Il pensiero digitale: un pensiero nuovo per un cervello nuovo?

Antonio Gallo
Scritture
Published in
5 min readSep 11, 2019
Inspirio

Ricordate la Giulietta di Shakespeare quando si chiede “What’s in a name?” “cos’è un nome?”. Lei pensa che se una rosa avesse un altro nome, avrebbe sempre lo stesso profumo. Lei, il “nome”, lo riferisce a quello di Romeo, un Capuleto, lei una Montecchi. Si amerebbero lo stesso, se si chiamassero diversamente.

Quando una parola diventa anche un nome, un sostantivo, cioè un vocabolo che serve a designare una singola persona, un singolo animale, una singola cosa, o una classe di persone, animali o cose, come è il caso di questa parola di cui intendo parlare, allora la realtà si complica.

Mi riferisco a “digitale”, non una parola come un’altra. Dal latino “digitus” dito. Nel significato tecnologico, è passata attraverso l’inglese “digit” che sta per “cifra numerica”. La sentiamo continuamente. Pochi conoscono il suo vero senso, specialmente se pensiamo alla latitudine di significato che può assumere:

una macchina fotografica, una firma, una impronta, una generazione, un immigrante, un nativo, un’arte, un certificato, un testamento, una editoria, un divario, una città, un codice, un maggiordomo, un animatore, un contenuto, un contatore …

Potrei continuare, ma la parola non basta. Qui si capisce bene che è un “nome” che diventa “pensiero”. Bisogna, allora, costruire il contesto per capire. Non si tratta soltanto di una origine o di un mutamento tecnologico, bensì di un nuovo e diverso modo di pensare.

Il nostro modo di vivere negli ultimi cento anni è stato costruito su un modello industriale in cui la gerarchia, il controllo e la frammentazione sono state le caratteristiche principali dei luoghi del pensiero e di lavoro. In questi ultimi decenni sono nati nuovi modi sia nell’uno che nell’altro ambito.

Il lavoro e il pensiero sono diventati flessibili come le nuvole. Non è una metafora bensì la nuova realtà. L’organizzazione del lavoro non è più localizzata in un posto ben preciso, ma si trova ad essere condiviso altrove. Lo si impiega quando se ne ha bisogno, con tutte le necessarie sfaccettature.

“Nuvole” lavorative sparse e collegate da fili invisibili che si scambiano compiti, informazioni, servizi, in maniera innovativa in centri chiamati “hub”, veri e propri connettori di gestione.

I compagni di lavoro non sono più necessariamente quelli che ti sono accanto alla scrivania, nel corridoio alla porta accanta, al piano di sopra. Sono invece sistemati “altrove”, anche a distanza inimmaginabile finora. Sono collegati da una scopo, un interesse, un obiettivo comune.

Sono vere e proprie “tribù”, come qualche studioso li ha chiamati, non organizzazioni tradizionali, alle dipendenze di un potere ed un controllo che sono “altrove”.

Se questo è lo scenario del mondo del lavoro, dal punto di vista del consumatore avviene uno scambio di notizie in maniera digitale da un capo all’altro del mondo conosciuto.

Nel campo degli studi le informazioni sono diventate personalizzate attraverso tutti gli strumenti che le varie piattaforme mettono in campo. Non è che l’insegnante non serva più. Cambia soltanto il suo ruolo, la sua funzione.

Prima dell’alfabeto la comunicazione fra gli uomini era solo “faccia a faccia”, basata sui dispositivi naturali di trasmissione (parlare e gesticolare) e di ricezione (udito e vista).

Il pensiero in questa comunicazione era basato sulle emozioni e anche sui sensi. Un pensiero simbolico di tipo mitico, oltre lo spazio e il tempo, erano un flusso primitivo e naturale. Questa comunicazione imponeva la compresenza fisica degli interlocutori.

La scrittura divenne, perciò, uno strumento utile per astrarre l’oggetto e dargli un senso, consentendo di comunicarlo nel tempo e nello spazio, un mezzo di rappresentazione simbolica, oltre che uno strumento economico e di controllo del potere: il segno numerico.

Con la nascita e lo sviluppo dell’alfabeto fonetico, intorno al 1000 a. C, con i Fenici e i Greci, nasce la scrittura con lettere-segni prive di significato. Ad esse corrispondono suoni senza senso. L’alfabeto fonetico crea una divisione netta dell’esperienza, dando a chi ne fa uso di “vedere” il suono.

L’alfabeto fonetico è stata la prima “macchina” per pensare: funziona operando scelte a partire da un patrimonio di conoscenze, le elabora in una serie di concetti e significati codificati attraverso lettere e parole, che restituisce secondo connessioni logiche lineari.

L’alfabeto fonetico è dunque una “tecnologia” che induce la mente a disporre il messaggio lungo un asse spazio-temporale, in modo sequenziale (concetti legati da criteri logici) e unidirezionale. E’ il primo medium innovativo creato dall’uomo.

Con i nuovi media elettrici, fatti di “bits & bytes” si accentua l’influenza del mezzo sul pensiero, a prescindere dal contenuto che trasmette. McLuhan affermerà, provocando, che “il medium è il messaggio”. Infatti questi media estendono a dismisura il tempo e lo spazio del processo informativo, creano la cultura di massa.

La trasmissione dell’informazione si estende in rete, in maniera multidirezionale. Si crea e si favorisce l’interazione, la simultaneità e circolarità del messaggio. Chi riceve questo messaggio diventa passivo, cede a comprendere il suo significato. Tende ad accettarlo e basta. Finisce il pensiero sequenziale.

Con i media digitali avviene questa rivoluzione nel pensiero: l’attività cognitiva viene ripartita sistematicamente su molteplici processi di elaborazione simultanei e concorrenti. Si parla di “multidimensionalità”, una sorta di implosione che riduce le sequenze di spazio e di tempo, tipiche del pensiero alfabetico, alla simultaneità.

L’interattività, cioè lo scambio istantaneo di contenuti tra emittente e destinatario, conduce, attraverso l’uso dei media digitali, ad un esperienza multisensoriale, in cui l’attività cognitiva viene stimolata ed espansa su tutti e 5 i sensi.

I media digitali, in definitiva, consentono il recupero di una dimensione naturale e ancestrale del pensiero: simbolica, virtuale, soggettiva, auditiva e compresente. Bambini e adolescenti in genere primeggiano nei videogiochi proprio perché meno alfabetizzati degli adulti.

Il solo fatto di operare su un computer ci coinvolge su una molteplicità di processi simultanei e concorrenti, proprio nel senso che “corrono insieme” per realizzare un’attività più complessa. Esattamente come avviene nei vari “frames” (cornici) di una pagina web.

Questa ripartizione di attività, in molteplici sotto-processi simultanei e concorrenti, non a caso, è una proprietà costruttiva dei computers moderni, detta “time-sharing”. Il pensiero digitale può rivelarsi una attitudine preziosa per affrontare dunque le situazioni più complesse.

Non solo un pensiero nuovo, ma anche un cervello nuovo …

--

--

Antonio Gallo
Antonio Gallo

Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

No responses yet