#skkstories_4 — FREEDOM

Un racconto

Emanuele Secco
Sekken’s Digest
5 min readMay 9, 2018

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L’ispirazione è partita dall’incipit proposto dalla puntata di Radio1 Plot Machine del 30 aprile 2018.

“The silhouette of a seagull gliding in the air.” by Axel Antas-Bergkvist on Unsplash

Tese l’orecchio, col respiro sospeso. Nell’altra stanza regnava il silenzio.
Ancora qualche minuto, si disse, poi sarebbe ricominciato tutto daccapo. Sveglia il bimbo, vestilo, controlla che si lavi i denti, pettinalo. Nel mentre, prepara la colazione. Esci di casa. Prendi la macchina e via in asilo. Assicurati che tua madre si ricordi di andarlo a prendere all’ora giusta. Vai in ufficio. 8 ore di lavoro. Fai la spesa. Vai a prendere il bambino. Torna a casa. Prepara la cena, intanto assicurati che non accada niente di male (il pronto soccorso è sempre dietro l’angolo). Fallo mangiare, e che non si alzi prima di aver finito quanto ha nel piatto. Lava i piatti e sogna il giorno in cui potrai permetterti una lavastoviglie. Prepara una lavatrice e stendi i panni del giorno prima. Metti a letto il pupo e leggigli una storia.
Solo alla fine, un’ora di libertà da passare davanti alla TV. In realtà mezz’ora: il resto del tempo lo passerai dormendo. Alzati, solo per andare a stenderti. Leggi una facciata del romanzo sul comodino, l’occhio traballante alle ultime righe. Spegni la luce e dormi qualche ora.
Ti sveglierai qualche minuto prima della sveglia. Inutile provare a riassopirsi. Tanto vale passare quel breve lasso di tempo rimirando il messaggio che hai lasciato in evidenza su Whatsapp: «Ciao, ti ricordi di me? Ti andrevve di andare a bere qualcosa una di queste sere?» Sono passati due giorni e ancora non hai trovato una risposta. Non sapresti cosa scrivere. E dove ti infilo, caro mio? Se vuoi possiamo vederci tra le 20.30 e le 21, tra una mutanda e un paio di calzini asciutti da ripiegare dei cassetti.
La sveglia esplode con le sue tonalità acide. C’è una sola cosa da fare. Opzioni -> blocca contatto.
Mi spiace, caro. O tu o lui.

Una volta in piedi, indossò le pantofole e uscì dalla camera da letto. Aprì con delicatezza la porta adiacente, bene attenta che il figlio non si spaventasse. Attraversò la stanza in punta di piedi. Giunta alla finestra, aprì il vetro e poi gli scuri. Uno sguardo al tempo. Minacciava di piovere, grosse nubi grigie andavano radunandosi accompagnate da un borbottio incessante. Avrebbe rispolverato il giacchino azzurro. Anche se in piena estate, non voleva che il piccolo si prendesse un malanno a causa di un colpo d’aria. Gesù, era così delicato.
«Sveglia, dormiglione. La mamma è qui.»
Un sorriso. Una coccola sulla trapunta. Sollevò le coperte e allungò le mani verso il suo bimbo per stringerlo in un abbraccio. Con un sussurro, intonò le note di una canzone.
Com’era bravo. Contrariamente a quanto sentiva dire dalle altre mamme, non aveva un comportamento fuori posto. Mangiava senza problemi, dormiva quando era ora, si vestiva praticamente da solo. Lei doveva solo passargli i panni, al resto ci pensava lui. Notevole per un bimbo all’ultimo anno di asilo. Mai un capriccio, mai un urletto inappropriato. Sia la nonna che le maestre dell’asilo concordavano sul fatto che era quasi come non avercelo intorno. Non serviva badarci più di tanto: dove lo mettevi stava.
E avrebbe dovuto dar retta a quel messaggio su Whatsapp? Ma per favore… Mentre si chinava per raccogliere le scarpine azzurre, decise che cancellarlo era stata la scelta migliore che potesse fare. Aveva tutto, ed era felice così.

«E ci risiamo anche oggi…»
«Di chi parli?»
«Di Anne-Marie, mi sembra ovvio.»
«Ah, già. La matta…»
«Oddio, io non la definirei proprio così.»
«Scusa?!»
«Considerando quello che ha passato…»
«Ma dai, fammi il piacere. È matta. Scoppiata. Fuori di testa. E tutti che le reggono il gioco.»
«Sempre meglio di com’era messa prima, dico io.»
«…»
«Vedo che non sai niente. Be’, devi sapere che Anne-Marie non è sempre stata così. Fino a qualche anno fa era una ragazza come tutte le altre.»
«Ci credo poco.»
«Poi, un bel giorno si è presentata davanti all’asilo e ha tentato di rapire un bambino.»
«Scherzi?»
«Per niente. L’ha fatto davanti a tutti. C’ero anch’io, con mio figlio più grande. Dovevi vederla quando cercarono di strapparle il piccolo dalle braccia. Si mise a urlare come un’ossessa, convinta che quello fosse suo figlio. Mi vengono ancora i brividi se ci penso.»
«E poi?»
«Passò un paio d’anni in terapia, ma non servì a molto. Invece di curare la sua psicosi, si convinse ancora di più di avere un figlio. Ma non era altro che un’allucinazione dettata dalla disperazione.»
«E la madre non ha avuto nulla da dire?»
«Le allucinazioni erano troppo forti. La madre si convinse del parere dei medici: meglio così che rinchiusa per sempre come pericolo per la società.»
«Dio mio, non ne avevo idea.»
«Adesso capisci perché non mi scompongo mai quando si parla di lei?»
«Hai ragione. Non è una storia che si può raccontare a tutti.»
«Già, vai a sapere come la prenderebbero.»
«Senti, un’altra curiosità: la sua allucinaz…, scusa, il suo bambino cresce come tutti gli altri?»
«Posso solo dirti che sono 10 anni che ogni mattina viene qui, accompagnando un pugno d’aria.»
Un momento di silenzio tra le due.
«Non immaginavo che un soggetto non idoneo alla maternità potesse reagire in questo modo.»
«Esatto. Ci penso ogni giorno. In fondo, noi altre siamo state fortunate.»
«Non abbiamo bisogno di chiuderci in una prigione mentale per dare un senso alle nostre vite.»
«Hai proprio ragione.»
Le due cominciano ad allontanarsi.
«Ehi, e se andassimo a prenderci un caffè?»
«Volentieri, ma per me decaffeinato. Non vorrei fare del male al prossimo arrivo.»
«Quante cure, per questo bambino. E insieme feriresti anche Peter. Pensa come ci rimarrebbe male se il suo secondogenito non dovesse passare i test pre-parto.»
«Non voglio neanche pensarci, cara. Proprio per questo seguo alla lettera il regime alimentare consigliato dal Governo: vita sana, niente carne né sale, alcool neanche l’ombra, esercizio fisico continuo e letture educative per il feto. Lo sai, no, che possono già apprendere?»
«L’avevo sentito dire. E funziona?»
«Sembra di sì. A quanto pare un perfetto cittadino lo si vede già dai primi mesi di gravidanza. Ed è anche un modo per ricevere prima la licenza di cittadino. Non voglio che cresca come un Escluso.»
«Penso non possa esserci punizione peggiore.»
«Già. Voglio solo che la nostra famiglia possa continuare a vivere in una società perfetta.»
«Una società in cui regna la libertà.»
«Parole sante, cara. Parole sante.»

E.

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