Cracco e Spotify: la polemica social che tanto ci piace

Pizza e musica sono la serata perfetta. O forse no?

Emanuele Secco
Sekken’s Digest
5 min readMar 13, 2018

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Qual è il filo logico che lega musica e pizza? Presto detto: i soldi e la capacità di scatenare ben due “rivolte social” nel giro di pochissimi giorni, ma andiamo con ordine.

La musica è Spotify, uno dei servizi di streaming musicale più forniti e più utilizzati al mondo.
Le sue modalità di utilizzo sono essenzialmente due:

  1. Spotify Free: l’utente, una volta registratosi, potrà ascoltare musica gratuitamente, sopportando qualche pausa pubblicitaria che lo invita a iscriversi alla versione Premium. Non potrà salvare i brani per ascoltarli offline e avrà a disposizione un numero limitato di skip. La modalità di riproduzione obbligatoria, da mobile, è l’ascolto casuale;
  2. Spotify Premium: pagando 9,99 € al mese (4.99 € se studente), l’utente potrà scaricare qualsiasi brano presente in catalogo (parliamo di svariati milioni di brani), non verrà disturbato da interruzioni pubblicitarie, potrà scegliere la modalità di riproduzione che vuole e, soprattutto, ascoltare musica in alta qualità.

Sì, avete capito bene. Per 10 € al mese (la metà, se studente) l’utente ha a disposizione un quantitativo di brani che — anche ascoltando musica sempre diversa tutti i giorni per 24 ore — non basterebbe una vita. Un prezzo che elimina l’eventuale confronto con l’acquisto di cd inteso nella maniera più tradizionale; e lo dico da orgoglioso possessore di circa 200–250 album, costati in media 12–15 € l’uno. Già fatto il conto di quanti mesi di Spotify vengono fuori? Bene.

La settimana scorsa i vertici dell’azienda hanno deciso di bloccare gli account che utilizzavano illegalmente le funzioni premium tramite applicazioni craccate. Il blocco, come è giusto che sia, viene giustificato dal grande disavanzo esistente tra servizi forniti e indotto generato. Non paghi un servizio? Non hai diritto di usufruirne. Come tutto, del resto.

Per “l’Internet delle Coseh”, no. Pagare per un servizio, a quanto pare, è quanto di più strano si possa fare.
Di seguito, alcune delle reazioni:

Mi è anche capitato di leggere tali parole: «10 euro al mese per ASCOLTARE MUSICA non li avrete mai».

Non voglio entrare nei meriti di quanto letto in questi giorni, e vi posso assicurare che i tre contenuti qui sopra sono giusto una grattatina alla punta dell’iceberg. Ci tengo, piuttosto, a scrivere una letterina aperta ai datori di lavoro che già pagano o che in futuro pagheranno queste persone:

«Spettabili datori di lavoro, imprenditori, mega direttori, schiavisti e chi più ne ha più ne metta,
oggi mi rivolgo a voi tutti. Voglio che sappiate una cosa: queste persone non meritano i vostri soldi.
Le loro competenze non meritano di essere pagate.
Il loro lavoro, intellettuale o manuale che sia, non vale nulla. Non pagatelo.
Tutto questo in quanto il servizio o il bene generato dalla combinazione di quanto sopra non ha valore.
Se secondo il loro ragionamento è giusto non pagare un bene/servizio, allora è ancora più giusto che il suo stesso processo di creazione valga zero.

Sarebbe bello, miei veneratissimi, che dal prossimo mese le buste paga di tali soggetti fossero immacolate. Immaginate: potrete finalmente permettervi di mantenere migliaia di dipendenti con buste paga a dieci zeri, tanto saranno gli unici numeri presenti.

Rispettosissimamente porgo cordiali e spettabili saluti,
sempre vostro e umilissimo
,

Emanuele»

A voi che ritenete giusto compiere un illecito, non voglio certo fare la morale. So benissimo che i soldi sono importanti e che un giovane si trova spesso e volentieri con le tasche vuote.
Lo ammetto: nei miei anni da studente ho sempre scaricato di tutto. Tuttavia, i pochi soldi che riuscivo a racimolare li spendevo in dischi, libri e film; e piano piano sono riuscito a mettere insieme una discreta collezione di tutte e tre le tipologie. Una volta trovato lavoro, però, ho deciso di fare due conti e destinare ogni mese una parte dei miei risparmi a Netflix, Spotify e libri eventuali.
Ciò che avete travisato è il concetto stesso di lavoro. L’arte è fatica, è dedizione. L’arte è un lavoro, quindi si paga. Poterne usufruire, in questo caso, è un servizio che ci viene offerto (non imposto) tramite altro lavoro, quindi si paga. Ogni altra considerazione lascia il tempo che trova.

Per ultimare, vi lascio le ultime parole di un video che ho trovato quanto meno azzeccato.

«Voi pensate di avere ragione, ma non avete ragione.
Voi pensate che fare l’attore non sia un vero lavoro? Liberissimi di farlo. Allora non ti scaricare più nessun film.
Pensi che il disegnatore di fumetti non sia un vero lavoro? Bene, non ti scaricare più nessuna scan.
Siete delle persone piccole e mi fate veramente girare i coglioni.
Buona giornata.»

Arriviamo alla pizza, questa deliziosa.

Carlo Cracco, notissimo chef veneto-milanese, ha inaugurato il suo nuovo ristorante all’ombra della Galleria Vittorio Emanuele II a Milano. Tra menù ricercati e prezzi da capogiro (almeno per le mie tasche), è spuntata la sua personale rivisitazione di pizza margherita: una pasta resa croccante dall’aggiunta di semi, densa salsa di pomodoro San Marzano, pomodorini confit, mozzarella di bufala a crudo e semi di basilico (se non sbaglio). Il tutto alla modica cifra di 16 €.

La notizia non fa in tempo a raggiungere i social network, che i “giustizieri del webbe” — questa volta tutti esperti di tradizioni culinarie — hanno cominciato a esprimere il proprio “dissenso”. Una polemica lunga due giorni, e chissà quanto andrà avanti.
Tra i commenti si leggono gli immancabili confronti con la pizza napoletana, insulti vari rivolti allo chef e ai clienti del ristorante, i rimandi a quanto si è più bravi a farsela in casa e, udite udite, i capolavori: «È più buona la pizza surgelata!» e «Sai con 16 euro quante volte ci vado a mangiare il kebab o da McDonald’s?».

E cosa vuoi rispondere a questa gente? Hanno già fatto tutto loro.
Va be’, solo per dovere:

  1. si chiama pizza margherita, ma è la versione di chef Cracco. Può piacere o non piacere, ma non va assolutamente confrontata con la pizza tradizionale in quanto si tratta di due cose diverse;
  2. 16 € per una pizza… Benvenuti nel libero mercato! Siete forse obbligati a fermarvi da Cracco ogni volta che vi viene voglia di pizza? Mi sembra di no. Potrete lamentarvi quando mangiare al ristorante Cracco verrà inserito tra i doveri del cittadino. Fino ad allora, muti;
  3. tanta polemica, e avete anche il diritto di farlo, ma qualcuno di voi l’ha davvero assaggiata ‘sta pizza?

Ecco. Penso che la ovvia risposta al punto 3 possa bastare.

In ultima battuta, un tweet che riassume il sentimento che in questi giorni è imperante in me.

Dopo questa, posso affermare di credere in Dio.

E.

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Emanuele Secco
Sekken’s Digest

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