Feiruz, voce e identità del Medio Oriente

marco
Siria — un diario in tempo di pace
4 min readMar 15, 2017

Il testo che segue è tratto dall’ebook Siria — un diario in tempo di pace (Delos Digital)

Damasco, 23 agosto 2003

In un microbus che sfreccia sul litorale libanese con la musica araba a tutto volume, mentre il sole si prepara ad arrossare mare e cielo e le palme sulla costa sono già silhouette nere, scopro di amare profondamente questi posti. Ripenso a quanto ho visto e vissuto finora, i vicoli e i profumi di Damasco, gli olivi della Giordania, le ferite ancora aperte di Beirut e la sua sfavillante e urlata modernità tra i palazzi crivellati dall’artiglieria della recente guerra, il deserto dove sgorga la bellezza di Palmira, il suq di Aleppo; poi guardo fuori dal finestrino e sento di essere affetto da quello che viene definito “mal di Medio Oriente”, e ora capisco perché. Non si può rimanere indifferenti a questo mondo, fatto di luoghi e di persone così diverse tra loro ma strettamente connessi, tutti, dal legame tenace di un’identità araba che, variegata, discorde e molteplice quanto si vuole, ma c’è, esiste e si percepisce a ogni piega del paesaggio, sia esso una montagna verde libanese o il deserto tra Siria e Giordania, palmizi sul mare più antico del mondo o suq variopinti e odorosi.

E poi, Feiruz. Questo nome in Occidente non dice niente, ma qui è una parola magica, una voce che dischiude tutto ciò che c’è da capire e sapere sul Medio Oriente. Feiruz, apparentemente, è una cantante, ma questa è solo la superficie. Scrivevo poco prima di identità araba ed eccomi ad

assistere a un concerto di Feiruz in un suggestivo scenario da mille e una notte nell’interno del Libano, un palazzo arabo ottocentesco con un cortile immenso che ora contiene più di 6.000 persone che attendono. Attendono Lei. La divina Feiruz, la “voce del Medio Oriente”, che risuona di prima mattina dappertutto, alle radio dei taxi, nei pullman, alle stazioni di sosta dove viene diffusa dagli altoparlanti, come un dittatore dalla voce dolce e suadente che augura il buongiorno con le sue canzoni in ogni angolo di Damasco, ma probabilmente di tutta la Siria, del Libano sicuramente, di tutto il resto del mondo arabo.

Ecco, Feiruz, incarna proprio quell’appartenenza a un’identità comune, la necessità di un mito condiviso, un’identificazione ideale e mitologica del mai realmente realizzato sogno del panarabismo. Del mito, dell’icona, Feiruz ha davvero tutto: quasi mistica sul palco, entra ed esce dalla ribalta quasi scivolando sulla pedana, canta immobile, ma alla sua voce il pubblico intero impazzisce letteralmente, canta ogni canzone, danza, grida il suo nome, alcuni piangono per la gioia di vedere dal vivo la voce che sin da bambini ha accompagnato la loro vita.

Al concerto c’erano davvero tutti: donne con l’isharb, ragazze discinte, arabi del golfo biancovestiti e giovani libanesi dai modi in tutto e per tutto occidentali, siriani non particolarmente amanti del Libano accanto a libanesi che per una volta si dimenticavano di trattare i siriani come i cugini poveri e retrogradi.

E poi, le religioni, che qui celebravano davvero una cerimonia comune, l’unica possibile: sunniti seduti gomito a gomito con sciiti, alauiti e ismaeliti, maroniti e seguaci degli ezbollah, drusi. Tutti a cantare insieme, a battere le mani a tempo sulle note di Feiruz. Feiruz la divina, Feiruz unica vera chiave per coniugare al singolare questa incredibile pluralità di atteggiamenti, di fedi, di modi di essere e di vivere la propria identità araba. Un’identità che c’è, ripeto, e durante il concerto ho potuto anche vederne il volto, sentirne la voce, percepirne la forza.

Ecco perché Feiruz non è semplicemente una cantante. Feiruz è la voce, l’essenza di una volontà altrimenti frustrata di essere un popolo unico, quella grande nazione araba che nemmeno miti universalmente riconosciuti come Lawrence d’Arabia seppero realizzare. Feiruz, almeno quando canta, almeno per la breve durata di un suo pezzo, ci riesce. Per una sera, come ieri. Appena entra in scena, tutti si alzano in piedi e applaudono a lungo. Inizia con un classico, una canzone triste e dolcissima. Feiruz canta l’amore, la solitudine, canta il dolore e la rabbia per la guerra, ma anche il desiderio di pace, la gioia e la voglia di libertà. Il suo dominio sulle persone è tanto dolce quanto incontrastato, accettato da tutti con gioia e docilità, tanto che è facile capire quanto siano contrariati gli arabi se dici di non apprezzare le sue canzoni: rifiutare lei significa in qualche modo rifiutare il mondo arabo, il popolo arabo. La loro identità. Non ci sono paragoni adeguati in Occidente, nemmeno cantanti come Bruce Springsteen o David Bowie, con i loro concerti oceanici, possono essere assimilati a ciò che è qui Feiruz. Loro, sono solo cantanti.

Se vuoi continuare la lettura, trovi Siria — un diario in tempo di pace (Delos Digital) in tutti gli store online.

Puoi anche vedere il booktrailer. La musica che si ascolta è lei, è Feiruz.

--

--

marco
Siria — un diario in tempo di pace

redattore editoriale, scrivo di tecnologie applicate alla didattica.