Racconti di un uomo di mare

Riccardo Maria Visentin
Scuola del Viaggio
Published in
5 min readJul 29, 2016

Una decina di persone cianciano allegramente fra loro, rievocando storie di tempi passati. Le loro voci rimbombano nella piccola sala-bar in cui si riuniscono i marinai ed i pescatori caorlotti, vecchi uomini di mare che, aiutati da un bicchiere di un buon prosecco, si aprono senza difficoltà a chiunque s’arrischi ad interrogarli.

Io sono uno di quei temerari. Spingendo una pesante porta a vetri, mi introduco nella saletta, ma, bloccato dalla timidezza e dalla paura di interrompere, avanzando oltre, quell’ allegro miscuglio di italiano e dialetto, mi fermo timidamente sullo zerbino.

Ad accogliermi è il signor Giuseppe Biancon, detto Taccà, un vecchio che parla troppo velocemente e con delle sottili sopracciglia all’ insù, accompagnato dal pescatore Sergio, che simpatizza subito con me grazie alle comuni radici milanesi.

Insieme ai due mi siedo ad un tavolino in un angolo, dove una terza persona è già seduta e sembra stare aspettando i compagni. È un uomo che andrà per i novanta, con le grandi mani callose che stringono un bicchiere di vino bianco e due occhi neri che si spostano rapidamente senza mai soffermarsi su nulla. Tutti nel bar, nonostante l’età, lo chiamano Ragazzo, come fosse un nome proprio. Cominciamo a chiacchierare del più e del meno. Gli chiedo alcune informazioni sulla pesca nella zona, e rapidamente si arriva a parlare di storie di pescatori, di naufragi, di Bora, di tempeste. Di tutti questi racconti, uno in particolare ricorderò molto a lungo; lo riporto attraverso le parole del Ragazzo, che con il protagonista di questa storia aveva un legame molto stretto.

“Era una fredda mattinata primaverile. In questa stagione, a Caorle, è facile che dal mare giunga una fittissima nebbia, tanto densa da rendere impossibile vedere più in là di qualche metro. Fu proprio quella nebbia a far perdere il controllo dell’elicottero ad una giovane famiglia austriaca, che aveva deciso di osservare la cittadina dall’alto. Una mossa sciocca, in un giorno come quello.

Il guidatore, che era anche il padre di famiglia, confuso da quella nebbia fittissima, incapace di vedere alcunché, non la linea di terra, né le acque che pure erano sotto di lui, e neanche i tetti delle case, si era inconsciamente diretto verso il mare, precipitando rovinosamente dentro di esso. Erano passate le undici.

Si cercarono dei pescatori che li salvassero, ma alcuni erano già molto distanti dal punto in cui erano precipitati, altri erano fuori città, altri ancora al mercato ittico, a vendere le loro merci. Non si trovò che un vecchio pescatore, al porto lo chiamavano Nino Beo, che quando questo episodio avvenne, una decina di anni fa, aveva novantadue anni.

Lo avevo conosciuto che ero poco meno che ventenne, lui doveva averne venticinque. Mi ero presentato ad un peschereccio, quello su cui lavorava anche lui, chiedendo di essere preso nella ciurma. I marinai mi fissavano con sguardo ostile, volevano rimandarmi a casa, a colpa della mia giovane età; ma Nino garantì per me, dicendo che si sarebbe addossato la colpa di tutti i miei errori.

Da quel giorno, per i successivi ottant’anni, io rimasi sotto l’ala protettiva e la bonaria sorveglianza di Nino Beo, che, rivolgendosi a me, usava chiamarmi ‘ragazzo mio’, e al porto questo è diventato ed è rimasto il mio unico nome. Ma come siamo arrivati a parlare di questo? Eravamo arrivati… dove, di preciso?”

“Al momento i cui chiamano Nino Beo per salvare quella famiglia austriaca” rispondo prontamente io.

“Ah già, già, hai ragione” riprende il Ragazzo dopo aver vuotato con indescrivibile rapidità il contenuto del suo bicchiere. “Dunque, Nino non se lo fece ripetere due volte, mise la sua barca in mare, vi salì, e partì alla ricerca di quella famiglia. Il mare era freddo, e la Bora soffiava implacabile, il vento fa sempre degli strani fischi, quando entra nelle fessure delle assi delle barche, in mattine come quella; non un buon giorno per mettersi in mare. Il mio vecchio, seduto a poppa, gestiva la vela con movimenti rapidi e decisi, temprati dall’esperienza; ad ogni virata piccole gocce di acqua salata gli arrivavano in viso, scendendo poi lentamente sulla barba corta.”

“Ma come poteva navigare con tanta sicurezza?” lo interrompo io, “cosa guidò quell’ uomo di mare in un giorno in cui la nebbia era tanto fitta?”

“Nient’altro che il suo intuito, un sesto senso che i marinai si forgiano in anni ed anni di contatto con il mare; Nino sapeva dove la nebbia era più fitta, dove l’elicottero doveva essere precipitato, e sapeva sempre da che parte era casa sua, in cui lo aspettava l’amorevole moglie Elda: non avevano figli. Dopo alcuni minuti di navigazione, Nino Beo giunse in prossimità dell’elicottero, che incredibilmente aveva il motore che ancora rombava. Tuttavia, tanto più da lontano il rumore ci giunge, tanto più difficile è capire da dove esso provenga: così, il mio vecchio navigò a lungo, dapprima verso Oriente, poi virò verso Settentrione; vide un grosso e pescoso banco di pesci passare sotto la sua barca, fissò quasi con rimorso quella grande occasione, ma ripensando a quei poveri turisti, proseguì nella navigazione.

Poi, nel mezzo della nebbia, il già tenue rumore del motore dell’elicottero si spense del tutto. Nino cominciava a temere che la famiglia fosse affogata. È difficile sopravvivere ad una caduta simile, sai. Ma i suoi timori si rivelarono infondati: un lungo e straziante grido di soccorso squarciò il silenzio che s’era giusto creato, e il Nino seppe dove andare. Con la sua voce gutturale il vecchio lanciò un grido di rimando, e questo fitto e selvaggio scambio di grida permise al pescatore di orientarsi alla perfezione. In capo a pochi minuti, proseguendo ancora a Nord, quindi virando a Ovest, il vecchio si ritrovò davanti ad un immane rottame dai colori accesi, che emergeva dall’ acqua solo per metà: l’elica era spezzata in più punti, i vetri in frantumi, le pareti metalliche ammaccate o distrutte. Ma, rannicchiati sopra quel catorcio, la coppia e i loro figli erano sopravvissuti.

Nino navigava sempre sulla sua batéa, una specie di barca parecchio più leggera delle altre ormeggiate in porto, e su cui è assai difficile salire; prese allora i turisti uno a uno e li poggiò sulla barca.

Il ritorno fu assai più faticoso dell’andata per il mio povero pescatore, costretto a sentirsi ringraziare a ogni metro che percorrevano. Giunti a riva, i turisti furono accolti da un corteo di ambulanze, che erano accorse sul luogo in fretta e furia, il vecchio, invece, da una folla festante di compagni, amici e turisti. Per questo suo gesto di coraggio e prontezza Nino Beo ricevette la medaglia di bronzo della Carità dell’associazione della regina Elena.

A conclusione della mia storia, voglio ricordare la fine di un uomo di mare. Elda morì circa quattro anni dopo la fine di tutta questa faccenda, e Nino Beo cadde in una violenta crisi depressiva. Si sedeva sempre, tutti i giorni, in veranda con una coperta pesante sulle spalle, mormorando spesso che avrebbe dovuto morire per primo. E, desiderando tanto ardentemente la morte, quella, dopo soli due mesi, venne a prenderlo.”

Questa è solo una delle tante storie che mi ha riferito il Ragazzo, le rimanenti le racconterò un’altra volta.

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