Spotify, ecco perché

Breve storia di una (ri)conversione tecnico musicale

Marco Castellani
Segnale Rumore
5 min readJan 9, 2018

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Devo dire che è tutta colpa della figlia maggiore e della sua insistenza (così l’account famiglia lo pago io per tutti…) se sono tornato su Spotify, dopo averlo provato, un tempo, e poi lasciato, essenzialmente per aver trovato il player ufficiale troppo “intrusivo” (vabbé può sembrarlo, sì). E dopo aver provato diverse altre strade, per lo streaming musicale: alcune delle quali, molto belle inizialmente, si sono poi rivelate un vicolo cieco (bello sì, ma cieco) come Rdio…

Ed altre, che mi hanno pur dato soddisfazioni, come Google Play Music (rimango sempre abbastanza innamorato, però, della sua stupenda interfaccia minimalista e molto pulita).

Ma insomma, mi sto convincendo che Spotify, per ora, è un’altra cosa. Almeno in questo momento, mi pare così.

Così, mi appunto qui di seguito quel che ho notato passando da Play Music a Spotify. In ordine rigorosamente sparso, così come mi vengono. Tanto per ricordarmi, io stesso (scordarello), perché ho fatto il passaggio (e ho così contestualmente perso la mia playist di “mi piace” che superava i seicento brani…). Poi magari sono cose che voi tutti sapete già da tempo (come mia figlia, ovviamente).

  • Spotify lo usano anche i sassi (non ho ancora visto sassi con la cuffia, ma è questione che sono distratto mentre cammino), e dunque è integrato con tutto, in pratica. Si integra in effetti con un vasto ecosistema di applicazioni. Per dire, puoi trovare dentro Spotify la playlist dei brani “acchiappati” con Shazam. Che è comodo. Puoi abilitare Spotify da dentro il navigatore Waze (l’applicazione che mi ha fatto salvare più tempo e mi ha fatto capire che per andare da A a B esistono sempre diecimila microstradine, ignote ai più), la quale ti predispone un menù apposito, il quale poi a sua volta aumenta la probabilità di gestire la musica in auto senza schiantarsi o mettere sotto qualcuno, perché non devi cambiare applicazione. Che è molto, molto comodo (ti salva anche, potenzialmente, da diversi anni di galera e altre implicazioni morali). Dentro Spotify c’è poi l’integrazione con Genius, una app/sito che mostra i testi delle canzoni (anche annotati dagli utenti) ed altre relazionate amenità, e che è parsa sufficientemente intrigante, sì da scaricare poi lei stessa sul mio antico ma robusto Galaxy Note 3.
  • Spotify ti permette di fare un rispettabile data mining dentro i dischi che hai salvato (i.e., la tua libreria), e ovviamente è una ricerca separata dai dischi di Spotify tutto intero, che sono comunque abbastanza di più, per quanti sforzi tu faccia nell’inclusione di nuovo materiale. Molti di più. E li puoi anche ordinare in vari modi (alfabetico, ultime aggiunte, etc…). Ecco, per qualche misteriosissimo motivo, Play Music non te lo fa fare, al momento: ha una sola maschera di ricerca, dove cerchi sempre su tutto. A volte non è la soluzione migliore, se cerchi quella cosa della tua libreria che in questo momento ti ricordi e non ti ricordi (si sa come va la memoria, da una certa età).
  • Puoi scaricare in locale le playlist, anche da computer. Play Music te lo fa fare solo con il dispositivo mobile (Google è irresistibilmente web-oriented, a volte forse un pelino troppo).
  • Puoi pilotare il tuo device A con il device B. Per esempio puoi usare il telefono come telecomando, per gestire il computer o la Playstation o la Smart TV (io quando l’ho scoperto ho spedito la mia musica sulla Playstation in rete casalinga, per fare uno scherzetto a chi ci stava giocando in quel momento). Anche la gloriosa Rdio lo faceva, invero. Ah, Rdio!
  • E’ sociale! Finalmente posso vedere cosa ascoltano i miei amici di Facebook e conoscenti vari, posso seguire delle persone (non in senso di andar dietro a dove vanno, tipo agente segreto: in senso social), posso impicciarmi allegramente (e sono quasi tutti su Spotify, dunque ne vedo parecchi), con un tasto mettermi a sentire “con loro”, e soprattutto (impagabile per l’ego!) posso criticare tra me e me le loro scelte musicali, convinto invece di fare bellissima figura con le mie. In Play Music ognuno invece, al momento, sta per sé (che a volte è un bene, ma forse non necessariamente per la musica).
  • Grande (ma grande) quantità di playlist a disposizione. Trovi facilmente diverse compilazioni molto interessanti, qualsiasi gusti musicali tu abbia (occhio che ti controllo dalla barra “attività amici” del mio player eh…). Voi sicuro lo sapevate, ma io ho appena scoperto che Spotify compila per me un “Daily Mix” giornaliero, dove trovo diverse cose interessanti, e capisco che mi sta “profilando” sempre meglio.
  • Playlist collaborative. Cioè io faccio una playlist, e la gente può aggiungere canzoni, se voglio. E se vogliono. Semplicissimo, a dirsi. Play Music non lo fa ancora, purtroppo.
  • C’è un player ufficiale Spotify anche per Ubuntu. Per quanto io non lo usi ormai che in modo saltuario, mi piacciono le cose che si ricordano che esiste “ancora” un sistema operativo chiamato Linux :-)
  • D’accordo: il player non ha un “mini player” ufficiale, il che è una seccatura. Fino a che non scopri che ci sono una pletora di programmi e programmini che te lo fanno fare comunque (a me sul Mac piace Silicio, per esempio). Ho trovato perfino un salvaschermo in modo che vedo i dischi che stanno suonando, anche se non faccio nulla (ok, non faccio nulla, ma le orecchie sono accese).
  • A proposito, il player (ma perché però solo nero?) ha questa sua modalità “a schermo intero” che non è niente male (qui metto un disco di musica classica invece di uno degli Abba, per dire, così faccio anche una mia certa figura anche dal punto di vista culturale).
  • Integrazione con last.fm, dove posso trovare dei tipi arguti (sicuramente con occhialini rotondi alla John Lennon, io me li immagino così) che — consapevoli evidentemente dell’elevato grado di sapidità delle mie scelte musicali — registrano pazientemente tutto quello che ascolto. E mi presentano, a richiesta, delle statistiche di quanto vado sentendo nel tempo (cioè come i miei gusti già molto aristocratici ed attenti, vadano se possibile evolvendo sempre di più). Play Music purtroppo non la offre, anche se tiene traccia del numero di volte ascolti un certo brano.
  • Quelle altre due o tre cose che in effetti ho già scoperto ma che ora non mi vengono in mente, per quello fate voi (o scrivete un commento, che mi fa sempre piacere).

Ecco, almeno così quando mi chiedono (o mi chiedo) ma perché proprio Spotify? mi posso andare a rileggere questo post. Che poi, ovviamente, un servizio migliore spunterà appena ho perso abbastanza tempo a compilare estesissime e complete playlist con centinaia di brani e messo a posto una collezione di dischi equilibrata e ragionata, e dopo che il sistema mi conoscerà così bene che indovinerà sempre cosa voglio sentire.

A quel punto uscirà una cosa devastantamente migliore, ne sono certo.

Il trucco è, allora: non accorgersene.

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