iPhone 6, quanto ti voglio?

Marco Castellani
Segnale Rumore
Published in
6 min readOct 14, 2014

Finalmente l’altro giorno ci sono riuscito. Sono andato all’Apple store e l’ho preso in mano. Sia quello “normale” che il “plus”. E devo dire che l’esperienza ha lasciato dentro di me evidenze contraddittorie.

Stiamo parlando dell’iPhone 6, ovviamente. Ve lo dico: sono entrato nello store aspettandomi il peggio. Temendolo e bramandolo allo stesso tempo. Ovvero, mi aspettavo, tenendolo in mano, d’essere immediatamente investito da quell’impulso, quell’irrefrenabile stimolo a doverlo comprare, a doverlo possedere. Lo bramavo, per il piacere insito nella cosa, ed insieme lo temevo, perché in ogni caso sapevo bene quell’impulso non l’avrei potuto assecondare.

Però non è successo. Non è accaduto. Ho provato tutti e due i modelli. Niente. Nemmeno un brivido. Certo l’apprezzamento per l’oggetto c’è: quello no, non si discute. Eppure, devo dire, l’esperienza che mi aspettavo, non si è verificata.

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Prendo il sei? Grazie, magari aspetto il prossimo...

Prendi il sei? Grazie, magari aspetto il prossimo…
Photo Credit: Dakiny via Compfight cc[/caption]

Per spiegarvi, devo tornare indietro con la memoria, devo ripercorrere le traiettorie del mio approccio tecnologico agli smartphone, almeno nella parte più recente. Ognuno ha il suo — ovviamente — e la bellezza e l’interesse sorge dal fatto che mai come in questi casi, le scelte ed i percorsi sono frutto di una curiosa e personalissima combinazione di scelte freddamente tecniche e preferenze dettate dalla sensibilità e da altre prerogative squisitamente “umane”, sovente assai poco tecnologiche nella loro essenza. D’altra parte concetti extra-tecnici se non addirittura filosofici sono ben radicati nelle stesse direttive progettuali dei modelli più diffusi che ci portiamo in tasca (stando altresì attenti a non piegarli, naturalmente…)

Tornando al punto. L’esperienza più elettrizzante è stata quella dell’ingresso nel mondo dei telefonini con la mela, che possiamo datare — per chi fosse interessato al dettaglio — a gennaio del 2013 (credo fosse il giorno dopo l’Epifania). La mia marcia di avvicinamento al mondo Apple si stava perfezionando con l’uscita (temporanea) da Android verso l’abbraccio dell’iPhone 5, da poco uscito. C’è da dire che io venivo da un telefono simpatico e snello come l’Xperia Ray, e avevo ancora un po’ di resistenze verso il mondo iOS. Tuttavia i limiti intriseci del mio modello Xperia (primo su tutti la ridotta memoria per le applicazioni, un limite alquanto fastidioso nell’uso quotidiano) — e una buona dose di curiosità ed intento investigativo — mi avevano ormai convinto al grande passo.

Ci misi un pochino ad apprezzare tutte le caratteristiche dell’iPhone, lo ammetto. Per un bel po’ rimasi a chiedermi se avevo fatto bene, se ne valeva veramente la pena. C’è da dire che al tempo il sistema operativo era iOS 6, che presentava diverse limitazioni piuttosto incomprensibili per chi, come me, veniva dal mondo Android. Su tutte, la mancanza di un percorso rapido per attivare e disattivare i servizi più usati, come wireless, bluetooth, etc. Questo all’atto pratico faceva sì che uno andasse in giro con tutti i servizi accesi, in elegante dispregio del tempo già ridotto di funzionamento, prima dell’ennesima ricarica.

In ogni caso, piano piano mi sistemai nel nuovo telefono, e devo dirlo, mi sistemai bene. Cominciai ad apprezzare le applicazioni iOS, il vero punto forte del mio nuovo telefono. E con iOS7 — per quanto con una grafica che a suo tempo mi lasciò alquanto interdetto — arrivarono le opzioni tanto attese.

Sufficiente per dire che avevo finalmente un telefono con il quale mi trovavo — e mi trovo — sufficientemente bene. Certo a casa ancora — dove sono tutti androidiani nei devices — mi prendono in giro per il costo del mio terminale, imbarazzante qualora confrontato vis-à-vis a diversi prodotti della concorrenza (per quanto tale confronto sia fondamentalmente mal posto, a mio avviso). Ma che ci volete fare, a me sta bene questo. Sta bene un terminale che faccia girare il software che voglio io, che dopo più di un anno e mezzo dall’uscita venga ancora supportato dalla casa madre, con l’ultima versione del sistema operativo (non è scontato). La limitazione più fastidiosa al momento, per me è la batteria. La rapidità di scaricamento è piuttosto seccante, fonte di inquietudine in caso di lontananza da una qualsiasi presa di corrente.

Questo sì. Per il resto, va tutto benissimo, non mi serve altro.

Certo, quando prendo tra le mani un terminale tipo il Galaxy Note, per un momento lo schermo grande e luminoso mi seduce. Anche più di un momento. Inoltre ho visto un amico fare cose straordinarie con il pennino.

Vacillo. Ma poi passa.

Dopotutto l’iPhone 5 è splendidamente portatile — ed è anche uno splendido esempio di design, mi pare — e in caso abbia bisogno di più spazio, ricorro al Nexus 7 o al mio antico ma ancora valido iPad 2.

Però non sono più completamente dentro il proverbiale campo di distorsione delle realtà che si diceva circondasse Steve Jobs. Capisco il fattore schermo. D’altronde è un segno dei tempi. Più passano i mesi, gli anni, e più l’idea di schermo di telefono cambia. Un po’ come è avvenuto per i computer — anni fa il 14 pollici era lo standard. Ora sarebbe insopportabilmente piccolo, come del resto è diventato piccolo anche il 17 pollici.

Così un iPhone appena un po’ più grosso — sebbene mi sembri un cedimento al mercato (Apple che fai, mi insegui invece di innovare?) — potrebbe avere una sua attrattiva, penso.

Per farla breve, la storia mi porta all’Apple store di Porta di Roma, una mattina di qualche giorno fa. Entro e con piacere trovo diversi modelli di iPhone 6 già a disposizione del pubblico. Mi avvicino con una certa trepidazione e lo prendo in mano: sia quello “normale” che il modello Plus.

Uhmmmm….

No, il Plus è grande. Troppo grande. Bellino il fatto che le icone si girino in modalità landscape se ruoto il terminale, certo. Ma no, troppo grosso per me.

Il “normale”… il normale è quello che più mi lascia perplesso. Perché appunto, come scrivevo in apertura post, qualcosa che aspettavo scattasse, non scatta. L’impulso a volerlo comprare, il senso di necessità assoluta, non scatta. Sono lievemente sconcertato. Estraggo dalla tasca e riprendo in mano (nell’altra) il mio iPhone 5, per valutarne la differenza, toccarla, sperimentarla. Arrivare a capirla.

Niente, non vedo il punto nello spendere per arrivare al modello superiore. Sento che il mio va bene. E’ un po’ più piccolo, d’accordo. E con questo?

Qualcosa sta cambiando. O mi sto davvero ammalando, o sto finalmente iniziando a guarire (a seconda del punto di vista che volete assumere, entrambe le letture sono sostenibili).

L’unico brivido — lo dico — mi viene quando apro l’app iBook, e vedo come si legge bene un libro sul nuovo terminale. Ma non mi persuado ancora. Stavolta la mente razionale interviene, per farmi capire, per spiegarmi: fosse solo per leggere, il mio Kindle PaperWhite rimarrebbe comunque imbattibile. E molto portatile, dopotutto. E con una batteria che dura infinitamente di più. Con un display che stanca meno gli occhi.

Metto giù il nuovo modello, rinuncio al brivido. Tanto ormai non viene (almeno, non con il telefono).

Dunque me ne vado dallo store — per una volta — contento di non aver comprato niente.

Fatemi dire. Colpa di Apple, da una parte. Anzi merito. Avere un telefono completamente supportato rende meno impellente l’urgenza di aggiornare. L’onda di obsolescenza — programmata o meno — non ha ancora investito e sommerso il mio iPhone 5. Dall’altra, dal punto di vista più speculativo, capisco che quello che manca davvero è appena l’eccitazione dell’inizio. Di ogni inizio. Passare da 5 a 6 non è come passare da Android a iOS (o viceversa).

Un aggiornamento non è una rivoluzione. E noi abbiamo una tendenza innata alle rivoluzioni, pacifiche e non. Alla svolta repentina che (si spera) sistemi tutto.

Salvo poi ritornare allo store, dopo qualche mese. O ritornare ad interrogarsi su cosa rende veramente felici, rende veramente appagati.

E per questo, completamente inutile rivolgersi ad Apple (o a Google, o a Microsoft).

Grazie al cielo.

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