C.

Giulia Gaveglio
Sintomi
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5 min readSep 25, 2018

Il giorno in cui la signorina C conobbe l’Artista quest’ultimo aveva appena terminato di allestire un’installazione a trenta metri da terra lungo la periferia est della città, un’installazione che prevedeva cinquemila fili di lana rossa, la sospensione mediante cavi d’acciaio tesi da tiranti dello scafo di una nave del diciottesimo secolo, l’esplosione di un lanciafiamme e grandi quantità di fogli di carta e matite con cui scrivere messaggi di aiuto da inviare in ipotetiche bottiglie.

La signorina C quella mattina si era alzata alle sei, svegliata all’improvviso da un ineluttabile senso di imminenza. Si era stropicciata gli occhi. Foreste di ciglia le sfuggivano fra le dita delle mani. Aveva preparato del caffè, poi l’aveva versato in quattro tazze diverse. Aveva bevuto il caffè, un sorso per ogni stanza della casa, poco zucchero. Il caffè era bollente. Aveva lavato la caffettiera e i piatti della colazione, lasciandoli poi a scolare lungo il ripiano di ghisa del lavandino, perché non aveva voglia di asciugarli. Era andata in bagno, si era guardata allo specchio. Si era truccata le labbra di scuro. Aveva messo un cappotto di panno verde ed era uscita di casa quando ormai il sole era a mezzogiorno.

«Più in alto» diceva l’Artista mentre la signorina C camminava lungo la strada. Le biblioteche odoravano di antico e nei locali le vecchiette sorseggiavano il tè. Più tardi, quello stesso venerdì, sarebbe caduta la pioggia. La signorina C si fermò a comprare un mazzo di gardenie e si sedette su una panchina a leggere un libro. L’Artista guardava gli operai al fondo delle scale a pioli.

«Sarà la più grande opera mai creata dalla mente umana» disse qualcuno. L’Artista stette in silenzio, perché era soltanto un’opera mediocre e lui lo sapeva bene.

La Grande Inaugurazione ebbe luogo alle due del pomeriggio. Il comune organizzò la cerimonia e una grande folla si riunì intorno sotto ai fili rossi dell’opera che fendevano il cielo come tante ferite colorate. Tutti aprirono la bocca in grandi O di stupore muto, e cercarono invano di fotografarla.

«La più grande opera d’arte dei nostri tempi» disse il sindaco mentre stringeva la mano all’Artista. «Che meraviglia!» si dicevano l’un l’altro i passanti, dandosi di gomito. Tutti annuivano, tuttavia nessuno di loro poteva capire alcunché.

La signorina C continuava a camminare e aveva sottobraccio un pacco di fogli da disegno bianchi. In mano portava il mazzo di gardenie. Si trovò in mezzo alla gente, mentre la banda suonava per celebrare l’Inaugurazione. Alzò lo sguardo verso l’alto, vide i fili rossi. Si fermò in mezzo alla folla. Le vene e le arterie attraversano longitudinalmente i nostri corpi di umani, pensò.

«Le piace?» disse una voce. L’Artista la sorprese alle spalle.

«Non so» rispose lei. L’Artista la prese per mano e la trascinò lontano dalla calca. La signorina C lo riconobbe.

«Lei è l’Artista» disse.

«Lo ero» rispose l’Artista.

«Non lo è più?» chiese la signorina C. L’Artista camminava tenendole stretto il polso.

«No, non più. Sono un artista mediocre ora»

«Ne è felice?»

«Niente affatto. Ma non posso essere altrimenti» disse l’Artista.

Erano davanti a una porta di legno massiccio. L’Artista aveva la chiave della porta e così la aprì. C’era un corridoio buio, e al fondo, un ascensore trasparente, che pareva fatto di cristallo. L’Artista premette il primo pulsante e l’ascensore scese delicatamente dall’alto. L’Artista e la signorina C salirono sull’ascensore. Le pareti di cristallo fremevano sotto i tacchi delle scarpe alte della signorina C, scarpe di velluto nero.

«Difficile essere dei buoni mediocri, al giorno d’oggi» commentò la signorina C. L’ascensore si fermò con un sussulto.

«Mi creda, lo so bene. Finché si è grandi artisti, tutto è semplice da capire. Ma essere buoni mediocri, ecco una cosa che non sarò mai in grado di fare per bene» disse l’Artista. L’ascensore dava sull’esterno del palazzo, e poiché le pareti erano trasparenti la signorina C poteva vedere tutt’attorno a loro la grande opera. I fili rossi passavano davanti all’ascensore, la chiglia della nave dondolava fra i palazzi. Poi un boato assordante fece volare in aria migliaia di biglietti anneriti.

«Qualcuno là sotto deve aver azionato il lanciafiamme» disse l’Artista.

«Aveva detto che sarebbe stata la sua Grande Opera, in tv» disse la signorina C.

«Talvolta ci si sbaglia» disse l’Artista «non si sa mai quando si diventerà mediocri, impossibile prevederlo».

«Lei ha bisogno d’aiuto. Ha disperatamente bisogno d’aiuto» disse la signorina C.

L’ artista le prese di mano il mazzo di gardenie. Poi incominciò a strapparne i petali uno dopo l’altro, finché il pavimento dell’ascensore di cristallo non ne fu pieno e i fiori non arrivarono alle loro caviglie. L’Artista mise la lingua fra le labbra della signorina C e la tirò per i capelli in mezzo ai petali. Cominciò a spogliarla, ma sotto il cappotto di panno verde, la signorina C era nuda. Vestita soltanto di lunghi capelli, la signorina C guardò l’Artista negli occhi e per un istante vi scorse dentro qualcosa. L’Artista si tolse con calma i vestiti, li piegò e li dispose a terra, in mezzo ai petali chiari. Poi prese la signorina C fra le braccia , mentre la signorina C guardava ansimando il soffitto di cristallo e il suono del lanciafiamme risuonava attraverso il vetro. Quando venne l’Artista strinse i polsi della signorina C e la guardò negli occhi per un istante e anche lui vi scorse dentro qualcosa, tuttavia forse non era la stessa cosa che la signorina C aveva letto dentro i suoi occhi poco prima.

«Mi scusi » disse poi. I fogli bianchi della signorina C si erano sparsi per tutto il pavimento e si mescolavano ai petali delle gardenie, umidi di sudore.

«Non fa nulla» disse la signorina C. Prese il cappotto di panno verde, ma non si rivestì. Nella tasca c’era un coltellino a serramanico. La signorina C fece scattare la lama.

«Prego, mi aiuti pure», disse l’Artista. La signorina C affondò il coltello nella gola dell’Artista e il sangue le spruzzò sui seni e sul ventre. Continuò a incidere la pelle, finché il cristallo non fu pieno del rosso del sangue e i petali delle gardenie se lo bevvero tutto.

«Grazie» disse ancora l’Artista con l’ultimo sospiro che gli restava incastrato in gola. La signorina C allora richiuse il coltello e lo ripose nel cappotto di panno. Poi, si rivestì. La signorina C premette il pulsante dell’ascensore e quello ripartì, scendendo veloce verso il basso.

Quando arrivò a terra, il corpo dell’Artista giaceva in mezzo alle gardenie e una folla attendeva al di fuori della porta.

«La più grande opera d’arte di questo secolo» disse il sindaco stringendole la mano, mentre usciva dall’ascensore di cristallo con le scarpe bianche dai tacchi altri macchiate di carminio.

«La più grande opera d’arte! Evviva l’Artista! Evviva!» gridava la folla al suo passaggio.

La signorina C se ne andò a casa.

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Giulia Gaveglio
Sintomi
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26 anni, una laurea in filosofia, una ricerca spasmodica del dubbio, un amore per i gatti, per i ponti, per tutto quello che sta sul filo del rasoio.