Seo Test #1: la Link building diventa Brand Building con la Sentiment Analysis?
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Da qualche settimana, la guida dei quality rater di Google (aggiornata nel Maggio 2019) è diventata un motivo di ossessione personale. Il contenuto di queste 166 pagine sembra banale, del resto il calcolo dell’autorevolezza, dell’affidabilità e della popolarità delle pagine è sempre stato il core business di Google. Così banale che ho sempre pensato di ignorare le implicazioni Seo di una guida del genere, pensando che potesse esser stata creata ad Hoc come campagna promozionale per la sensibilizzazione dei Seo verso un approccio più White Hat e meno Black Hat.
Ma la mia recente esperienza come Seo Specialist in Pro Web Consulting ha letteralmente modificato il mio approccio analitico ai problemi legati alla Seo, anche quando si tratta di brevetti o dichiarazioni ufficiali. Per questo ho deciso di condividere il dietro le quinte del primo test Seo con il nuovo approccio che ho appreso in quella che reputo la miglior Agenzia Seo in Italia (anche se si trova in Svizzera).
Premessa per il Test
Nelle guidelines si mette in luce la procedura per la verifica delle fonti, operazione che a quanto pare dovrebbe esser svolta da un operatore umano. L’intera procedura viene esplicitata nel capitolo 2.6 nelle pagine 14–15–16 e 17, ed è proprio da questa verifica delle fonti che ho preso spunto per il test. Ma proseguiamo per gradi.
Alla base della mia premessa c’è il concetto di Link building, un insieme di tecniche che noi Seo utilizziamo da anni per manipolare (o “posizionare”, come amano dire i puristi) nel modo più veloce possibile i risultati nelle SERP di Google. In questi anni ho affrontato decine di campagne di link building ma non ho mai messo al centro il brand, ho invece sempre preferito spingere di più su un approccio aggressivo per ottenere risultati in modo più rapido. Nonostante ciò, le mie tecniche hanno sempre funzionato, nel giro di 2/3 mesi portavo a casa il risultato.
Quasi sempre, però, accadeva un fenomeno quantomeno interessante. La maggior parte dei siti dopo un paio d’anni cadeva miseramente obbligandomi ad aprirne altri e ad organizzare nuove spedizioni per procacciarmi i link.
Tralasciando la bellezza grafica di questi screen (ottenuti in 5 secondi con Screely.com), ho sempre attribuito questo andamento ad una mancanza di contenuti sempre freschi e aggiornati, infatti tendo ad innamorarmi di un nuovo progetto per poi abbandonarlo e lasciarlo in balia degli update di Google.
Con uno dei miei ultimi progetti, però, l’andamento è rimasto più costante ed il sito ha resistito a tutti gli update, a partire dal medic per finire con il più recente core-update di Giugno 2019.
Quindi mi sono chiesto che cosa avessi mai fatto di speciale e, riguardando tutti i fogli Excel in cui conservo il diario di bordo di ogni progetto, mi sono accorto che in questo caso “ho creato un vero brand, oltre che un sito affiliato”. Per certi versi, se avessi letto prima la guida dedicata ai quality rater, avrei sicuramente optato per una strategia di branding già qualche anno fa ma si sa, ci si accorge di una buca solo quando ci si inciampa dentro.
Ma cosa cambia quando si crea un brand invece di un semplice sito affiliato? Come cambiano le dinamiche quando si parla di una strategia di Digital PR invece di una pura campagna di Link building (che molto spesso si potrebbe tranquillamente definire “spam building”)?
L’ipotesi
L’algoritmo di Google “legge” tutte le conversazioni sul web ed attribuisce un valore ad un brand, un prodotto o una persona in base a ciò che si dice di lui. Dunque non ha più bisogno di link per capire di chi si parla e se se ne parla in modo positivo o negativo, questo può raggiungerlo attraverso l’analisi del sentiment.
Oltre all’analisi del sentiment, Google è anche in grado di leggere il testo dalle immagini (OCR, cioè riconoscimento ottico dei caratteri) e da qualche anno i sottotitoli automatici nei video di YouTube, ottenuti grazie all’ASR (Automatic Speech Recognition), sono diventati molto più accurati. TheDeafCaptioner già nel 2015 stimava che l’accuratezza dei sottotitoli fosse prossima al 95% per l’inglese.
Non mi sorprenderei se proprio domani Google firmasse un accordo con Spotify (che ora possiede anche Gimlet Media e Anchor, entrambe startup che si occupano di podcast) per accedere ai file dei podcast ed aumentare il numero, già immenso, di dati che possiede. Così, se in un podcast Montemagno dovesse citare il nuovo tool per migliorare il piru piru, Google potrebbe dare un peso più o meno importante a quella citazione ai fini delle 3 metriche che appaiono nelle guidelines per i quality rater (abbreviate con E-A-T):
- Expertise (Competenza)
- Authoritativeness (Autorevolezza)
- Trustworthiness (Attendibilità)
Il Test
Ho creato un portale WordPress partendo da zero, ho ottimizzato le performance lato server con Swift Performance Lite (impostando il merge dei file .JS e CSS e la cache su server per l’abbattimento dei tempi TTFB), ho implementato AMP con AMP per WP ed ho ottimizzato a mano il codice del tema di MyThemeShop. Questi sono prerequisiti molto importanti per isolare le singole componenti durante i test, così sarò sicuro che, in caso di zero risultati positivi, non potrò attribuire la colpa ad altri fattori di posizionamento.
Seguendo la mia ipotesi, ho contattato Carlo De Giorgio, un amico di vecchia data dai tempi del forum di AlVerde, ed ho ordinato 10 guest post. I guest post rappresentano forse la miglior strategia per una link building efficace, ma questa volta ho cambiato drasticamente il mio modus operandi. Invece di creare i soliti guest post con i link al mio sito, magari con ancore manipolative piene di keywords o con il mio nome del brand, ho deciso di raccontare delle storie in cui si parlasse del mio brand, seguendo la falsariga dello storytelling.
Questa volta ho solo menzionato il brand del mio sito senza alcun link, senza quel delizioso e cliccabile tag HTML che fa così tanto impazzire noi Seo:
<a href=”www.dominio.it”>cliccami</a>
Quindi non mi sono preoccupato dei dofollow e dei nofollow, non controllerò più con Seo Tools for Excel se i link saranno ancora online o meno e non monitorerò i report di Ahrefs o MajesticSeo per veder salire rispettivamente il Domain Rating ed il Trust Flow del mio sito.
Questa volta, per capire se Google sta valutando o meno i miei “nuovi backlinks”, dovrò fidarmi dei suoi risultati utilizzando un operatore di ricerca come:
“dominio.it” -site:dominio.it
Così dirò a Google di mostrarmi tutti i risultati che includono il mio sito (nel titolo o nel testo) escludendo dai risultati il mio stesso dominio.
I testi sono stati strutturati in modo preciso, per far sì che il nome del brand venisse associato a termini e definizioni di sentiment positivo. Il sentiment fa parte dell’analisi del linguaggio naturale che ha lo scopo di estrarre e identificare le opinioni nel testo. Per fare un esempio, quando Google scansiona una nuova pagina sul web (che sia su un forum o su un blog), è in grado di “comprendere” se si tratta di un’opinione positiva, negativa o neutra.
L’algoritmo agisce con l’obiettivo di farsi un’idea dell’entità e, nel caso in cui dovesse trovare opinioni super positive o super negative, premiarlo o penalizzarlo nei risultati organici. Naturalmente questo è un campo di studi molto ampio che meriterebbe un approfondimento a se, tuttavia la mia ipotesi è che, con i più recenti update, Google stia soppesando il valore delle opinioni in modo differente rispetto al passato. Intendiamoci, un’opinione potrebbe anche essere espressa sotto forma di “Fonte: dominio.it” a piè articolo, tuttavia non ritengo che questa tipologia di citazione possa aiutare Google a comprendere se un sito sia o meno affidabile. Per un’intelligenza artificiale sotto hard training, sarebbe molto più intuitivo giudicare come un’opinione positiva la seguente frase “Dominio.it, sito affidabile che si occupa di scarpe” oppure “Il Dominio.it è esperto in scarpe”. Entrambe possiedono sentiment positivo e comunicano un messaggio ben preciso: Dominio.it è una fonte affidabile.
Ma una menzione testuale non basta, soprattutto se arriva da un sito di poco valore. Così come per i link, anche le menzioni testuali di brand sono soggette all’autorevolezza del sito dal quale arrivano. Questo serve a prevenire anche attacchi di negative Seo, così la manipolazione sarà più complessa, proprio come accade per la link building tradizionale.
Tornando al test, aspetterò la pubblicazione dei contenuti e terrò aggiornato questo post su Medium con i risultati. Nel frattempo proseguo spiegando come mi sia arrivata l’intuizione per questo esperimento.
L’idea e l’Analisi
L’idea di questo test non mi è venuta solo dalle guidelines per i quality rater, infatti la spinta propulsiva è giunta da un’analisi che ho svolto su molti dei miei competitor.
Trovando in SERP siti come Rewild.it ed osservando la qualità dei loro contenuti, mi son chiesto se stessero utilizzando qualche “spintarella” silente per posizionarsi. Sicuramente il profilo backlink di Rewild.it ha qualche componente di qualità, tuttavia scopro subito da WayBackMachine che è un dominio recuperato. Quindi chiedo conferma a Google con il seguente operatore di ricerca:
Tra le pagine indicizzate, compreso Facebook, il dominio Rewild.it è associato ad un club di Roma che sostiene l’iniziativa Cruelty Free. Credo che la storia del recupero di questo dominio sia andata più o meno nel seguente modo: l’attività del club è cessata, così un marketer (o un gruppo organizzato di marketers) ha notato i backlinks che ancora puntavano verso il dominio con un tool online come Expired Domains, ed ha deciso di registrarlo (ciò che in gergo si definisce “recupero di domini scaduti”).
L’hanno fatto con lo scopo di sfruttare i backlinks che già puntano verso il dominio senza doversi occupare di una nuova e lunga campagna di link building. Ora, che ne siano consapevoli o meno, la loro mossa è stata quasi geniale e non mi riferisco al recupero del dominio, infatti molto spesso questi domini vengono penalizzati e lato link popularity non sempre mantengono la loro forza. Invece è geniale perché il dominio Rewild.it gode di un ottimo trust lato sentiment, infatti ha 178 recensioni positive su Facebook, ha commenti positivi in varie pagine e viene sempre affiancato ad un sentiment più che positivo.
A questo punto non mi sorprende il suo visibility graph di Sistrix. Questo sito è un potpourri di classiche “recensioni” da 500 parole di prodotti venduti con l’affiliazione di Amazon e sembra che a Google piaccia, ma siamo sicuri che questo gradimenti arrivi dalla qualità dei contenuti che scrive?
Io non credo, tutta questa simpatia è da attribuirsi ai segnali più che positivi di sentiment che questa nuova versione dello stesso sito sta sfruttando dalla precedente gestione.
Passiamo ora ad un altro esempio, ProContro.com. Ho analizzato questo sito di recensioni di prodotti Amazon e, osservando l’impennata su Sistrix, mi sono incuriosito parecchio. Parliamo di valori importanti per un sito di questa tipologia (indice 5 contro un indice 0,35 di Rewild.it). Per darvi un’idea, un sito con 1.000 visite al giorno ha più o meno indice di visibilità di 2/2,5, quindi possiamo supporre che questo sito totalizzi almeno 60K visite da organico al mese, una miniera d’oro per l’affiliazione di Amazon.
Per prima cosa mi sono fiondato su Google per il consueto reputational check con gli operatori di ricerca. Il risultato è stato il seguente:
Ho individuato un buon numero di guest posts proprio come quello nello screenshot. Interi contenuti in cui si elogia l’operato di questo portale con parole dal sentiment quasi sdolcinato. Mi sento di concordare anche in questo caso con la mia ipotesi perché per esperienza personale so bene quanto sia difficile posizionarsi per così tante query di ricerca. So altrettanto bene che tutto ciò non è affatto possibile senza una solida strategia di link building (ciò che questo sito sicuramente non ha, osservando i dati sui backlinks).
Uno dei siti che invece non riesco a decifrare (e qui chiedo l’aiuto da casa) è SaluteOpinioni.it. Questo sito secondo me rasenta lo spam, si sta comportando proprio come Google dice di non fare ma nonostante ciò vedo che è sempre onnipresente nelle SERP. Osservando il file Robots.txt vedo che bloccano i bot dei tool per l’analisi, quindi qualche dato potrebbe essere incompleto e sono quasi sicuro che siano in ballo redirect 301 da expired domain (non ho prove alla mano) o altre diavolerie Black Hat.
Ora è giusto il tuo turno, cosa ne pensi? Hai dubbi sulla mia ipotesi e come l’ho sviluppata oppure concordi e hai altri spunti da darmi?
Scrivimi nei commenti, sarà un piacere confrontarsi.
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