Scrivere per il mercato o creare il proprio

Dobbiamo dare ai lettori ciò che vogliono?

Rita Carla Francesca Monticelli
Self-Publishing Lab

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Esistono sostanzialmente due modi in cui uno scrittore di narrativa può accostarsi all’autoeditoria: scrivere per il mercato oppure concentrarsi sul proporre il proprio messaggio, sviluppando i temi da lui preferiti.
Nel primo caso, la voce dell’autore viene asservita per offrire ai lettori esattamente quello che vogliono. Nel secondo, l’autore lascia libera la propria voce di esprimersi per attirare a sé i lettori che sono in sintonia con essa.

Scrivere per il mercato è un metodo che può essere definito scientifico, poiché segue delle regole ben precise, che sono le seguenti:

  • studiare il mercato;
  • individuare al suo interno i sottogeneri di successo per gli autoeditori;
  • selezionare tra questi il sottogenere che ci piace leggere e in cui riteniamo di essere in grado di scrivere;
  • studiare i temi ricorrenti (quelli che in inglese vengono chiamati tropes) e la struttura dei libri di successo del sottogenere selezionato;
  • studiare le copertine di questi libri;
  • studiare le descrizioni di questi libri;
  • infine, utilizzare tutti questi elementi nella nostra opera, introducendo un minimo grado di originalità.

In poche parole, scrivere per il mercato significa costruire dei libri sui gusti e sugli interessi di un target di lettori specifico, che, per via dei grandi numeri da cui è costituito, dovrebbe, almeno in teoria, consentire di ricevere un ritorno economico consistente dalla commercializzazione dell’opera, in particolare se è associata a una frequenza di pubblicazione molto stretta di libri appartenenti a lunghe serie. Questi ultimi due aspetti (frequenza di pubblicazione e serialità) consentono di sfruttare al massimo il singolo lettore, che il più delle volte, se ha apprezzato il primo libro, andrà a leggere tutti gli altri.

Una variante dello scrivere per il mercato è lo scrivere per la tendenza. In questo caso, invece di selezionare una fetta di mercato che presenta un ottimo riscontro di pubblico consolidato su un lasso di tempo abbastanza ampio, si scende più nello specifico, dedicandosi a una tematica particolarmente calda nell’arco dell’ultimo anno o degli ultimi mesi e la si spreme fin quando non si esaurisce.

Chi scrive per il mercato o per la tendenza ha meno necessità di lavorare sul proprio brand (per quanto male di certo non gli farebbe) e può concentrarsi sul macinare libri in quantità e inviare verso di essi il pubblico giusto, attraverso un’intensa attività pubblicitaria. Spesso questo tipo di autori gestisce più pseudonimi, ognuno dedicato a un sottogenere diverso, e solo con uno, al massimo, ci mette la faccia e si presenta al pubblico anche fuori dalla rete, ma non è obbligato a farlo. Ciò rende lo scrivere per il mercato adatto anche per gli autori che non amano esporsi.

Questo tipo di approccio è usato con grande efficacia nell’autoeditoria in lingua inglese, dove il mercato è così grande, che chi riesce a riprodurre questo metodo con efficacia potrebbe ritrovarsi tra le mani un business molto remunerativo. Inoltre, le stesse dimensioni del mercato fanno sì che esista un numero notevole di sottogeneri tra cui scegliere (es. paranormal romance, fantascienza militare, thriller spionistico, ecc…), poiché ognuno di essi può contare su un numero di lettori molto elevato.

Ovviamente, se applicato in maniera corretta, funziona anche in mercati relativamente piccoli come quello in lingua italiana, ma per avere dei risultati interessanti a livello economico l’autoeditore è fortemente limitato nella propria scelta del genere o sottogenere cui dedicarsi. Per esempio, i romanzi rosa, i gialli e i thriller, nelle loro varie declinazioni hanno dei mercati di dimensioni accettabili, mentre nei generi del fantastico (fantascienza e fantasy) il pubblico di lettori è più ristretto, soprattutto quello interessato a leggere autori italiani.

Inoltre, con opportune variazioni, questo metodo si osserva anche nell’editoria tradizionale, per esempio, con autori come Lee Child (la serie di Jack Reacher). Le differenze riguardano una frequenza di pubblicazione più ampia e la tendenza a pubblicare libri che, pur facendo parte di una serie, tutti quanti possano essere letti anche da soli.
Quest’ultima strategia è usata anche nell’autoeditoria, ma la certezza che tutti i libri verranno pubblicati (poiché l’autore e l’editore sono la stessa persona) e il fatto che la loro pubblicazione può avvenire in un arco di tempo più breve (quindi si rischia meno di perdere per strada i lettori) offrono anche la possibilità di una serialità che costringe i lettori ad andare in ordine e ad arrivare all’ultimo libro per sapere come finisce la storia.

Scrivere per il mercato sicuramente ha degli ovvi vantaggi economici, ma allo stesso tempo non è un approccio adatto a tutti gli scrittori. Non tutti, infatti, sono in grado di imbrigliare e controllare la propria creatività per costringerla a un tipo di attività così predeterminata, come temi e tempistica. O almeno, se riescono a farlo, non sempre riescono a produrre nel contempo dei libri di ottima qualità.
Allo stesso tempo, questo approccio è ideale per l’autore che ama già scrivere in un genere popolare, che ama riproporre gli stessi temi e che è in grado di concepire e scrivere storie con queste caratteristiche in maniera costante.

Invece, altri scrittori (me compresa) si sentono limitati dalla presenza di certi paletti e semplicemente ritengono che non valga la pena scrivere un libro, se questo non è piena espressione del proprio messaggio, dei propri temi e della propria voce d’autore. Vogliono quindi sentirsi liberi di raccontare le storie che preferiscono, anche in generi diversi, proponendo temi e strutture proprie.

Chi di noi compie questa scelta ha sicuramente vita più facile nel momento della creazione dell’opera, ma potrebbe avere molti più problemi a promuoverla. Poiché è nel mercato che dobbiamo comunque proporre i nostri libri, siamo quindi costretti a etichettarli con un genere e a usare gli stessi strumenti pubblicitari per inviare i lettori verso di essi. Ma potrebbe non bastare, poiché ciò che proponiamo si discosta da ciò che il lettore si aspetta.

E allora come possiamo fare?

La soluzione, tutt’altro che semplice, è concentrarci sul nostro brand, metterci la faccia, utilizzare strumenti di condivisione come i social network, i blog, le newsletter, i podcast, i video, gli eventi offline (presentazioni, fiere) e così via, per mostrare ai potenziali lettori che abbiamo qualcosa di interessante da dire e che siamo in grado di esprimere bene questo qualcosa e, in ultima analisi, indurli a scoprire di cosa si tratta tramite la lettura dei nostri libri. Così facendo, possiamo circondarci di lettori che, indipendentemente dalle loro precedenti abitudini di lettura, sentono di essere in sintonia con la nostra voce di autore e che apprezzano i nostri libri non perché contengono ciò che si aspettano di leggere, bensì perché vi trovano qualcosa di inatteso.

Questo tipo di approccio richiede di certo maggiori sforzi promozionali affinché abbia successo, ma ha il vantaggio che sono più facili da controllare rispetto alla cosiddetta ispirazione, in quanto non sono influenzati da aspetti emozionali. Richiede di imparare e di portare avanti delle attività di marketing su più fronti, e rispetto allo scrivere per il mercato è molto più legato a fattori come tempismo e fortuna (che spesso sono la stessa cosa). Inoltre, è particolarmente adatto a chi non teme di esporsi al pubblico o addirittura lo trova divertente.

È chiaro che concentrarsi sul proprio brand può essere dispendioso soprattutto a livello di tempo e talvolta anche economicamente. Inoltre, funziona meglio su mercati più ristretti come quello italiano, mentre è senza dubbio più difficile da portare avanti con i mezzi a disposizione di un autoeditore sul mercato globale in lingua inglese, in particolare se l’autore non vive in un paese in cui si parla questa lingua.
Insomma, è una sfida con molte più incognite, ma ciò può renderla più affascinante e allettante.

Ovviamente, quelli che ho appena esposto sono due estremi. Nella realtà, un autoeditore è libero di volta in volta di sfruttare alcuni elementi di entrambi gli approcci e di sviluppare la strategia che più si adatta al proprio libro e alle proprie aspirazioni.

E voi che autoeditori siete?
Scrivete per il mercato o vi concentrate sul vostro brand?
Se volete, fatemelo sapere nei commenti.

Lo sviluppo di un proprio brand come autore è uno degli argomenti sviluppati nella quarta parte, quella dedicata al self-publisher nel ruolo dell’imprenditore, di “Self-publishing lab. Il mestiere dell’autoeditore”.

Se volete sapere qualcosa di più sul contenuto del mio libro, date un’occhiata al minisito a esso dedicato, in cui potete anche leggere un’anteprima: www.anakina.net/selfpublishinglab

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Il contenuto del libro è aggiornato periodicamente, ma il mercato e gli strumenti disponibili agli autoeditori vanno incontro a costante evoluzione.

Per questo motivo, ho deciso di creare una newsletter chiamata Self-publishing news, in cui vi informerò di eventuali novità di una certa rilevanza, non ancora presenti nel libro (perché più recenti dell’ultimo aggiornamento disponibile) e che non saranno riportate in questo blog.

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Rita Carla Francesca Monticelli
Self-Publishing Lab

Italian science fiction & thriller author, scientific & literary translator, biologist, educator, dreamer. 🇮🇹: www.anakina.net EN: www.anakina.eu I ❤️🎾