😎MinimaLife😜

Tecnologia e linguaggio. Alcuni spunti.

Gionatan Squillace
Segnale Rumore
4 min readJul 14, 2017

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Negli ultimi tempi sono stato sempre più attratto da un assioma assurto recentemente. L’essere umano e la comunicazione (tecnologica).

Questo assioma o, come lo vogliate definire, espressione algebrica, teoria applicata, rapporto o con altre parole più o meno altisonanti ma senza nessun senso, mi ha affascinato sempre più. Perché l’uomo si plasma e si identifica nel linguaggio comune, un linguaggio sempre in movimento e mutamento, frenetico, senza pause o interruzioni, come una mandria di buoi impazziti. L’uomo nella comunicazione è una costante che si sviluppa sempre più e senza nessuna pietà.

Ora, prendi l’essere umano. Accostalo alla comunicazione corrente. Aggiungici la tecnologia. La ricetta è pronta (e anche succulenta). Se ci pensiamo (io ci penso spesso forse perché ho seri problemi che esprimo con la stesura di questi scritti) la comunicazione e la tecnologia sono mutevoli alla velocità della luce.

Anzi, per definire ancora meglio ciò, Comunicazione e tecnologia viaggiano di pari passo. Sono compagnoni. Nessuna può fare a meno dell’altro. Guardano lo stesso menù. Ordinano tutte e due una birra o un gin tonic. Non esiste che l’una soppianti l’altra. Farebbero chiudere il locale.

Per definire questa Genesi 2.0 basterebbe partire da un semplice computer. Il computer di per sè esiste se comunica. Difatti è stato progettato un linguaggio specificatamente per i dispositivi elettronici. Senza questo linguaggio lo scatolone di plastica servirebbe per metterci i ghiaccioli e adagiarvi le bottigliette di coca-cola, weizen e crodini vari (magari per questa genialata da brevetto scriverò un articolo a parte dato che mentre la appuntavo qui cominciava a piacermi).

Ora, lasciamo il linguaggio artificiale e passiamo a noi, esili umani, composti da carne, pelo e vanità (e tante altre cose che variano dal tollerabile allo sconcertante). È arrivato l’anno dei dispositivi portatili. Non esistono più solo i pc fissi ma tante altre robette che sono dotate di sistema operativo e sono state progettate per essere prêt-à-porter, fidi compagni di viaggio e sopratutto senza fili nè peso specifico ingombrante.

Ecco, noi siamo lì, nelle cavità neurologiche dei dispositivi. Ci siamo e trasliamo da uno smartphone all’altro. Siamo dentro, si, ma senza carne nè pelo. Beh con vanità, quella si.

Siamo fondamentalmente selfie. Si, di quei selfie che occupano con veemente amatorialità l’obiettivo, non tralasciando spazio a nessun frame di luce, nessun scorcio di landscapes dietro di noi… il selfie è genuinamente egocentrico. Il selfie è la carta d’identità del 22esimo secolo. Il selfie siamo noi, personalità sfacciate che si muovono, ruzzolano e talvolta annaspano la rete con le loro interminabili viuzze digitali strette e impervie.

Eppoi, il selfie è spiccatamente minimal. Distrugge, polverizza e fa sparire tutto ciò che è baroccaggine, tutto ciò che è elaborazione, tutto ciò che è al di fuori di occhi, bocca, zigomi, naso e forse mento. Carne sicuro. A volte pelo. E vanità. Quella ci sta sempre.

Da minimal nasce minimal. Non potrebbe essere altrimenti. E quindi, siamo minimal e di conseguenza parliamo minimal. In che senso?

Emoticon. Emoji. Stickers. Gif. Avatar.

Linguaggi o frazioni di linguaggio. Simboli laconici che racchiudono nelle loro povere forme espressioni, sensazioni, gesti e pareri ben più ampi.

Un emoji come risposta in chat. Una gif in mail come sinonimo di ok. Un avatar a scontornare i tratti somatici del nostro viso. Veri e propri linguaggi derivanti dalla stessa madre semantica. Veri e propri frasari dotati di autonomia espressiva. Viviamo in un mondo dove i ghirigori miniati medievali lasciano spazio ai ghirigori minimali sulla keyboard.

È un bene? È un male? Sarebbe da moralisti conservatori o da finti avanguardisti dare risposte così limitanti. Semplicemente è il corso degli eventi. Ciclici. Si, perché le emoji c’erano già millenni fa. Ma lo screen era la roccia di una caverna. Tanti simboli solcati sulla pietra, minimali ed espressivi.

E gli avatar. Si, gli avatar sono il refresh di tutte le icone e i santini plastificati o raffigurati su pareti ecclesiastiche.

Sarà una mia opinione, senz’altro, ma i linguaggi, anche quelli più moderni, si strutturano partendo da remote basi. E anche la lingua minimal-digitale deriva da reminiscenze passate.

E noi, sempre uguali, ci muoviamo attraverso i flutti di queste cangianze comunicative negli anni, nei secoli, nei millenni. Con la stessa carne. Lo stesso pelo. La stessa vanità.

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Gionatan Squillace
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Le mie ossessioni compulsive sono la pellicola di celluloide, la buona tavola e la carta su cui sputarci scaracchi d'inchiostro. Per il resto esiste il Prozac+