Fact-checking, questo sconosciuto. I risultati di un test sperimentale*

nicola bruno
Segnale Rumore
Published in
4 min readDec 6, 2016

Nelle ultime settimane è esploso il dibattito sulla diffusione di false notizie online. In molti hanno puntato il dito contro Facebook e le sue filter bubble, altri ancora hanno tirato in ballo la società post-fattuale.

Senza voler sminuire il ruolo dei grandi colossi hi-tech, il problema è però molto più ampio. E riguarda tutti noi. Perché se è vero che Google, Facebook e gli altri possono fare molto su questo tema,
anche noi utenti dobbiamo iniziare a prenderci le nostre responsabilità.

Un esempio di falsa notizia con decine di migliaia di condivisioni utilizzata per il nostro test sperimentale*. La fonte originale della notizia è un sito fake che riprende grafica e nome de Il Fatto Quotidiano

Guardando l’elenco delle fake news più condivise durante le elezioni Usa, salta subito all’occhio come la bufala dell’endorsement di Papa Francesco a Donald Trump potesse essere “smontata” in pochi semplici passi (con una banale ricerca su Whois). E lo stesso vale per il post fake sul referendum costituzionale italiano più condiviso nelle ultime settimane.

La maggior parte delle bufale “virali” spesso richiedono meno di 1 minuto per essere verificate

Il problema è che molti utenti, anche con un alto livello di alfabetizzazione, spesso non possiedono nessuna cultura della verifica delle fonti, nè conoscono semplici strumenti di fact-checking (controllo dell’url, reverse image search), come conferma anche questo vasto studio condotto dalla Stanford University.

Un piccolo test sperimentale* su giovani e fact-checking

Per verificare il grado di possesso di alcune competenze base di fact-checking, Venerdì 18 novembre 2016 con la collega Gabriela Jacomella, co-fondatrice dell’associazione Factcheckers insieme a Fulvio Romanin, abbiamo condotto un‘indagine esplorativa* con gli studenti del professore Corrado Petrucco dell’Università di Padova.

Abbiamo sottoposto a 38 studenti un test basato su 6 contenuti informativi, di cui 4 falsi e 2 veri.

Più che un “si” (sic), basta una semplice “reverse search” per scoprire che la persona ritratta in questa fake news virale non è Umberto Eco (peraltro scomparso ben prima della campagna referendaria)

Nel costruire il test siamo stati attenti ad assegnare ad ogni domanda una specifica competenza, in modo da poter dedurre il possesso di una determinata skill in base alla risposta corretta o sbagliata.

Ecco le 6 competenze inserite nel test:

  1. Valutare l’attendibilità di un dominio web
  2. Effettuare una image reverse search
  3. Individuare un profilo/account social media verificato
  4. Individuare quando è stato caricato un video e a quale evento si riferisce
  5. Leggere i messaggi contenuti in un’immagine
  6. Distinguere un fatto da un’opinione

Risultati: basse competenze di fact-checking

Di seguito si trovano i risultati del test: a sinistra è indicata la competenza che si intendeva valutare; a destra la percentuale di risposte corrette.

Insomma, a guardare questi risultati emerge in maniera molto chiara come

la maggior parte del nostro campione non possiede gli strumenti-base di verifica delle fonti sul web e sui social media

  • 1 su 2 non sa individuare l’attendibilità di una fonte;
  • più di 4 su 10 non sanno identificare l’origine di un video;
  • 7 su 10 non conoscono cosa l’esistenza dei “profili verificati” su Facebook;
  • quasi 9 su 10 non hanno idea di cosa sia la reverse search image.

Conclusione: più media education nelle scuole!

Insieme ai colleghi di Factcheckers, l’associazione che ho fondato insieme a Gabriela Jacomella e Fulvio Romanin, siamo convinti che il problema della verifica delle fonti non sia solo una questione tecnologica — come vuole far credere chi oggi riduce la vittoria di Donald Trump negli Usa solo ad algoritmi e filter-bubble di Facebook.

Né tantomeno sia una questione sociale, con il mantra del termine “post-fattuale” utilizzato per de-responsabilizarci tutti meglio.

Crediamo, invece, che sia una questione prevalentemente culturale e di educazione ai media.

Ed è per questo che ci stiamo impegnando per realizzare un kit di strumenti per promuovere un programma di fact-checking per studenti e docenti nelle scuole di tutti i livelli (da quella primaria all’Università).

Non si tratta di insegnare sofisticate tecniche di digital forensics o di giornalismo investigativo, ma semplicemente di diffondere la cultura delle fonti e della verifica, anche con l’aiuto di strumenti tecnologici di base e di un po’ di buon senso (come dicono da tempo i nostri amici di Valigia Blu).

*Una nota metodologica: i risultati di questo test non andrebbero generalizzati troppo perché campione è davvero esiguo e andrebbe espanso. Dall’altra, andrebbe migliorata la struttura delle domande e delle risposte. Cosa che ci riproponiamo di fare a partire dai prossimi interventi che pubblicheremo.

Ci interessa molto, comunque, replicare l’esperienza del test anche in altri contesti universitari e scolastici. I feedback ricevuti da questi test sono molto importanti per il kit di media education su cui stiamo lavorando.

Se sei un docente o un dirigente scolastico interessato, contattaci pure (anche lasciando un commento sotto questo post)!

--

--

nicola bruno
Segnale Rumore

Journalist @effecinque — Founder of @Dataninjait and @Factcheckers_it — Former fellow at the @risj_oxford - Author La Scimmia che vinse il Pulitzer