliano Boschi
Scripta Manent

Collaboro con “Alto Adige Innovazione” e “FF- Das Südtiroler Wochenmagazin”. In passato con “Diario della settimana”, “Micromega” e “Il Venerdì di Repubblica”.