Arrigo Beyle, milanese

Marianna Piani
Shape my Universe
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4 min readFeb 11, 2017

Questa città che mi aspetta
in una mattina di inverno inoltrato
indecisa tra un sole giallino
e un cinereo torpore di nebbia.

Questa città senza un fascino sincero
se non quello d’esserne senza,
dove i palazzi s’affollano senza grazia
a ridosso di larghi viali anneriti
da decenni di traffico insensato,
ai crocevia di strade scorticate
da secoli di passi affrettati.

Nuove torri crescono su spianate
orridamente livellate, come carcasse
di brontosauri spolpati dalle ere.
Negli occhi di qualcuno di passaggio
qualche speranza si legge ancora, ma
non oggi: forse, se sarà, sarà domani.

Potrei lasciare l’informe cerchia
oltre i navigli, e avventurarmi, col cuore in gola,
al centro del centro palpitante: qui i palazzi
da dimessi si fanno altezzosi, vanamente,
senza un’autentica nobiltà da esibire.
Forse è palese, ma io non la distinguo.

Tuttavia qui dove punto ora i miei piedi
elegantemente abbigliati all’italiana
le pietre hanno veduto ben altri passi,
e forse per questo sono sconnesse, spesse,
come piastre di archetipiche testuggini
schiacciate dal gravame di regger loro il mondo.

Ogni qualvolta mi lascio trasportare
dalla tranvia della mia mente
tra quelle muraglie quadre, lorde
dei fumi di una civiltà ormai morente,
mi rammento di quella lapide a Parigi,
così incongrua per quel luogo di rimpianti.

Chi la depose lo fece in memoria
di uno spirito acceso, appassionato
nel suo ironizzare lieve, fluente
com’è fluente la Senna sotto i suoi ponti
nel bagnare i basamenti delle cattedrali.
E io mi chiedo cosa spinse quell’uomo franco

a dichiararsi straniero da sé stesso
per amore forse d’un luogo immaginato
più che vissuto. Più sognato che abitato.
Se egli lo fece, anch’io lo posso fare,
di dichiararmi, pur non essendolo di fatto,
per amore soltanto, “Milanese”…

Marianna Piani
2 Marzo 2014

Mi accorgo di essere stata sempre assai avara nell’esternare amore, o almeno affetto, per questa città che mi ha accolta, ancora giovanissima e completamente sola, disorientata, impaurita, e in cui, a lunghe riprese, ho vissuto in questi miei ultimi (quasi) sedici anni.
Ho spesso scritto degli aspetti che più amo di questa città, quasi mai nominandola esplicitamente però.
In realtà, lo confesso, non saprei dire se è amore ciò che più mi lega a questa mia città d’adozione, questa Milano troppo grande, disarmonica, contraddittoria, difficile da vivere, specialmente se messa al confronto con la provincia (per nulla quieta, ma di dimensioni più umane) in cui sono nata e cresciuta.

Eppure vi sono molti più legami e rassomiglianze tra la piccola Trieste e la grande Milano di quanto si possa pensare.
Il suo cosmopolitismo, come quello triestino nato in tempi ancora ben lontani dalla attuale “globalizzazione”, la sua sostanziale tolleranza, la laicità della sua cultura. Direi che di Milano mi sono affezionata più alla cordialità ed ironia dei suoi abitanti che al suo aspetto architettonico e urbanistico, più ai cuori e alle menti che ai muri.
Indovino un sorriso scettico da parte vostra quando parlo di “cordialità” a proposito dei suoi abitanti, eppure, nonostante la grande difficoltà con cui tale cordialità riesce ad esprimersi, è proprio questo secondo me uno degli aspetti storicamente più evidenti della “milanesità”. Non è la cordialità al calor bianco dei Napoletani, e neppure quella un po’ ribalda (simpaticamente) dei Romani. È una cordialità aperta, stemperata dall’ironia, e scevra da pregiudizi. Forse sono stata fortunata negli incontri, ma questa è la mia sensazione. Per cui sì, forse la amo, questa città.

Henri Beyle, noto come Stendhal, uno tra i grandi classici della letteratura da me più amati e frequentati (ho letto, riletto e a volte perfino “studiato” presumo la quasi interezza della sua opera narrativa, anche perché non è immensa in realtà), è il campione di questa visione aperta, disincantata della vita, sempre illuminata da una caustica ironia, e non è un caso che abbia vissuto in Italia proprio a Milano (per sette anni, dal 1814 al 21), e anche brevemente a Trieste (che però lasciò poche tracce nella sua vita, al contrario di ciò che avvenne più avanti a James Joyce), e che a Milano si sia trovato bene tanto da far iscrivere sulla propria sepoltura, nel cimitero Parigino di Montmartre, il celebre epitaffio in cui, in italiano, si dichiara “Milanese”.

Questa circostanza ha sempre suscitato in me un sentimento di istintiva simpatia, poiché anch’io mi sento “straniera in patria” e anch’io, se dovessi stilare un epitaffio per la mia sepoltura potrei utilizzare le sue stesse parole, anch’io dicendomi, impropriamente, ma con aperto affetto:
“Milanese” / Scrisse / Amò / Visse…

M.P.

(I republish here from my Blog, but it’s never just copy & paste: writing is always a changing and evolving process. Here the original version of this text. If you wish to know more about me as a woman and amateur writer, I’ll be glad if you visit it.)

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Marianna Piani
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Incurable romantic, dreamer. Professional illustrator and animator, amateur writer. Lesbian. Vegetarian. Woman ♥ Poetry & Books ♥ http://maripiani.blogspot.it