Il nostro passato social

Quella pagina buia che tutti vorremmo buttare nel cesso

Emanuele Secco
Sekken’s Digest
4 min readMar 29, 2018

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Emanuele Secco, Bussola, 2015

Lo scandalone del mese, per il quale tutti stanno giustamente perdendo la testa (Borse in primis), è il caso che vede coinvolti Facebook e Cambridge Analytica. Un minestrone di dichiarazioni, scuse e accuse reciproche di cui anche gli operatori del settore possono rischiare di capire ben poco; e se volete saperne di più, fate ampio uso de «Il Post».

Va bene le scuse diffuse da Zuckerberg tramite post e media tradizionali, ma cosa succede davvero in casa Facebook?
Succede che gli utenti hanno ora la possibilità di esaminare i dati che hanno fornito alla piattaforma. Messaggi, contatti, post, immagini. Tutto in un archivio scaricabile accedendo alle impostazioni e facendo click sul link riportato in immagine.

Una volta scaricato l’archivio, basterà scompattare il tutto e consultare il proprio fascicolo (sì, fa molto schedario) tramite apposite pagine html.

Inizialmente incuriosito dalla novità, non ho indugiato un secondo: ho eseguito l’accesso e scaricato i miei dati. Niente di sorprendente, lo ammetto. Mi è sembrato non ci fosse nulla di strano, soprattutto nell’elenco delle applicazioni che hanno tuttora accesso ai miei dati.
Riguardo questo ultimo punto, so che ve lo state chiedendo: sì, faccio sempre molta attenzione alle app di Facebook. Niente giochini, quiz o puttanate varie. Per prima cosa, non ne trovo l’utilità. Secondo, non sono mai riuscito a capire perché un insieme di domande dal titolo «Scopri qual è il piatto che non offriresti mai a un bambino denutrito» debba avere accesso non solo ai miei dati, ma anche a quelli dei miei amici.

Una cosa mi ha un po’ disturbato. Tra i contatti non erano presenti solo i miei amici, ma anche la rubrica dello smartphone. E-mail, numero di telefono e tutto. Ecco, questo non va bene; anche se, come fattomi notare da de Secondat, la presenza di tali informazioni può essere dovuta alla app Facebook Messenger, la quale può essere utilizzata anche per telefonare e l’invio di SMS.
Non ho trovato, però, quella sorta di tabulati che tanto stanno facendo notizia. Sembra che all’interno dell’archivio alcuni utenti abbiano trovato la lista delle chiamate effettuate complete di orari. Ripeto, io non le ho trovate, ma potrei anche essere un caso isolato; anche se resto ancora convinto che sia un’opzione di memorizzazione attivabile quando si fornisce alla piattaforma il proprio numero di telefono. Devo informarmi meglio.

Quindi, eccomi lì. Davanti allo schermo, scorrendo i dati forniti in quasi 10 anni di attività sul social network. Uno scrigno, certo, con le sembianze di un vaso di Pandora.
Non avete idea — e non ne avevo più memoria io, per fortuna — di quanto facesse schifo il mio passato. Non dal punto di vista dei ricordi, sia chiaro, ma a livello di scrittura. Tonnellate di faccine, punteggiatura che ricordavano le frecce di una macchina che sta per svoltare (da lasciare sempre agli indiani), commenti inutili, poke. Iscrizioni a gruppi da dimenticare: «Ki piace dormire fino a tardi», «Paxxerelli di Facebook», «Quelli che piangono guardando Moulin Rouge», «Justin Bieber ti odio», e molti altri. I maledetti test consistenti in domande riguardanti la propria personalità, da compilare per poi taggarci gli amici che avrebbero portato avanti la catena. Un bimbominkia ansioso di far conoscere a tutti ogni suo singolo pensiero, di condividere i post contra la “ka$ta”, di lottare per una giusta causa, di litigare solo per il piacere di sputare il proprio odio contro chiunque la pensasse diversamente.
A vent’anni ero quello che adesso risponde alla definizione ‘Cinquantenne del web’, che ora tanto critico. Sgrammaticato e pieno di puntini di sospensione. Il buongiornissimo, per fortuna, sarebbe arrivato solo qualche anno dopo, quando già molti di noi avevano riflettuto sul fatto che identità digitale e reale, soprattutto dal punto di vista giuridico, coincidono pienamente.

So benissimo che un archivio del genere può rappresentare un harakiri mediale per ogni sostenitore dell’educazione digitale (e io sono uno di questi). Un tale ammontare di dati andrebbe nascosto senza indugio alcuno, cancellato da ogni server, smembrato bit dopo bit finché solo l’oblio stenderà sopra di esso la sua oscura coperta.
Eppure no. Non me la sento di ridicolizzare l’io del passato. In fin dei conti, e qui dico una cosa scontatissima, sono stati gli errori di allora a rendermi ciò che sono ora. Spocchioso, sì, a tratti iracondo, esasperato, arrogante e non molto modesto riguardo le sue capacità (o forse, a tratti, troppo), ma anche paziente, investigatore e assetato di conoscenza.
È come uno scrigno del tempo posto a perpetuo memento riguardo ogni singola azione online.

Un vaso di Pandora non sempre porta al disastro. A volte è bene aprirlo e indagarne il contenuto.
Chissà, forse è possibile trovarci qualcosa di utile.

E.

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Emanuele Secco
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