L’importanza della pratica in autoeditoria

Dobbiamo davvero scrivere tutti i giorni?

Rita Carla Francesca Monticelli
Self-Publishing Lab
8 min readJan 31, 2021

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Come tutti i mestieri, quello dell’autoeditore richiede tempo per essere padroneggiato, ancora di più se consideriamo la sua complessità. L’autoeditore deve saper scrivere bene, deve possedere capacità di organizzazione per la gestione della pubblicazione dei propri libri e per farli giungere ai potenziali lettori, e deve sviluppare la necessaria disciplina per mettere a frutto i propri talenti e le proprie competenze o per gestire quelle dei suoi collaboratori.

Il tempo in sé, però, non basta, se a esso non si affianca la pratica, che deve essere portata avanti con una certa costanza. Bisogna scrivere e leggere per diventare uno scrittore migliore. Bisogna fare ricerche e studiare per riuscire a trasformare ciò che scriviamo in un prodotto editoriale di qualità. Dobbiamo mettere in pratica di continuo ciò che abbiamo imparato, affinché tale prodotto giunga alle persone in grado di apprezzarlo.
E bisogna fare alcune di queste cose possibilmente tutti i giorni o almeno cinque giorni la settimana, affinché tutti questi aspetti si consolidino nella nostra mente e col tempo diventi più semplice affrontarli.

Non c’è dubbio, infatti, che la nostra scrittura tende a migliorare con la pratica. È una cosa che possiamo facilmente verificare, andando a prendere dei vecchi scritti rimasti nel cassetto (o in qualche cartella di un vecchio PC) e confrontandoli con quelli più recenti. I periodi scorrono meglio. Le trame sono più ispirate. I personaggi sono più approfonditi.
Ciò è frutto della pratica, sì, ma non solo del mero ripetersi dell’atto di scrivere ogni giorno. La scrittura non è veramente un muscolo (come viene spesso definita), che si irrobustisce per il semplice fatto che viene usato. È qualcosa di più sofisticato che, oltre alla quantità, richiede la qualità.
La doti scrittorie di ogni persona non si accrescono solo perché questa fa volare le dita sulla tastiera per ore ogni santo giorno. La semplice ripetizione dell’atto porta infatti con sé il rischio di reiterare l’errore che non si sa di compiere. Scrivere significa rendere “reale” qualcosa che è nella nostra mente e questo qualcosa è frutto della commistione tra le esperienze della nostra vita, che siano reali o fittizie (derivate dalla fruizione della finzione scritta, audiovisiva o drammatica), e l’apprendimento attivo degli strumenti di scrittura: la grammatica, le regole dello stile, le tecniche narrative.

E, affinché questo apprendimento avvenga, non basta scrivere o leggere. Bisogna saper fare entrambe le cose in maniera critica.

Per quanto riguarda la lettura, significa scegliere con cura i libri da leggere, assicurandoci che almeno una buona parte di essi abbia le caratteristiche di qualità cui aspiriamo.
Per quanto riguarda la scrittura, invece, significa essere consapevoli di come scriviamo, analizzare la nostra scrittura, con gli strumenti che possono esserci dati, oltre che dalla lettura, anche dallo studio delle tecniche scrittorie (attraverso libri, corsi o interazioni professionali con le persone che lavorano alla revisione dei libri), ed essere in grado di individuarne i punti di forza, in modo da poterli sfruttare, e le debolezze, in modo da poterle mitigare.

Il consiglio di scrivere tutti i giorni, che possiamo trovare in pressoché qualsiasi libro che parla di scrittura, ha come scopo principale quello di spezzare le resistenze che spesso poniamo di fronte a questa attività. La nostra mente, soprattutto agli inizi, quando non abbiamo una prospettiva certa di ciò che accadrà al nostro testo, tende ad assegnarle una priorità più bassa rispetto alle altre attività quotidiane e ciò ci porta spesso a procrastinare, con il risultato che scriviamo molto meno di quanto vorremmo e questo ci provoca frustrazione.
Le attività che impongono la scrittura tutti i giorni, come il NaNoWriMo, ci insegnano a saper inserire senza indugio qualche ora di scrittura nella routine della nostra giornata, senza che sembri quasi un lusso che ci concediamo a discapito di altri impegni. Ci servono per far sì che siamo in grado di iniziare a scrivere in pochi minuti, di rimanere concentrati per il tempo prestabilito e poi di terminare con la soddisfazione di aver fatto il nostro dovere, sapendo che il giorno dopo ci riusciremo con meno sforzo di quello precedente.

Tutto ciò riguarda la disciplina, che a sua volta richiede pratica, ma non necessariamente la qualità del testo prodotto. E, se si acquisisce tale disciplina, si può essere in grado di applicarla in qualsiasi periodo in cui decidiamo di scrivere un libro.

Non siamo però obbligati a farlo tutti i santi giorni.
Possiamo rimanere senza scrivere per settimane o mesi, magari anche anni. Il muscolo della scrittura non si atrofizzerà, se sfruttiamo quel tempo per affinare, o anche solo tenere allenate, in altri modi la nostra arte e la nostra tecnica.

Come?

Partiamo dalla fantasia: l’acquisizione di nuove idee e la capacità di svilupparle.
Qui la fruizione di libri, contenuti audiovisivi e drammatici, come pure l’interazione con la vita di altre persone, rappresentano il nostro carburante, l’energia che mette in moto tutto. Ma anche in questo caso non basta fruirne in modo passivo. Dobbiamo soffermarci ad analizzare ciò che leggiamo, vediamo e sentiamo.
Perché ci suscita certe sensazioni? Perché ci fa sentire coinvolti? Perché quella narrazione (in senso lato) funziona, suona realistica, convincente? Cosa ci piace di essa? Cosa non ci piace? E perché?
Mettiamo tutte queste riflessioni nero su bianco, anche solo sotto forma di lista. Ciò ci porterà ad assimilarle e chissà che da esse un giorno o l’altro non scocchi una nuova scintilla, quella da cui nascerà l’idea per un nostro libro e soprattutto la capacità di conferirgli le caratteristiche che cerchiamo nell’oggetto delle nostre fruizioni.

E poi c’è la tecnica. Assicuriamoci di conoscere le regole dello stile, che si tratti di quelle della narrativa o della non-fiction, in modo da poter consapevolmente decidere di seguirne alcune e violarne altre. Assicuriamoci inoltre di conoscere le regole della grammatica. Non è vero che le abbiamo imparate a scuola. Sicuramente ne abbiamo imparato una buona parte, se non ci siamo distratti a lezione, ma non certi dettagli, le minuzie. Quelle saltano fuori analizzando i testi di altri oppure approfondendo la logica che sta dietro l’uso certe strutture. E magari veniamo a scoprire di aver usato per tutta la vita un regionalismo, credendolo una forma in italiano corretto. Oppure ci rendiamo conto che continuavamo a fare gli stessi errori, perché non avevano capito una regola. Oppure che quella regola su cui facevamo affidamento prevede un’eccezione di cui non sapevamo nulla.

Tutto questo non lo impariamo macinando migliaia di parole al giorno, come se fosse un catena di montaggio, ma solo se ci soffermiamo di più su ognuna di esse. E qui si arriva all’attività più importante che migliora la nostra scrittura, anche se nel svolgerla non scriviamo nulla di nuovo: la revisione.

No, non è vero che se ne deve occupare l’editor. Lui (o lei) viene dopo, per sistemare ciò che non siamo (ancora) in grado di vedere con i nostri occhi.
Prima di quel momento sta a noi ritornare sul testo, dopo che ci siamo sufficientemente staccati da esso, e dedicare a ogni capoverso, periodo e locuzione tutto il tempo necessario.
Revisionare un testo non è rileggerlo. È analizzarlo, rielaborarlo, litigarci un po’ (e poi fare pace). Non basta farlo una volta sola. È un’operazione da ripetere più volte, adoperando in ognuna un approccio diverso e rendendosi così conto di come il testo a ogni passaggio evolva, si affini, diventi più maturo.

So che per alcuni (non per me!) l’atto in sé di scrivere è piacevole, mentre tornare sui propri testi è la parte più difficile.
Be’, ho una notizia: se è solo piacevole, non lo stai facendo bene.
Ognuno di noi deve soffrire un po’ per produrre un buon testo. Se scrivere è facile e piacevole, molto probabilmente lo sarà meno revisionare. Se scrivere è un vero supplizio (come nel mio caso), di solito la revisione è piacevole (confermo!).
Fatto sta che ci vogliono entrambe le cose: il piacere e la sofferenza.

È vero che praticamente qualsiasi esperto afferma che bisogna scrivere tutti i giorni, ma io non sono d’accordo. Ciò che è veramente necessario è essere in grado di scrivere tutti i giorni, se vogliamo, che è un concetto completamente diverso.
Dico questo, perché il fatto di scrivere tutti i giorni, in special modo per chi preferisce la scrittura alle altre attività, non deve diventare la scusa per non svolgere queste ultime, perché scrivere non basta.
Ciò che dobbiamo fare davvero tutti i giorni (o almeno cinque giorni la settimana) è qualsiasi azione che porti avanti la nostra produzione editoriale.

E infatti la pratica per un autoeditore non riguarda solo la scrittura (o la revisione), anche se per forza di cose è alla base di tutto, perché, se non abbiamo un buon libro, tutto il resto è inutile. Ma noi, oltre a essere scrittori, siamo editori. Abbiamo altre mansioni da svolgere che richiedono pratica.
Ciò vale anche per quelle che deleghiamo in parte o totalmente a qualcun altro. Dobbiamo comunque sapere a chi rivolgerci, che tempistiche ha quella persona e quindi inserire il suo contributo nel pianificazione del nostro lavoro.
In ogni caso, più pratichiamo tutti questi aspetti, più diventiamo bravi a organizzarci e a rendere il processo di pubblicazione più rapido ed efficiente. E per farlo abbiamo bisogno di tempo, che dobbiamo sottrarre ad altre attività, inclusa la scrittura.

Scrivete sempre tutti i giorni o solo per alcuni periodi?
Vi concentrate in maniera consapevole sulla qualità della vostra scrittura?
Dedicate abbastanza tempo agli altri aspetti della vostra attività di autoeditore?
Se vi va, raccontatemi le vostre esperienze nei commenti (qui o sui social network).

A proposito del rapporto tra scrittura e revisione, una cosa che ho notato nella mia esperienza personale è che tanto più scrivo con piacere (il che mi capita di rado), minore è la qualità della prima stesura del testo. Questo avviene perché ho troppa fretta di arrivare al risultato (completare la scena), per timore che l’ispirazione svanisca, e ciò mi porta a trascurare i dettagli del percorso. Alla fine il tempo risparmiato in fase di scrittura mi ritrovo a perderlo durante la revisione.

Per ovviare a questo problema, quando sono colta da queste ispirazioni incontrollate (!), invece di scrivere la scena vera e propria, scarabocchio di getto tutto quello che mi passa per la testa in un blocco per gli appunti. Solo dopo, con calma, rassicurata dal fatto che le mie idee geniali sono state fissate sulla carta e non andranno da nessuna parte, mi metto a scrivere seriamente, con un po’ di sana sofferenza.

Per ulteriori suggerimenti su come affrontare a scrittura di un libro, vi rimando alla seconda parte del mio saggio “Self-publishing lab. Il mestiere dell’autoeditore”, che si concentra proprio sul primo dei tre ruoli incarnati dall’autoeditore: l’autore.

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L’ebook è infine acquistabile in Svizzera tramite l’ereader Tolino.

Il libro è stato aggiornato nella data riportata sul minisito o sulla pagina del prodotto nel rispettivo retailer, ma in futuro subirà sicuramente altri aggiornamenti, poiché saltano sempre fuori delle novità relative al mercato dell’autoeditoria.
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Rita Carla Francesca Monticelli
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Italian science fiction & thriller author, scientific & literary translator, biologist, educator, dreamer. 🇮🇹: www.anakina.net EN: www.anakina.eu I ❤️🎾