Startup, o dell’imprenditoria che non c’è.

Massimo V.A. Manzari
Seralmente
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4 min readFeb 25, 2018

Lo spunto odierno nasce dalla lettura di un articolo su RECODE e sulla divulgazione che Dropbox ha fatto dei suoi dati finanziari (1) e dall’obbligata mia riflessione che ne è nata.

Riflessione sul fatto che azienda nata nel 2007, dopo 11 anni ha chiuso ad un fatturato di 1.1B$, ha diminuito le perdite a 112M$ e sembra che sia vicina al traguardo di una valutazione di 10B$ che l’azienda si era posta come obiettivo nel 2014. (1)

Nulla di nuovo se pensiamo agli anni di perdita di Amazon, azienda che ricordiamoci è nata ventiquattro anni fa, e a proposito quest’anno Google ne fa venti di anni. Tolti i soliti nomi noti, molti altri potrebbero essere aggiunti e comunque è chiaro e lampante che quello è altro mondo, è l’America.

Ma in Italia storie così sono possibili?

Perdere per anni rincorrendo un sogno che a volte si avvera e a volte no?

Ovvio che ciò non è possibile, l’ecosistema italiano è ben diverso da quello americano, ma molti sono ancora a pensare che siano identici, e sopratutto ad illudere altri “per scambiare perline con una pinta d’oro”.

Ora che la standardizzazione delle startup sia in via di fallimento per me è molto chiaro, autoreferenzialità e sindrome da incompresi sono ingredienti che in questi anni sono stati usati per spegnere energie e forze creative di giovani che dovevano essere aiutati ad indirizzare le loro volontà imprenditoriali verso il mercato, il cliente.

Evitiamo di aprire conversazioni su questi temi, anche sugli assalti e l’impoverimento attuato sempre a danno di forze che avrebbero dovuto creare il tessuto sociale del futuro, ma solo per il fatto di aprire una startup passano anni in condizioni economiche disastrose, e a cui è stato nascosto un fatto assoluto e innegabile.

Ovvero, le startup sono sempre esistite, sono IMPRESE che IMPRENDITORI hanno fondato per entrare nel mercato, quel che Luigi Einaudi definiva come il “luogo dove convengono molti compratori e molti venditori, desiderosi di acquistare o vendere una o più merci. Si possono negoziare anche SERVIGI (es. mietitura, vendemmia)”.

Che siano virtuali, globali o locali è ovvio che nei mercati ci sono compratori e venditori, che le imprese vendano qualcosa di nuovo, prodotto o servizio, è cosa antica, come del resto che ci sia sovrabbondanza d’offerta perchè tutti vendono la stessa cosa, o servizio, con minime differenze e scontrandosi solo sul prezzo o sul mito del Brand.

Altra caratteristica dell’imprenditore è la capacità di saper anticipare bisogni, introdursi in nuove opportunità, crearle e sopratutto però saperle poi raggiungere e soddisfare assumendo rischi governabili.

La novità degli ultimi venti anni è stata che grazie alle tecnologie informatiche si sono sviluppati strumenti che permettono di realizzare nuovi servizi, e prodotti, che possono essere utili nei mercati esistenti, se si considerano i compratori pronti all’acquisto, o mercati da creare.

Qui è scattata la trappola, ovvero possedendo elevate competenze tecnologiche molti sono stati lanciati nell’attività più complicata che un imprenditore, e un impresa, può avviare, ovvero creare un mercato per qualcosa che sino a ieri non esisteva, e di conseguenza abitudini e consumi nuovi.

Possibile raggiungere risultati positivi, Amazon ne è esempio come del resto Dropbox e altri ancora, però richiedono ciò che oggi con il mito della velocità si nega, ovvero tempo, investimenti e attenzione.

E poi, non ultimo, il Capitale perchè qui non è l’America.

Semplificazione estrema, ma gli elementi per chi vuol ragionare sono in gran parte presenti.

Ora alcuni dati iniziano ad uscire sulle 7.398 startup e 565 PMI innovative innovative (2)

Inoltre il prossimo 27 Febbraio sarà presentato anche Startup Survey 2016. La prima indagine sulle neoimprese in Italia, e già qui come si legge nel titolo parliamo di neoimprese.(3)

Darò un occhio al rapporto dell’Istat, ma già ora vi sono delle basi su cui i ragionamenti si possono ampliare e concretizzare in analisi più profonde, perchè solo così si potrà invertire la rotta, ed è necessario visto che ora già si propone alle startup l’idea che il mercato per loro siano i mediatori che hanno già clienti, altre aziende e imprenditori.

Quindi si inizia a raccontare in maniera confusa allo “startapparo”(brutto termine) che deve affidarsi ad imprenditori che sono nel mercato, perchè lui non lo è.

Quindi c’è da fare, se si ha volontà di ridirigere forze vesto la progettazione del presente, piuttosto che verso l’alimentazione egoistica di energie altrui.

E il primo passo è parlare di imprenditoria e impresa, nuova impresa, con tutte le questioni socio economiche e di responsabilità che ci si assume, e senza vergogna di dire che si è imprenditori, ma sopratutto con consapevolezza di riconoscere l’ecosistema in cui si è inseriti, e il mercato, senza fare fughe in avanti.(4)

Sopratutto evitando gli impostori che il re della fiaba “I vestiti nuovi dell’Imperatore” (5) incontrò .

Buona serata.

(1) Dropbox needs to be seen like Atlassian, not Box, to avoid a downround IPO

(2) Startup e Pmi innovative — Relazione annuale e rapporti periodici

(3) Startup Survey 2016. La prima indagine sulle neoimprese in Italia

(4) Materiale e spirituale ai tempi del #cloud

(5) I vestiti nuovi dell’Imperatore di Hans Christian Andersen

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