L’inizio…

Marco Castellani
Segnale Rumore
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2 min readApr 28, 2016

All’inizio c’era questo: si chiamava Mosaic e permetteva di andare su Internet.

Ma Internet, propriamente, cos’era?

Primi affacci su un mondo digitale. Un nuovo mondo: un nuovo modo di relazione…

Era qualcosa che non sapeva nessuno. Fuori, intendo.

Sì, fuori dall’istituto.

Non se ne parlava alla televisione, nelle radio. Non se ne parlava e basta. Perché nessuno lo conosceva, nessuno sapeva cosa fosse. Nemmeno si sapeva che ci fosse.

D’accordo, come aspirante scienziato, laureato in una facoltà scientifica, di connessioni di rete se ne aveva esperienza, tramite ftp, telnet e cose di questo genere. Per scambiare dati da un computer all’altro. Si usavano.

Ma questa cosa era proprio nuova.

Vedere una pagina di testo, perfino con qualche piccola immagine (perché di questo si trattava), elaborata a distanza, da qualche altra parte. Con degli iperlink che puntano a parti diverse del documento, o addirittura ad altri documenti, posti in altri server.

Beh ma questo è rivoluzionario. E’ potenzialmente tutto collegato.

Così andarono le cose. Un puro inizio al quale avevo il privilegio di assistere in diretta.

Di lì a poco… beh sappiamo cosa sarebbe accaduto di lì a poco, sappiamo come la Rete si sarebbe espansa a ricoprire tutto il globo nei suoi scambi continui di informazione. Di come sarebbero arrivati i social network a risucchiare molto del nostro tempo, in quella fitta trama di connessioni e coinvolgimenti emotivi a spesso futili, a volte profondi. Cose di cui ci siamo spesso occupati, qui.

Ma una cosa l’abbiamo persa.

Una meraviglia che non tornerà mai più.

Quel senso di intima soddisfazione di aver messo qualcosa su Internet. Di avere lasciato l’impronta nella rete. Qualcosa che potenzialmente poteva essere vista dappertutto, in ogni posto ove ci fosse un collegamento.

Così quando aprii la mia prima pagina su Geocities (anche il nostro istituto, seppure collegato ad Internet, era bel lungi dall’offrirci spazio web), ci scrissi appena due o tre frasi, su un fondo colorato uniforme (e quanto darei per recuperare quel primo tentativo, adesso). Non sapevo se qualcuno l’avrebbe letta, o chi (non la potevo nemmeno postare su Facebook, che aveva il difetto spiacevole di non essere ancora stato inventato). Ma mi sentivo sull’onda di una rivoluzione epocale.

Ecco. Stava succedendo qualcosa e io ci ero in mezzo.

Nessuno mai avrà più quel brivido quando scrive una semplice pagina statica e la mette online. Era una cosa possibile solo allora.

Solo alle soglie di un nuovo mondo.

Un mondo al quale, forse, l’abitudine ha tolto quel valore di meraviglia che allora invece era percepibile, palpabile ai nostri occhi ancora non allenati a quanto sarebbe stato.

Ripensarci adesso, mi aiuta.

Mi aiuta a comprendere che meraviglia è entrata nella nostra vita. Una meraviglia che impone una responsabilità, certo. Che può essere usata bene o meno bene, d’accordo. Ma una volta tanto riconosciamolo, una vera meraviglia.

Davvero, come ha detto il papa, un dono di Dio.

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