Medium, le parole e la sfida

Marco Castellani
Segnale Rumore
Published in
3 min readJun 3, 2016

E’ strano, ed è anche un po’ buffo. A volte la tecnologia fa dei giri lunghi, ed infine ritorna dove è partita. O meglio, ricomprende il suo stesso punto di partenza in una luce certamente più nuova ed arricchita. Più consapevole.

Così è facile ricordare (specie per chi non è più giovanissimo) che Internet è iniziato proprio così, come una abbuffata di testo, un fiume di parole con pochissime possibili distrazioni: poche immagini, e quasi nessun seme di quella multimedialità che poi, inevitabilmente, sarebbe diventata la norma.

Insomma, una cosa stupenda, per chi ama la parola scritta.

Una cosa che fatalmente si sarebbe un po’ dispersa, via via che la Grande Rete si modificava, passava da ruscellino di informazioni a grande fiume, aumentava la portata, irrobustiva gli argini, e lungo i suoi canali riuscivano a navigare imbarcazioni ancora più grandi, capaci di trasportare grandi immagini, suoni, musica, applicazioni…

Prima solo poche barchette, a navigare… (foto: Venezia)

L’ipertesto, che è la cosa fondamentale intorno alla quale è nata e si è sviluppata la Rete (basta guardare le pagine degli anni ’90 per ricomprenderlo), non è più il fulcro, la pietra angolare, ma è appena una delle tante cose che si possono veicolare in Internet.

Da più parti, però, vedo un desiderio di riprendere qualcosa di quel periodo magico, di riportare la scrittura (e la lettura) di ipertesti in posizione privilegiata. Di costruire ambiti dove poter scansare la onnipresente multimedialità in favore di una maggior concentrazione, di un abbraccio alle parole e quindi una disponibilità alla riflessione ed elaborazione personale, come difficilmente possibile se sottoposti in continuo ad un supercarico di immagini e suoni.

Questa stessa piattaforma, potrei dire, è un buon esempio. Su Medium scrivere è facilissimo — ed è anche visivamente appagante. Trattiene qualcosa del minimalismo più accorto, insieme ad una facilità d’uso che è davvero seducente.

Certo, su Medium è possibile incorporare contenuti multimediali, come è ovvio. Eppure al momento mi pare che siano le parole le vere protagoniste, in questo ambito. Personalmente da quando lo frequento un po’, mi sono abituato a ritornare a leggere in rete. Intendo, leggere davvero, fruire di un testo esteso e completo che svolge fino in fondo il suo compito, informarmi e darmi un punto di vista. Un punto in cui posso sostare, insomma. Senza essere immediatamente deviato verso una serie di altri posti, come accade frequentando Twitter o Facebook.

Questi ultimi sono preziosi, insostituibili ormai. Siamo d’accordo. Però sono anche a volte fonte di frustrazione, nel loro continuo rimando ad altro da sé. Ultimamente, nel loro non riposare in sé stessi.

Per Twitter è molto evidente, ma lo è abbastanza anche per Facebook: la timeline è per gran parte una collezione di link, ovvero un continuo gioco di rimandi verso l’altrove. Per un verso è intrigante, stimolante. Però si avverte anche la necessità di un posto dove fermarsi per costruire una elaborazione compiuta di tutti questi stimoli, dove mettere insieme le parole e insieme costruire la nostra — sempre migliorabile — elaborazione del mondo, e del suo senso.

Medium è una bella sfida, anche e soprattutto per questo.

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