Da Medium a Wordpress

Inversione ad U, per una rivoluzione mancata

Marco Castellani
Segnale Rumore
4 min readSep 26, 2017

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Lo sapete. C’è in giro quest’aria, non ci si sbaglia. Qui su Medium, tra la comunità italiana (ma non solo), c’è quest’aria un po’ triste di una rivoluzione mancata. Che come tutte le rivoluzioni mancate, in qualsiasi campo, lascia una scia di disillusione e di cinismo, forse esagerata. Ma comprensibile. Perché smorzare gli entusiasmi, si capisce, non è cosa senza conseguenze, anche sul piano psicologico.

La storia è semplice. Quando ho cominciato a considerare seriamente Medium, come piattaforma, c’era una vibrante community, chiamata (lo sapete) Medium Italia. Ora è rimasta lì, a prendere muffa. Di punto in bianco, il 21 di febbraio arrivava l’avviso.

La doccia fredda, come si dice. Eccola.

Direte voi (avendo letto il post), alla faccia dell’aggiornamento! Ebbene, da come la vedo io, è veramente stato il momento in cui si è iniziato a respirare un’aria diversa. Un’aria non troppo buona, per noi qui in Italia.

Prima esisteva appunto uno spazio di discussione, uno spazio nel nostro linguaggio. Inoltre, i post più validi venivano rilanciati dall’account Twitter di Medium italiano. Insomma, c’era un senso caldo di interazione, e nello stesso tempo, quella sensazione morbidamente esaltante che si stava costruendo qualcosa.

Qualcosa qui, non in un remoto ufficio di una remota città negli USA.

Che poi dire italiano, o inglese o francese o russo (non so se davvero lo sanno, negli uffici delle remote città USA) non è appena un diverso modo di scrivere le parole e le frasi. Affatto. E’ ben più di così. E’ una diversa sensibilità, un sistema diverso di pesi e misure. Un modo diverso di guardare il cielo, di mangiare, di alzarsi dal letto, di ridere e piangere, di pensare al futuro. Di fare l’amore, probabilmente.

Niente. Ora è tutto piallato, omogeneizzato. Prendiamo atto: il modello anglofono è il modello, punto. Dove si fa il business. Ma il punto vero è che c’è su Medium, purtroppo, esattamente quello che c’è anche altrove. O anche peggio. C’è questo sistema di comunicazione costruito attorno ad una sola cultura, ad una monocoltura informatica, appunto. Un solo ed unico sistema di valori, di pesi e contrappesi. E che non coltiva, non tollera, non feconda e fermenta più altri modi di vivere, di emozionarsi, di vedere le cose. Non si nutre della diversità di ecosistemi, perché immediatamente non è monetizzabile.

L’impoverimento culturale di questa impostazione è lampante.

Eppure la sfida sarebbe proprio questa. Rompere questo sistema ormai vecchio, valorizzare le comunità locali, accogliere e custodire la enorme ricchezza di ecosistemi culturali che sono la vera ricchezza di questo pianeta (lo so, corro il rischio di enfatizzare, ma ne sono cosciente).

Allora sì, che — detto per inciso — uno sarebbe disposto a pagare. Allora sì, che varrebbe la pena mettere mano al portafoglio, per salvaguardare questa impresa.

Parlo di soldi, sì, perché intanto Medium ha cominciato a chiedere soldi. Il che va bene, va benissimo. Ma è quantomeno bizzarro che li venga a chiedere anche a noi italiani, in imbarazzante concomitanza con questo brusco arretramento di fronte, questo ritiro sulla linea di confine tra inglese e resto del mondo.

Sono in parecchi a chiedersi se rimanere o andar via, in questo periodo. Se fare questa conversione ad U e ritornare al mondo pre-Medium, che poi nel frattempo si sta evolvendo pure lui.

Io ho scelto per ora una soluzione intermedia. Per adesso va così. Rimango qui con il mio blog, con SegnaleRumore (questo che leggete) e con GruppoLocale (anche se quest’ultimo ha un corrispettivo WordPress che mantiene il dominio). Intanto però con il gruppo di “altrascienza” abbiamo deciso di trasferirci, abbracciando una istallazione WordPress, in uno spazio web che ci ha gentilmente fornito l’associazione Darsi Pace.

Insomma. Diciamolo: qualcosa si è perso, ed è quel sogno che ho accarezzato per un po’, di sprofondare integralmente in questo universo, abbandonando del tutto le altre piattaforme (esitavo nel pagare i 75 dollari per assegnare il dominio a GruppoLocale, ma stavo lì lì…). Sì, qualcosa si è perso, ma non è detto che sia per sempre.

Dipende da chi gestisce la piattaforma. Esempio: avviare un processo di localizzazione dell’interfaccia, dare segnali consistenti di presenza sul territorio (informaticamente parlando, s’intende) non dovrebbe essere una impresa impossibile.

Speriamo che venga fatta, in tempi ragionevoli. Altrimenti prevedo che molti altri se ne andranno.

E sarebbe un trasloco del tutto comprensibile, una inversione ad U (a mio modesto avviso) pienamente motivata.

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