La fortuna dei Fortuny, tra le chiose veneziane
Arrivo direttamente da Caorle, sotto un sole accecante, ci sono turisti dappertutto!
Quando venni l’ultima volta, non ero solo ed era una grigia mattina di novembre, fu un attracco deserto. Il vaporetto fece tutto il Canal Grande a zig e zag fermandosi in punti veramente interessanti. Oggi è completamente diverso.
In una cena mentre guardavamo un batik, un conoscente veneziano, mi parlò del Palazzo Fortuny, nel Sestriere di San Marco, consigliandomi di andare a vederlo.
Ora ci sono e a fatica, per la calca e il caldo, cammino verso la mia meta. Passo un paio di ponti, ritrovandomi nel Sestriere di Castello a Riva Ca’ di Dio! Lo stemma della marina sulla targa di un palazzo, mi colpisce, mi avvicino è il Circolo Sottufficiali della Marina Militare.
Fermo il primo che incontro al portone ma frettolosamente mi rinvia a un altro con un perentorio «Alvise, ti pol sentir sto sior?». Gli spiego la curiosità sortami. Nella nave che mi aveva traghettato da Caorle, sullo stemma delle quattro Repubbliche Marinare c’era il Leone veneziano impugnante una spada proprio come questo del Circolo Militare, ma diversamente dal gonfalone civico di Venezia, dove il Leone ‘branca’ un libro.
L’Alvise (a suo dire Alvise Barison orgogliosamente “Capo di prima a riposo”) «Solo la marina militare italiana può fregiarsi del “Leone con la spada”, simbolo di Forza tutti gli altri devono innalzare un tricolore con il “Leone con il vangelo”, simbolo di pace! Anche i gonfaloni delle istituzioni civili del veneto fanno riferimento al “Leon pacioso”».
«A Venessia, par el Leon, è sempre stato così, sono i caorloti che non ne capiscon molto … d’altronde pe’ noantri son furlan!»
Passo per gli Schiavoni, lo scorcio di San Giorgio trafilato tra i ‘pettini’ delle gondole ormeggiate sembra lo stesso scatto che fece mia moglie, la stessa prospettiva ma grigia … Mi cruccio tanto che un distinto signore, incrociandomi fa: «E te il ghi se sente mal?».
Lo rassicuro ringraziandolo per l’interessamento approfittando per avere indicazioni per l’andare al Palazzo Fortuny e per carpirgli, da ‘forastiero’, qualcosa di più sulla sua Venezia. Ciò potrebbe aiutarmi per comprendere questa bella e misteriosa città e i suoi poco accattivanti abitanti.
Personaggi sempre chiusi, tristi e scostanti; forse superbi dei loro trascorsi e consapevolmente padroni defraudati della loro città invasa da ‘foresti’, da turisti. Sembra di essere nel sobborgo russo di Ashgabat, dove i nostalgici dell’essere stati sovietici ‘dominanti’, li vedi chiusi tristi a fumar cento sigarette per le strade. Diversamente dai veneziani in loro c’è la consapevolezza di non essere, né di poter mai più essere padroni della ‘loro’ città ormai dei turcomanni, a cui hanno optato di appartenere.
«Pietro Morosin, par servirla!» si presenta. Gli chiedo le informazioni sull’itinerario e accenno sui chiarimenti avuti a proposito del ‘Leon venessian’.
«Ma, guardi, Venessia è piena di segreti, di sotterfugi, di doppi sensi, veri o immaginari, perlopiù creati ad arte per confondere proprio i ‘forastieri’; anzi, visto che deve arrivare alla ciesa di San Beneto, zo per la caleta incontrerà prima la ciesa di San Moisè. Per tutti, marrani e cristian, Mosè è un Profeta per i venessian invece è un santo! Come Calle de’ Assassini, non è un rio terà intitolato a delinquenti ma a una setta orientale, che v’abitava ai tempi della Serenissima, dedita all’Hashish! Poi troverai Piscina de’ San Samuele, dove non c’è neanche una goccia d’acqua essendo uno spiazzo acciottolato! Ce ne sarebbero tante altre di chiose ma le consiglio di andare se no il Museo chiude! Quando avrà modo di tornare continueremo! Se vorrà trovarmi basta che vada al 3160 de la salizada Manipiero al sestrier di San Marco, tra cose artistiche e particolari troverà l’Anita, lei sa come rintracciarmi. A rivederci.» Anche quest’auspicio espresso in modo desueto fa pendant con il personaggio … di altri tempi!
M’incammino e, via via, le “chiose” di Pietro si concretizzano. Guardo Venezia con un occhio diverso, la sento più mia.
Giro per calli e caete fino ad arrivare di botto in uno slargo, è proprio Campo S. Beneto! Palazo Fortuny è come se mi si fosse appollaiato sulla spalla sinistra, alzo lo sguardo e la facciata si mostra particolarissima con le sue ogive, il colore scuro che contrasta con il bianco abbacinante della Chiesa che gli si contrappone.
Ma il palazzo è chiuso, per “giorno di riposo”! Da non crederci!
«Deluso, eh?»
È un’argentea distinta signora, uscita da un portoncino a lato del Campo, sorridendomi mi spiega che da quando la moglie del Fortuny ha donato il palazzo al Comune, succede anche questo. C’è il giorno di “chiusura per riposo”, forse perché i dipendenti non hanno voglia di fare turni.
Una persona distinta ma incupita, a prima vista ci sta superando, immerso in chi sa quali pensieri, sembra proprio un barnabotto.
Si ferma, a un cenno della signora, salutandola garbatamente: «Buongiorno signora Corradazzo, in cosa posso esserle utile?» E questa «Il signore» indicandomi «è foresto, un turista venuto per vedere gli interni del Palazzo ma gli è impossibile. Può dargli qualche informazione? Tanto per non mandarlo via insoddisfatto!».
Saluto ringraziando la mia ‘soccorritrice’ e scambio le presentazioni con il ‘tenebroso’, visibilmente contrariato ma irrimediabilmente incastrato.
«Sebastiano Fortuny, detto El Seba, nevodo della signora che ha ritenuto utile ‘dar via’ il palazzo!
Capirà il mio rancoroso disagio nel solo parlarne. Comunque, nelle varie stanze lei avrebbe potuto vedere gli Arredi, dei veri tesori di ogni stile, tutti di fattura e materiali di eccellenza, delle preziosità; dei Tappeti da favola! La parte però più interessante e dove sono esposti i tessuti! La vera collezione! Ce ne sono di tutte le fibre e di tutti i colori! La Famiglia commerciava in tutta Europa i tessuti ormesini o levantini, tutti di qualità, che produceva anche in oriente, sia in Persia e sia in Turchia e pure nell’Unione Sovietica, grazie a particolari accordi con le autorità del luogo, e…»
Mentre parla la mia mente da ‘viaggiatore’ schizza e rimbalza tra Kayseri, dove i bozzolini bianchi — inizialmente solo oggetto di curiosità — li ho visti trasformare, sotto le mani sapienti di lavoranti accaldati, in stoffe e, soprattutto, in tappeti di seta di una qualità inimmaginabile. E Taskent, dove dentro immensi capannoni polverosi, tra centinaia di vecchi telai sovietici, perlopiù cannibalizzati nel tempo, ho visto lavorare cotone e seta grezza da abili giovani ragazze che leste nell’imbastire trama e ordito creavano dei tessuti policromi di rara bellezza.
«… di rara bellezza!» Continua Seba come a dar voce ai miei pensieri «Lo zio ci teneva tanto ai suoi tessuti! Ha fatto bene a dedicare a essi una parte importante degli spazi, un atto di riconoscenza.
È grazie a loro che la Fortuna ha baciato i Fortuny!
… qualcuno dei Fortuny!»