Marina in frammenti

Anita Cerpelloni
Scuola del Viaggio
Published in
5 min readJul 29, 2016

Luogo di vacanza

Qui venivo con la mia famiglia. Noi, come altri anni, stavamo in tenda al Campeggio Falconara nella pineta che sta più ad est.

Alla mattina presto attraversavo il canale che separa la spiaggia di Levante dall’area della laguna. Andavamo mio padre su un canottino, perchè non sapeva nuotare, ed io a nuoto, a pescare mitili sulla barena.

Al pomeriggio, insieme a mia madre e a mia sorella, in bicicletta fino al centro in Campo del Duomo a prendere il gelato e poi fino alla Chiesetta della Madonna dell’Angelo a godersi la brezza.

Alla sera andavamo tutti al porticciolo sul Canale dell’Orologio a guardare le barche, che si preparavano per la pesca notturna.

Andavamo a giocare luogo il canale, che conduce ai vecchi casoni da pesca.

Dopo decine d’anni ritrovo il borgo antico di pescatori, nonostante l’espansione edilizia.

Il campanile romanico si erge in tutta la sua forza con le pietre bianche del basamento e il muro di mattoni, costruzione cilindrica con un tetto a cono d’influenza orientale, che io già disegnavo allora attirata dalla sua forma.

Entro nel Duomo nel pomeriggio inoltrato, con la luce del tramonto, sull’abside si staglia la grande croce antica in legno che si moltiplica in due ombre sul fondo dorato ai lati del Cristo, come i due Ladroni.

Tra le strade del centro incontro i vacanzieri italiani e stranieri e mi pare che il tempo si sia fermato alle prime vacanze.

La gita ai casoni sulla barca turistica con la voce della guida che parla in tre — quattro lingue mi riporta a quando in spiaggia giocavo con bambini tedeschi e francesi in lingue improbabili, ma ci capivamo lo stesso.

Visione di una città

Alle 8:00 parte la barca da Caole per Venezia dal porticciolo.

Non mi è mai capitato di arrivare a Venezia dal mare, dalle bocche di porto del Lido.

La città mi appare, come a chi arrivava con gli antichi velieri che giungevano dall’Oriente e dal Mediterraneo.

La laguna è sempre stata una grande difesa per Venezia, che non fu espugnata da nessun nemico, fino a quel tragico 12 maggio 1797 con l’abdicazione del Maggior Consiglio, la fine della Serenissima Repubblica e lo sbarco in città di 4.000 soldati francesi.

Il Doge si presentò al balcone di Palazzo Ducale verso San Giorgio e dette l’annuncio.

Passo sotto questo balcone ed entro in Piazza San Marco e dopo 219 anni lo spettacolo dei monumenti resta splendido, ma la città è cambiata profondamente nella vita dei suoi abitanti.

Marinetti nel 1910 scriveva : “Noi ripudiamo l’antica Venezia estenuata e sfatta da voluttà secolari, che noi pure amammo e possedemmo in un gran sogno nostalgico…”

Guardo in alto le due colonne che si affacciano sul bacino di San Marco, dove il simbolo di Venezia, il leone alato, in realtà è una statua di Chimera che viene dall’Oriente e a cui hanno applicato delle ali. Sull’altra colonna San Todaro, santo bizantino, che era il patrono di Venezia prima di San Marco. Ce ne dovevano essere tre colonne, una terza è caduta nel Bacino con la statua del Doge, durante lo sbarco dalla nave, che aveva portato queste mercanzie preziose da Bisanzio.

Attraverso la Piazzetta e vado sotto i portici alla frescura rasserenante di antichi luoghi.

Conosco queste pietre ma penso di immedesimarmi in un qualsiasi turista che giunge per la prima volta in questa città così mutevole e ricca di storia, di memorie e di nostalgie.

Città scelta e non città di nascita, ma amata ancora di più.

Ai Casoni da pesca

La barca costeggia il Canale Nicessolo, l’andatura lenta, turistica, tutte le sfumature di verde: verde marcio nell’acqua, brillante nelle erbe e nelle canne, cupo nei campi al di là verso il fiume Lemene.

Anche qui i miei pensieri vanno ai fatti storici legati a questi luoghi.

Su queste acque, lungo queste rive e sulle isole della laguna trovarono rifugio gli antichi abitanti dell’entroterra, scappati dai Longobardi invasori, in seguito la maggior parte della popolazione andò a Malamocco e poi a Rialto, primo nucleo abitato di Venezia. Queste terre poi divennero aziende e ville di villeggiatura dei nobili veneziani, che nel 6–700 ne acquistarono ampi territori.

La presenza di Venezia domina ovunque.

Mi sembra infatti un luogo di rifugio, un luogo lontano da città rumorose e vocianti, luogo di serenità, anche oggi.

Appollaiate su rami di alberi caduti, che emergono dalle acque verdastre, famiglie di garzette e aironi cinerini.

Ai casoni, la barca si ferma e scendono tutti a visitare queste costruzioni di legno e canne, senza camino. L’interno è buio, perché non ci sono finestre ma solo due porte sui due lati più stretti.

Mi offrono un caffè aromatizzato con le erbe della laguna, caldo come il tè a Marrakech o ad Istanbul, per sopportare meglio il caldo.

Il sentiero sterrato si snoda in mezzo alle canne e arriva ad un luogo dove avevo sostato in altri tempi, mi siedo e aspetto che il sole si abbassi sull’orizzonte.

Ricordo un brano di Ippolito Nievo in Le confessioni di un Italiano.

“D’improvviso i canali, e il gran lago dove sbocciavano diventarono tutti di fuoco e quel lontanissimo azzurro misterioso si mutò in un iride immensa e guizzolante dei colori più diversi e vivaci. Il cielo fiammeggiante ci si specchiava dentro, e di momento in momento lo spettacolo si dilatava, s’abbelliva agli occhi miei e prendeva tutte le apparenze ideali e quasi impossibili di un sogno.”

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